Gli industriali italiani esprimono ogni giorno il loro comprensibile allarme. Non pochi continuano a dirsi stupiti per la impossibilità di fare subito un nuovo governo di unità nazionale. Alcuni attribuiscono questa impossibilità ad una «casta» che pensa solo a se stessa. Due dichiarazioni mi sono sembrate particolarmente deludenti e pericolose: il presidente degli industriali emiliani, Marchesini, ha detto in sostanza «mentre l’industria muore, loro (quelli della Casta, n.d.r.) sono impegnati a concordare il prezzo del caffè alla buvette di Montecitorio»; Diego Della Valle ha affermato: i politici sono lì, «ad occuparsi delle loro sedie».
Onestamente da due personaggi del loro livello era legittimo aspettarsi di più e di meglio. Magari un’analisi anche più dura, ma un’analisi vera. Queste sono battute da twitter grillino. Che, pronunciate da loro, «fanno opinione». Non è possibile che anche l’élite della classe dirigente del Paese riduca tutto – come fanno ormai alcuni grandi giornali – alla cosiddetta casta senza operare distinzioni fondamentali fra i partiti. Senza attribuire le colpe a chi ce le ha, ma continuando a sparare nel mucchio. In tal modo si è finito per assimilare alla cosiddetta casta chiunque faccia politica, anche nel modo più onesto e civile. A forza di stereotipi si è data e si dà per acquisita, spesso coi termini più volgari e insultanti (l’ha notato giustamente Ilvo Diamanti), l’equazione politica= casta, a tutti i livelli. Così come ogni mediazione politica diventa subito «inciucio». Con guasti culturali spaventosi in un Paese dove, se l’acculturazione media rimane fra le più basse d’Europa, quella politica sembra ormai vicina allo zero. Basta leggere i commenti rilasciati anonimamente ai vari siti (anche a quello di Google): solo squallore e degradazione, con mitragliate di insulti fecali. Ma se è questo è il livello di una parte degli elettori, perché dovrebbe essere migliore quello di una parte degli eletti?
Il Porcellum firmato Calderoli è stato voluto da Berlusconi e dalla Lega: lo si è dimenticato? Perché non si attribuiscono le colpe a chi ce l’ha, nome e cognome? Quella legge elettorale ha stravolto e degradato molte cose. Ora ci troviamo con un assetto quanto meno tripolare. Con due forze, Pd e Pdl, reduci da una «unità nazionale» a sostegno del governo «tecnico» che è stata rotta da Berlusconi in vista delle nuove elezioni in modo plateale, clamoroso, violento. Una solidarietà che pertanto, con Berlusconi in campo, non può venire ripristinata dal Pd pena il suo auto-affossamento. C’è un terzo polo, il M5S, che numerosi industriali e artigiani, specie del Nord Est, hanno dichiarato di aver votato in massa. Ma è proprio il M5S che si rifiuta di collaborare con qualsiasi altra forza, che un giorno propone convergenze episodiche e l’altro giorno le esclude perché farnetica di «sbancare il sistema rappresentativo», di poter un giorno proporre agli italiani le gioie del «partito unico» (tragedia delle tragedie del ’900) coi parlamentari scelti in rete, di fatto «nominati» dal Capo e comunque da lui irreggimentati come mai era accaduto dopo il 1945. Che si riuniscono a porte sigillate e però pretendono dagli altri porte aperte. Con la «mente» della Camera, la cittadina Roberta Lombardi che si diverte molto. Magari a insultare, come ieri, il presidente della Repubblica (salvo smentirsi…che pena). Con la «mente» del Senato il cittadino Bruno Crimi che prima dà dell’addormentato al presidente della Repubblica e poi viene colto mentre ronfa a Palazzo Madama. Un rinnovamento rivoluzionario.
A complicare un quadro già complesso, c’è proprio la scadenza del settennato di Giorgio Napolitano, il suo semestre bianco, la scelta di un nuovo presidente. Che ormai è a giorni e che determinerà una svolta anche per il governo. Saggiamente Napolitano ha ricordato che per fare un governo in un Paese non poco travagliato come Israele sono occorsi più di cinquanta giorni. E tanti ne saranno, più o meno, trascorsi dal 25 febbraio quando le Camere, il 18 aprile, cominceranno a votare. Un governo in carica c’è. I «facilitatori» nominati dal Quirinale finiranno prestissimo i loro, speriamo fruttuosi, lavori. Lo spread non vola e la Borsa tiene, anzi va. «A situazioni calde, istituzioni fredde», scrisse Giuseppe De Rita in pieno terrorismo e con l’inflazione al 21,2 per cento. Se ne ricordino qualche volta i nostri imprenditori invece di partecipare alla quotidiana scarica di liquami sulla casta (in realtà sulla Politica). Secondo qualche grande giornale, questo attacco continuo – ora dedicato in specie a Bersani – doveva servire a promuovere i Tecnici sui Politici e invece ha soltanto favorito Grillo e Berlusconi. Un bell’autogol, ragazzi. L’indimenticato Comunardo Niccolai non avrebbe fatto di meglio.
L’Unità 12.04.13