Tutto, dalla disoccupazione al numero dei licenziamenti, conferma che il 2012 è stato un vero anno nero per il lavoro in Italia. Ma il peggio non smette di manifestarsi e il 2013 è iniziato molto male, come testimoniano i dati sull’occupazione e sulla cassa integrazione. Molti commentano: era prevedibile per il calo del Pil che continua per il blocco produttivo e dei consumi e per gli effetti di trascinamento di una crisi che non finisce. Ma proprio per questo è ingiustificabile la mancanza di interventi urgenti e di emergenza per cambiare questo stato di cose, sapendo che anche una eventuale ripresa (quando ci sarà e se non affossata dalle nuove tasse) non ha effetti direttamente proporzionali sull’occupazione. Nell’immediato le tendenze confermano sospensione o chiusura di attività, con una base produttiva che si restringe senza nemmeno certezze di copertura economica di tutta la cassa integrazione in deroga. Ma soprattutto, è sempre più frequente il passaggio al licenziamento e la progressiva mancanza di requisiti delle persone per accedere agli ammortizzatori a partire dalla disoccupazione. I dati sull’occupazione confermano che la legge Fornero non va: non solo non guarda al futuro, come afferma il Ministro, ma aumenta le difficoltà del presente. Le assunzioni a tempo indeterminato sono meno del 20%, e quelle a tempo determinato attorno ai 2/3 e i licenziamenti aumentano. Ma il calo del lavoro non è solo numerico, è anche di durata oraria. Ci sono meno occupati e si lavora meno ore. Esplodono i contratti part time (per il 57% involontari) spesso con un numero di ore così basso da poter essere assimilati a forme di lavoro precarie a tutti gli effetti. Infine c’è un anomalo addensamento dei lavoratori nelle qualifiche medio basse con stipendi molto bassi, ma nonostante questo la formazione per e nel lavoro è agli ultimi posti in Europa. Non è un caso, sono dati che riflettono l’arretratezza della qualità del modello produttivo e l’iniquità del sistema fiscale. Il problema dunque non è di ulteriore flessibilità per creare lavoro, ce n’è fin troppa. Mancano invece drammaticamente salario e lavoro. Questo è il punto che va affrontato con immediati interventi: redistribuzione del reddito, finanziamento Cig in deroga, risorse per mantenere lavoro e incentivare occupazione stabile e risorse per lo sviluppo. Per questo le più grandi organizzazioni sindacali d’Europa avanzano proposte in questa direzione. Il Piano del Lavoro della Cgil come noto ha obiettivi di breve e medio periodo per creare lavoro a partire dai giovani, ha l’ambizione di ridare senso all’intervento pubblico e di ridistribuire la ricchezza. Un altro grande sindacato europeo (Dgb) propone un piano Marshall per l’Europa con un mix di interventi istituzionali, investimenti pubblici diretti, sussidi d’investimento per le imprese e incentivi al consumo. Come si vede, le assonanze fra le due proposte sono davvero notevoli. Ed entrambi i sindacati propongono tra le forme di finanziamento una tassa sulle grandi ricchezze. Dice il documento del Dgb: «dal momento che ad oggi solo i contribuenti e i lavoratori dipendenti si sono sobbarcati il peso della crisi, è giunto il momento che le persone facoltose e i ricchi siano chiamati a partecipare al conferimento straordinario di capitale». Proposte concrete e realizzabili immediatamente, nei singoli paesi e a livello Europeo. Il problema è la volontà politica. La situazione è drammatica. Da crisi finanziaria si è passati a crisi economica e sociale e occorre in tutti i modi, è responsabilità di tutti, evitare che sfoci in scoppi di protesta sociale estrema, in crisi democratica.
*Presidente Fondazione Di Vittorio
L’Unità 12.04.13