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"Le buone ragioni di Confindustria", di Guglielmo Epifani

Il forte richiamo di Squinzi, il Presidente di Confindustria, è assolutamente fondato e condivisibile. Fare presto, assicurare al Paese un governo in grado di restituire fiducia a lavoratori e imprese, e in grado di far valere le nostre ragioni in Europa contro una linea di puro rigore, rappresenta un’esigenza primaria e indifferibile. Anche perché tutti i dati sono lo spec- chio di una condizione drammatica che ogni giorno presenta un conto pesantissimo e intollerabile. Dall’andamento della produzione industriale e dell’occupazione a quella del calo di consumi e redditi apparentemente senza fine la situazione del nostro Paese si aggrava. Il silenzio e la partecipazione con cui ieri la Camera dei deputati ha ricordato i suicidi di Civitanova Marche e l’uccisione di Perugia, esprimono un sentimento che ha bisogno di responsabilità e di scelte conseguenti. L’idea che a tutto questo si possa rispondere con il ricorso ad elezioni anticipate, o anche solo con un clima di permanente campagna elettorale, è davvero irresponsabile. Anche gli ultimi dati sulla condizione del Mezzogiorno, presentati ieri, e che dicono di 300mila posti di lavoro persi e di una caduta del Pil nell’ultimo anno di oltre tre punti, confermano che non ci può essere sottovalutazione alcuna della situazione. La stessa restituzione dei crediti delle imprese è sì una scelta importante, capace di mettere in circolo risorse dovute tamponando una partita lasciata troppo a lungo aperta, ma al tempo stesso va garantita la rapidità dell’operazione riducendo i troppi nodi burocratici che ne possono frenare l’effetto positivo per l’intero sistema economico produttivo. Mentre non può più aspettare un intervento altrettanto urgente per il rifinanziamento degli ammortizzatori sociali e della Cassa integrazione in deroga. Ci vuole, dunque, al più presto un governo. Squinzi dice fatto da uomini di buona volontà. Il problema non è solo quello di avere la volontà giusta, ma soprattutto avere un governo in grado di sapere e potere affrontare la straordinarietà dell’emergenza sociale ed economica, operare i cambiamenti necessari, e per questa strada risollevare il Paese dalla sua caduta, che è anche assenza di fiducia e di speranza. Per questo, ciò che normalmente viene definito come governissimo in realtà costituirebbe una soluzione fragilissima e inconcludente, mentre quello che apparentemente può essere visto come un meno, un governo più piccolo, ma più omogeneo, di alto profilo per competenze e capacità, può essere la soluzione giusta, accompagnato da una sede parlamentare incaricata di completare una volta per tutte la infinita transizione della nostra democrazia. Questa è la responsabilità che serve, e la buona volontà necessaria. Il metodo non può che essere quello della condivisione, del dialogo e del rispetto reciproco, come si è cominciato a fare nell’incontro sui criteri del nuovo presidente della Repubblica. È vero che la strada è stretta, ma è anche quella obbligata. Per questo però occorre che anche nel campo progressista si capisca che la vera partita non è tra dialogo e non dialogo, tra intesa e non intesa, ma tra quale dialogo e quale intesa. È la qualità e la trasparenza dell’intesa che, alla fine, può determinare un risultato o un altro al tema del governo, dal quale non si sfugge ora come non si sfuggirà dopo.

L’Unità 11.04.13