La lotta per impedire al Pd di governare (ricordiamo che si tratta del primo partito, che ha la maggioranza assoluta alla Camera ed è primo anche al Senato benché al di sotto, per non molti voti, della maggioranza necessaria) è aspra ma tuttora aperta. I giornali commentano il precedente del ’76. Anche allora emerse dalle elezioni una situazione di ingovernabilità. Pci e Dc ebbero più o meno gli stessi voti e ciò provocò, come ora, uno stallo. Il rischio fu su- perato dal «coraggio» delle «larghe intese», cioè dal coraggio di Enrico Berlinguer, il quale pur di evitare al Paese il trauma di un ritorno alle elezioni accettò che Giulio Andreotti formasse il governo, mentre il Pci garantiva l’astensione. Il cosiddetto governo delle «non fiducia». Ecco la «piccola» differenza da oggi. Sta nel fatto che le parti si sono invertite. Oggi è Berlusconi che non ha il coraggio e il senso di responsabilità che ebbe Berlinguer.
Non si esce da questa crisi senza un serio discorso di verità. E a me la verità sembra la seguente. Da un lato, per risolvere i drammatici problemi che massacrano il Paese, servono larghe intese (il Pd da solo non ce la può fare). E serve quindi tra destra e sinistra un reciproco riconoscimento. Dall’altro lato però la condizione è che la gente ritrovi un minimo di fiducia nella politica e che quindi non pensi che quattro signori si sono messi d’accordo tra loro per spartirsi il potere e risolvere i propri problemi personali. Il mondo, non solo nostro, ha un bisogno assoluto di giustizia. Se vede solo «un inciucio» è la fine.
Questa è la semplice verità. La politica sta perdendo tempo? Sì, certo. Ma sta perdendo tempo a fronte di che cosa? Cresce in me una profonda indignazione quando misuro la distanza tra il racconto miserabile della politica quale emerge da quasi tutti i «media» (merda più merda, con aggiunta di merda) e la realtà. La realtà di un Paese (uso le parole di Guido Rossi sul Sole 24 ore) che «degrada in pericolo- se disuguaglianze, nella disoccupazione, nella ignoranza, nella povertà e nella disperazione, come i casi di cronaca dimostrano». Mi indigna la grande menzogna che il Pd stia perdendo tempo per le ambizioni di Bersani.
Bersani sta semplicemente cercando di fermare questa deriva. Sta quindi tenendo ferma la necessità di fare non un governo qualsiasi, ma uno capace di avviare sul serio qualche riforma. Ridare speranza, dire che si cambia pagina e si avvia finalmente un cambiamento. Non è chiaro? Perfino i cardinali ha no sentito la necessità di dire alt a questo spaventoso saccheggio di lavoro e di ricchezza reale, eleggendo un Papa col nome del poverello di Assisi. Ecco l’oggetto vero dello scontro. Bisogna dirlo con la semplicità e la chiarezza necessari. È evidente che, se non si parla così, la gente non capisce nulla delle dispute sul governo.
Noi siamo, ormai con tutta evidenza, di fronte non a una semplice crisi di governo ma a un passaggio d’epoca. Lo dico perché non si può ragionare di politica prescindendo dalla enorme novità di una situazione che travalica le vecchie regole del parlamentarismo e che presenta rischi enormi, e pericoli incombenti, insieme a opportunità nuove. Io leggo così anche le vicende del Pd. So anch’io che il vecchio equilibrio su cui si reggeva il Pd, e che in sostanza era il patto tra i vecchi soci fondatori (la sinistra Dc e la componente riformista e nazionale del Pci) non basta più. So bene che bisogna cambiare. I giovani hanno ragione. Ma allora si facciano avanti. Si guardino intorno. Gli altri partiti stanno molto peggio di noi oppure sono scomparsi. Non hanno retto al grande trapasso che è in corso anche nelle vecchie strutture parlamentari. La destra è spappolata, resta una grande forza perché i poteri dominanti, sia economici che culturali (i giornali, le tv) esistono, e contano molto, ma anche perché si regge sul potere proprietario di un miliardario.
Ma andiamo avanti. La Lega si è dimezzata. Il partito di centro attorno a Monti è fallito. Aggiungiamo l’esistenza di un partito teleguidato da un comico e da un signore che si chiama Casaleggio. E ancora il fatto che in gran parte del Mezzogiorno le libertà politiche e di voto sono condizionate pesantemente da organizzazioni criminali. Questo è il panorama. È drammatico. Significa che la democrazia parlamentare è davvero a rischio. Spero che si capisca perché mi ostino a difendere il solo partito esistente: il Pd. E lo consideri – piaccia o no – il presidio relativamente più forte della democrazia repubblicana. An- cora domenica 100mila persone sono andate a votare a Roma per le primarie con cui il Pd ha scelto il suo candidato sindaco di Roma. «Sciacquatevi la bocca», amici del Corriere della Sera. Quale partito conserva in Italia questa forza che è esattamente la nobiltà della politica, ciò che ci legittima a guidare il governo, e che si chiam partecipazione e democrazia?
Ma, in realtà è proprio questo lo scandalo. È il fatto che non siamo tutti uguali che spiega la violenza con cui certe forze ci attaccano, ci denigrano, ci dileggiano. E quindi capisco. Capisco tanti errori e debolezze, ma capisco anche il peso delle responsabilità che gravano oggi sulle spalle del segretario del Pd. Perciò è al centro di tutti gli attacchi. Pier Luigi Bersani è uno degli uomini migliori che girano per l’Italia. Ma non mi interessa tanto la sua persona, quanto il ruolo che svolge. Io non sono un conservatore. Credo che bisogna fare grandi cambiamenti. Ma per farli ci vuole oggi un traghettatore. Dopo il Pd c’è lo sfascio. Spetta quindi al segretario del Pd, proprio in quanto segretario, traghettarci oltre questa palude. Senza di che ogni compromesso diventa più difficile.
L’Unità 10.04.13