Sono stati cervelli in fuga. Poi l’Italia li ha richiamati e sono rientrati per contribuire, secondo le loro parole, «alla ricerca e allo sviluppo del nostro Paese». Ora rischiano di dover ripartire o, peggio, di rimanere senza lavoro. 114 firmatari di una lettera al ministro dell’istruzione, università e ricerca Francesco Profumo chiedono che si intervenga al più presto per evitare questa “fuga di ritorno”. Si tratta di fisici, chimici, economisti, ingegneri, biologi vincitori del programma «Rientro dei Cervelli» per l’anno 2008-2009 e che da quattro anni lavorano nelle università e nei centri di ricerca italiani. Il programma «Rientro dei cervelli » era nato nel 2001 proprio per facilitare il ritorno in patria dei ricercatori che lavoravano all’estero ed è rimasto attivo fino al 2009 quando ha cambiato nome (e regole) in «Programma Rita Levi Montalcini». Quest’anno sono in scadenza sia i contratti non rinnovabili dei ricercatori entrati con l’ultimo bando del vecchio programma, sia quelli – rinnovabili – dei ricercatori entrati invece con il primo bando del nuovo programma. E per tutti si profilano grandi problemi. Andrea Gambassi, fisico teorico che, dopo alcuni anni passati al Max Planck Institut a Stoccarda, è tornato in Italia per lavorare alla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (Sissa) di Trieste, fa parte dei 14 firmatari della lettera al ministro: «La legge prevedeva che, alla fine dei quattro anni, ci sarebbe stata una valutazione con possibilità di essere immessi in ruolo attraverso la chiamata diretta da parte dell’ente di ricerca. Anche perché concorsi negli ultimi tre anni non ci sono stati». L’ateneo quindi può fare domanda al ministero per assumere quel determinato ricercatore, la domanda deve passare dal Cun, Consiglio Universitario Nazionale, che a sua volta nomina degli esperti per valutare l’operato del candidato. Una procedura piuttosto lunga. «Purtroppo – si legge nella lettera – la legislazione induce a ritardare la presentazione delle istanze di chiamata diretta lasciando pochi mesi per la conclusione del loro iter». In parole povere, per fare le domande bisogna aspettare che il contratto sia in scadenza, ma poi rimane poco tempo per la valutazione e l’iter burocratico. Così, in caso di ritardi amministrativi, anche se il ricercatore fosse valutato positivamente, rischierebbe di rimanere senza contratto per alcuni mesi, mentre se l’esito della domanda fosse negativo, non rimarrebbe tempo per trovarsi un altro impiego all’estero senza passare per un periodo di disoccupazione. A ciò si aggiungono le lungaggini del ministero. Sta di fatto che «sono passati mesi, ma dal ministero non è arrivata nessuna comunicazione ufficiale», si legge nella lettera. In conclusione, i ricercatori, con i contratti in scadenza, ancora non sanno quale sarà il loro destino. «Vorrei che fosse chiaro che non chiediamo di essere stabilizzati ope legis – precisa Gambassi – ma di essere valutati in tempi certi e con una procedura razionale. E che i tempi delle risposte siano brevi in modo da programmare il nostro futuro». Le cose non vanno meglio per quelli che hanno vinto il bando per il Programma Levi Montalcini. Il contratto dei vincitori del 2009, selezionati nel 2010, dopo tre anni è in scadenza. In teoria dovrebbe essere rinnovabile per altri tre anni, ma al momento i ricercatori ancora non sanno cosa li aspetta, come mettevano in evidenza in una lettera di protesta scritta a ottobre scorso. Ma almeno il loro programma è partito. Quello che viene dopo è solo sulla carta: il bando del 2010 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 28 febbraio 2012. Il comitato per la valutazione è stato nominata il 10 settembre, il 17 dicembre si è insediato e il 21 febbraio scorso ha pubblicato un comunicato in cui si legge che «concluderà i suoi lavori entro sei mesi dall’insediamento, salvo eventuali ritardi ». Il bando del 2011non è mai uscito. Per quello del 2012 le domande dovevano essere presentate entro il 3 marzo scorso, ma il concorso di due anni prima non si è ancora concluso. Naturalmente, tutto questo ha anche un costo, visto che il ministero ha stanziato fondi per il rientro dei ricercatori: «Per questo motivo crediamo che il ministero debba intervenire per evitare uno spreco di energie e risorse finanziarie ingiustificabile, specialmente in tempi difficili come quelli che l’Italia sta vivendo», conclude la lettera a Profumo. «C’è poi da chiedersi – conclude Gambassi – quale sia la reale credibilità di un programma che, nonostante venga presentato come esempio concreto di impegno ministeriale per la promozione dell’eccellenza, lascia di fatto i suoi beneficiari in un limbo di incertezze che ben poco ha a che vedere con tale promozione ».
l’Unità 07.04.13