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"Nel club dei paradisi fiscali 200 superevasori italiani", di Giampiero Martinotti

Sono 200 le società italiane nel database delle 120 mila sigle offshore nei paradisi fiscali. La rete mondiale per evadere il fisco e forse riciclare denaro sporco è stata ricostruita dall’International Consortium of Investigative Journalists (Icij) a cui ha partecipato, per l’Italia, l’Espresso.
Tra i nomi Gaetano Terrin, commercialista ex dello studio Tremonti; Fabio Ghioni, ex hacker professionista protagonista delle intrusioni informatiche partite dalle strutture di Telecom Italia. Due milioni e mezzo di file per tentare di carpire i segreti di 120 mila società offshore, basate alle isole Vergini, Cayman, Cook, Samoa e Singapore: l’operazione lanciata da una ong statunitense con l’aiuto di un gruppo di giornali internazionali (per l’Italia L’Espresso), mette a nudo la realtà di un sistema organizzato per non pagare tasse, riciclare denaro sporco, proteggere i patrimoni dal fisco.
Una ragnatela in cui è facile perdersi, ma in cui si incontrano anche molte sorprese, fra cui una sgradita per François Hollande: il tesoriere della sua campagna elettorale, il finanziere Jean-Jacques Augier, è azionista di due società basate alle Cayman. Attività legali e dichiarate, dice l’interessato, ma la rivelazione della loro esistenza arriva nel peggior momento per il capo dello Stato, impelagato nell’affare Cahuzac, il ministro del Bilancio dimissionario che aveva un conto clandestino a Singapore.
I dati sono stati messi a disposizione di 45 testate dall’International Consortium of Investigative Journalists (Icij), basato a Washington. Vista la mole, non sono ancora stati tutti spulciati e richiedono un lavoro da certosini: investire in certe isole caraibiche non è di per se un reato, fare la differenza tra elusione, evasione, riciclaggio e attività criminali è molto difficile, visti i sofisticati meccanismi della finanza odierna.
Ma dalla massa dei dati emergono già alcuni nomi di primo piano: dalle figlie del presidente dell’Azerbaijan Ilham Aliyev al premier georgiano Bidzina Ivanishvili, fino a Maria Imelda Marcos, figlia dell’ex dittatore filippino. Per quest’ultima, Manila si chiede se i soldi provengano dai cinque miliardi di dollari che il padre ha accumulato grazie alla corruzione. Tra gli altri personaggi emergono la moglie del primo vice- premier russo, Igor Shuvalov, due dirigenti di Gazprom, due trader di Wall Street. E anche una mecenate dell’arte che vive in Spagna, la baronessa Carmen Thyssen-Bornemisza, che utilizza una società delle isole Cook per comprare opere d’arte.
I dati provengono da due società di servizi finanziari offshore, la Portcullis Trust-Net e la Commonwealth Trust Limited. Due fra le centinaia di società che aiutano i ricchi del pianeta a nascondere i loro averi dagli occhi indiscreti e forniscono i prestanome necessari a proteggere l’identità dei veri proprietari delle holding offshore: un’indagine dell’Icij ha scoperto che 28 uomini di paglia facevano da prestanome a ben 21 mila società. Uno di loro è accusato di sostenere il programma nucleare iraniano.
Le Monde ha citato uno studio preparato da un ex economista della McKinsey, James S. Henry: secondo i suoi calcoli, i ricchi del pianeta avrebbero nei paradisi fiscali una somma compresa fra 21 e 32 mila miliardi dollari, una cifra che corrisponde alla somma del pil di Stati Uniti e Giappone. Le sole attività finanziarie criminali, secondo la Banca mondiale, rappresenterebbero una circolazione di 1.250 miliardi di euro.
In questo contesto, è ovvio che colpisca il nome del tesoriere di Hollande, compagno degli anni dell’Ena. Ha fatto fortuna gestendo la più grande compagnia parigina di taxi, proprietà dell’ex direttore di gabinetto di François Mitterrand, e ha lavorato molto in Cina negli anni Duemila. I suoi investimenti alle Cayman sono certo dichiarati, ma Le Monde sottolinea che i conti delle società non sono pubblici e sono quindi inverificabili. Ma non è tanto la legalità a essere in gioco: a stonare è la presenza nell’équipe di campagna di Hollande di un uomo dagli investimenti quanto meno disinvolti. E oggi molti ricordano il discorso più importante dell’allora candidato socialista: «Vi dico chi è il mio vero avversario. Non ha nome, né volto, né partito, non presenterà mai la sua candidatura, non sarà eletto, eppure governa. Questo avversario è il mondo della finanza. Sotto i nostri occhi, in vent’anni, la finanza ha preso il controllo dell’economia, della società e anche delle nostre vite. Ormai è possibile in una frazione di secondo spostare somme vertiginose, minacciare degli Stati».

La Repubblica 05.04.13