Recita la nostra Costituzione: «I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi». La buona notizia è che i capaci e meritevoli non mancano. Quella cattiva è che il diritto allo studio rischia di sparire. I dati sulle risorse finanziarie destinate a borse di studio, mense e alloggi sono impietosi, le prospettive drammatiche. Nello scorso anno accademico, 57mila studenti si sono ritrovati nella categoria degli «idonei non beneficiari». Per reddito e percorso di studi, sono considerati meritevoli di ricevere un aiuto dallo Stato. Per mancanza di fondi, destinati a non ricevere nulla, se non l’esenzione dalle tasse universitarie. Se nulla cambia, il loro numero aumenterà in fretta. Nel 2009 il Fondo nazionale destinato a integrare le risorse regionali a disposizione degli studenti fu eccezionalmente di 246 milioni di euro, grazie alle misure urgenti disposte dall’allora ministro Mariastella Gelmini. Poi un viaggio sulle montagne russe: circa 100 milioni di euro nel 2010 e nel 2011, poi 175 milioni nel 2012. Denari riacciuffati al volo, come i 90 milioni ripescati dalla spending review del governo Monti. Senza interventi dell’ultimo minuto o brusche inversioni di rotta, il taglio alle borse di studio previsto per i prossimi tre anni è del 92%. Tradotto in euro, vuol dire che entro il 2015 i fondi a disposizioni dei «valorosi ma non danarosi» saranno 15 milioni di euro. Briciole, da distribuire in tutto il Paese e integrare con i fondi regionali. E se le famiglie che non si possono più permettere un figlio all’università sono sempre di più, sono sempre di più anche le Regioni sull’orlo del collasso. Un esempio su tutti? Il sistema universitario piemontese. Da eccellenza a ultimo in classifica, con un deprimente risultato del 30% delle richieste di borse di studio soddisfatte. Se il contributo statale si è attestato tra i 7 e i 7,9 milioni di euro, è la drastica riduzione del contributo regionale – oltre il 60% – che ha portato il meccanismo al tracollo. Un duro colpo per una regione che può vantare un’indiscussa eccellenza come il Politecnico di Torino, dove più della metà degli studenti non sono piemontesi e il 15% stranieri. Sabato il ministro dell’Istruzione Francesco Profumo sarà a Torino per incontrare i rappresentanti delle associazioni universitarie della regione. Intanto proprio dagli studenti universitari nasce una campagna di mobilitazione nazionale. Semplice ed efficace lo slogan: «Non c’è più tempo». Ed è anche straordinariamente vero. Se nessuno interviene, si rischia di arrivare a settembre senza che nulla sia cambiato. Con costi enormi per il Paese, sia in termini etici che di sviluppo. «I costi per le famiglie sono diventati insostenibili. La politica non si muove da tempo, il diritto allo studio non può essere la vittima – denuncia Elena Monticelli, coordinatrice per il diritto allo studio dell’associazione studentesca Link -. Abbiamo lanciato la campagna “Non c’è più tempo” per riportare l’università nel dibattito politico. Se ne è parlato poco in campagna elettorale, ora non se ne parla più. La situazione è gravissima». Intanto, dopo un braccio di ferro durato due anni, giace al vaglio della conferenza Stato Regioni il decreto di riforma presentato dal ministro Profumo, osteggiato dalle associazioni studentesche ma con il via libera del Consiglio nazionale degli Studenti Universitari.
La Stampa 05.04.13