Messaggio numero uno: la proposta resta quella del governo di cambiamento e della convenzione per le riforme istituzionali. Messaggio numero due: gruppi di lavoro e nomi dei loro membri sono scelte assolutamente autonome del Quirinale. Pier Luigi Bersani ha seguito da Piacenza le ultime mosse di Giorgio Napolitano. Il leader del Pd è stato avvisato direttamente dal Capo dello Stato della decisione che di lì a poco sarebbe stata comunicata ai giornalisti nella Sala della vetrata e del perché, nonostante l’avesse messa effettivamente in conto, l’ipotesi delle dimissioni è stata prontamente accantonata (tra gli altri, Napolitano ha sentito anche il presidente della Bce Mario Draghi e il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, che hanno sottolineato i rischi a cui sarebbe andata incontro l’Italia, anche dal punto di vista della speculazione internazionale, senza un governo e un Capo dello Stato). E anche dopo l’annuncio da parte del Presidente della Repubblica dei «due gruppi ristretti» che ora dovranno lavorare a riforme istituzionali e di carattere europeo, economico e sociale, i due sono tornati a parlarsi.
Dopodiché, Bersani ha fatto diffondere una nota, questa: «In un passaggio molto difficile il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha scelto di dare all’Italia e al mondo un segnale di stabilità e di continuità delle nostre Istituzioni. Per quello che sta a noi, siamo pronti ad accompagnare responsabilmente il percorso che il Capo dello Stato ha indicato». Però la nota contiene anche una seconda parte, breve quanto importante per capire qual è la strategia che il leader del Pd intende seguire nelle prossime settimane, questa: «Un governo di cambiamento e una convenzione per le riforme restano per noi l’asse sul quale ricercare il contributo più largo delle forze parlamentari».
Il passaggio rende anche più chiara una precisazione su cui Bersani, parlando con gli interlocutori che lo hanno cercato ieri dopo l’annuncio di Napolitano, ha insistito. E cioè che per quel che riguarda la decisione dei «due gruppi ristretti» di lavoro e anche la scelta dei loro membri, compresi quelli di provenienza Pd, egli non ha avuto alcun ruolo. Sono scelte assolutamente autonome del Quirinale, è stato il messaggio recapitato dal segretario democratico.
SI GUARDA AD APRILE
Bersani infatti non pensa, come qualcuno fuori ma anche dentro il Pd vorrebbe, che questi due gruppi di lavoro (a ben guardare composti da quattro personalità riconducibili all’area del centrosinistra, quattro del centrodestra e due montiani) possano preparare il terreno per la nascita di un governo di larghe intese. Ed è invece convinto che al termine di questo percorso, che avrà una tappa fondamentale nella seconda metà di aprile nell’elezione del prossimo Capo dello Stato, saranno in campo ulteriori elementi per sostenere la nascita del «governo di cambiamento», da far camminare di pari passo a un confronto più ampio possibile sulle riforme istituzionali. Insomma la linea con cui Bersani ha tentato di andare alla prova della fiducia in Parlamento, senza riuscirci per le «preclusioni» del Movimento 5 Stelle e per quello che nel Pd viene definito «il ricatto di Berlusconi sul Quirinale». Il ragionamento per il futuro quindi è questo: dopo l’elezione del successore di Napolitano, che superata la terza votazione il centrosinistra con i suoi 345 deputati, 123 senatori e la trentina di delegati regionali di area può eleggere insieme soltanto ai montiani o ai Cinquestelle, quel ricatto verrebbe meno e il quadro sarà totalmente diverso. E il Pd potrebbe tornare a chiedere la guida del governo.
Bisognerà però vedere se nelle prossime settimane tutto il partito seguirà Bersani sulla linea del «governo di cambiamento» e il confronto con il Pdl relegato al solo tema delle riforme istituzionali. Dopo Pasqua verrà convocata una Direzione per discutere le novità e per decidere come muovere i prossimi passi. Ed è assai probabile che tensioni finora sopite in quel passaggio vengano allo scoperto. Già ora qualche parlamentare renziano inizia a criticare la linea seguita dal segretario e a chiedere di aprire al governo di scopo, anche se sostenuto insieme al Pdl. E nel fronte bersaniano si guarda con attenzione alle mosse di Enrico Letta e Dario Franceschini, che nei giorni scorsi hanno parlato con Matteo Renzi. Paolo Gentiloni, che nei giorni scorsi aveva promesso «lealtà» nei confronti del tentativo di Bersani aggiungendo che in caso di fallimento non poteva essere il voto l’unica alternativa, dice ora che «all’interesse generale dobbiamo subordinare le posizioni di parte» e che «si tratta di lavorare nei prossimi giorni per individuare i punti essenziali di una possibile soluzione di governo». E il deputato Pd Angelo Rughetti, renziano doc, spiega che i gruppi di lavoro possono ora «confrontarsi sui temi prioritari nell’interesse del Paese entrando nel merito delle questioni più urgenti», aggiungendo che «dopo questa fase che non può che essere transitoria, il passaggio successivo che si presenterà al nuovo Capo dello Stato sarà scegliere fra elezioni a giugno o stabilizzare i gruppi di lavoro in un nuovo governo». Dei due organismi, che si riuniscono la prima volta martedì, fanno parte parlamentari e personalità appartenenti o riconducibili a Pd, Pdl e Scelta civica. E già in questi giorni tra i democratici si accenderà la discussione, forse anche più sui temi di merito, sulla natura e soprattutto sulle prospettive di questi due gruppi di lavoro.
da www.unita.it