Ghizzoni, Damiano, Madia: risoluzione Pd per chiedere impegni concreti per giovani ricercatori
“Il monitoraggio sul lavoro precario nelle pubbliche amministrazioni promosso dal Ministro Brunetta ha tanti difetti. Per quanto riguarda l’università, il ministro ha veramente truccato le carte. Soltanto il 60% delle università ha risposto al questionario. Il fatto che manchi quasi la metà degli atenei italiani servirebbe a qualificarlo quanto meno come inattendibile. Inoltre, le università hanno adottato criteri difformi per conteggiare il lavoro flessibile da esse impiegato. Molte non hanno incluso i titolari di assegni di ricerca. Mentre gli assegnisti sono dei veri e propri precari della ricerca, impegnati in una attività professionale di produzione della ricerca e sono decine di migliaia. Nessuno chiede regolarizzazioni di massa, ma il Governo deve approntare un piano per dare ai ricercatori più giovani e motivati la possibilità di potersi confrontare ed essere selezionati. Il partito democratico chiede che il monitoraggio vada ripensato e il governo si muova per l’ampio problema del precariato nelle università pubbliche. Finora poco è stato fatto e il monitoraggio confonde le acque”. Lo dichiarano le deputate democratiche Manuela Ghizzoni e Marianna Madia che riferiscono di aver presentato oggi una risoluzione su questo tema firmata anche da Cesare Damiano.
Di seguito si pubblica la risoluzione citata nel comunicato stampa:
RISOLUZIONE IN COMMISSIONE
La Commissione VII
premesso che,
il monitoraggio promosso dal Ministro della Pubblica Amministrazione e dell’Innovazione, presso le amministrazioni pubbliche di Stato, le regioni, gli enti locali, le università sulla presenza di lavoratori atipici all’interno di queste organizzazioni presenta – per quanto riguarda le università – numerose incongruenze;
secondo i dati del monitoraggio, inviato al Parlamento alla fine di aprile, hanno risposto all’invio del questionario da parte del Ministero suddetto soltanto 45 università su 73 invitate a prendervi parte. Mancano pertanto, in questo comparto, circa il 40% delle risposte attese. Una lacuna di proporzioni tali da rendere quantomeno incerto e comunque non del tutto attendibile il risultato del monitoraggio stesso, almeno per quando riguarda l’ambito universitario;
inoltre, le varie università hanno adottato criteri difformi nel conteggiare il personale con contratto di lavoro flessibile: in particolare, nella maggior parte dei casi, hanno omesso di indicare i titolari di assegni di ricerca ex art. 51, c. 6, della L. 449/1997, nonostante che questa tipologia di prestazione di collaborazione ad attività di ricerca si configuri come lavoro a termine e sia soggetta per legge ai contributi previdenziali alla gestione separata INPS di cui all’art. 2, c. 26, della L. 335/1995, dovuti da parte di coloro che esercitano attività di lavoro autonomo ovvero di collaborazione coordinata e continuativa.
pur non rientrando, secondo le norme delle leggi finanziarie 2007 e 2008, tra il personale stabilizzabile, i titolari di assegni di ricerca non sono in alcun modo assimilabili ad altre figure di collaboratori universitari alla ricerca come i dottorandi di ricerca o gli studenti laureandi in quanto l’attività svolta a fronte di un assegno di ricerca non è riconducibile alla formazione, bensì alla produzione di ricerca, tanto è vero che, per legge, accede di norma all’assegno chi sia già in possesso di un titolo di dottore di ricerca.
Appare pertanto incongrua l’esclusione degli assegnisti di ricerca dal monitoraggio sopra citato, soprattutto alla luce del fatto che alcuni atenei hanno invece giustamente conteggiato, tra il personale con contratto di lavoro flessibile, gli assegnisti come anche altre tipologie di contrattisti per la didattica e la ricerca. L’università di Modena e Reggio Emilia, ad esempio, dichiara nel monitoraggio la presenza di 90 co.co.co., specificando che si tratta proprio di contratti di ricerca, assenti dal conteggio di altre università (che pure li riportano nei loro siti web istituzionali)
Considerazioni simili possono essere svolte per i professori a contratto di cui al decreto del Ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica 21 maggio 1998, n. 242, che costituiscono un altro enorme serbatoio di precariato universitario destinato alla copertura di insegnamenti ufficiali universitari, soprattutto nei corsi di laurea di nuova istituzione
Impegna il governo:
a ripensare, alla luce di queste incongruenze e lacune, i risultati e l’efficacia del monitoraggio citato in premessa e a predisporre quindi un nuovo monitoraggio meglio progettato per cogliere la varietà e l’estensione del lavoro precario nelle attività didattiche e di ricerca delle università e maggiormente rappresentativo del sistema universitario nazionale;
a prevedere, già nell’annunciato disegno di legge di iniziativa del Governo sull’università, da un lato una nuova normativa che consenta di mettere ordine nel segmento tra dottorato di ricerca e assunzione in ruolo universitario, con una figura, possibilmente unica, di titolare di contratto di ricerca e didattica a termine ma con tutte le tutele assistenziali e previdenziali dei lavoratori a tempo determinato, dall’altro un piano straordinario di reclutamento di ricercatori universitari in prosecuzione ed estensione di quello previsto dall’art. 1, c. 648, della legge 296/2006, al fine di contrastare concretamente il fenomeno del precariato e di innovare la didattica e la ricerca in ambito accademico.
Ghizzoni, Madia, Damiano, Bachelet, Coscia, De Biasi, De Pasquale, De Torre, Levi, Lolli, Miglioli, Nicolais, Pes, Picierno, Rossa, Russo, Sarubbi, Siragusa, Mazzarella
Roma, 3 giugno 2009
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