Bankitalia bacchetta il governo e chiede riforme strutturali. Draghi: “Nel 2010 tasso di disoccupazione al 10% e Pil a -5%”.
La crisi c’è, i lavoratori sono a rischio, il governo deve smetterla di rimandare gli interventi strutturali. In parole semplici si potrebbe riassumere così l’intervento Governatore di Bankitalia, Mario Draghi. Le linee guida indicate all’esecutivo presuppongono un assetto tutt’altro che roseo, in cui a farla da padrone sono cifre e statistiche tutt’altro che incoraggianti.
Durante la conferenza annuale della Banca d’Italia Draghi ha annunciato un’inflessione del Pil pari al -5% per l’anno 2009, che si andrà ad aggiungere al -1% del 2008. La conseguenza più drammatica di questa previsione sarebbe l’innalzamento del tasso disoccupazione, che nell’anno corrente potrebbe toccare il 10%, 1,5% in più rispetto alla stima odierna. Inoltre “l’operare degli stabilizzatori automatici dovrebbe accrescere il disavanzo pubblico nell’anno in corso di circa 2 punti percentuali del prodotto, a oltre il 4,5%; nel 2010, il disavanzo potrebbe superare il 5%”.
Come uscirne? Draghi consiglia al governo alcune misure, in realtà talmente scontate che Berlusconi & co. avrebbero dovuto metterle in campo da tempo, senza aspettare suggerimenti: “Progressi nel contrasto alle attività irregolari consentirebbero di ridurre le aliquote legali, diminuendo distorsioni e ingiustizie. Semplificazione normativa ed efficacia dell’azione pubblica sono condizioni necessarie per ridurre il peso dell’economia irregolare, stimato in più’ del 15% dell’attività economica”. Ma il vero colpo di grazia alla politica del governo riguarda l’evasione fiscale, agevolata dallo smantellamento sistematico delle misure previste dal precedente governo Prodi. “L’occultamento di una parte considerevole delle basi imponibili – osserva il numero uno di Via Nazionale – accresce l’onere imposto ai contribuenti ligi al dovere fiscale. E’ un fattore che riduce la competitività di larga parte delle imprese, determina iniquità e disarticola il tessuto sociale”.
”La crisi ha reso piu’ evidenti manchevolezze di lunga data nel nostro sistema di protezione sociale” e ha penalizzato soprattutto i dipendenti della piccola impresa che “ricevono trattamenti diversi solo perché operano in un’impresa artigiana, invece che in una più’ grande”: così 1,6 milioni di dipendenti non hanno diritto a sostegni in caso di licenziamento e l’8% di quanti hanno diritto a un’indennità nel settore privato, riceveranno meno di 500 euro al mese.
Ma non è tutto, a fare le spese della crisi sono anche coloro che non hanno un impiego e che cercano invano di entrare nel mondo del lavoro. Draghi chiede “un buon sistema di ammortizzatori sociali per chi cerca un nuovo lavoro, finanziariamente in equilibrio nell’arco del ciclo economico”, solo in questo modo si attenua la preoccupazione dei lavoratori, si sostengono i consumi, si accresce la mobilità tra imprese, si favorisce la riallocazione delle competenze individuali verso gli impieghi più produttivi.
Il Partito Democratico esprime soddisfazione e accordo con le rilevazioni del governatore di Bankitalia. Il segretario Dario Franceschini si dice favorevole ad una collaborazione con la maggioranza in merito alle misure strutturali auspicate da Draghi. ”Il governatore Draghi ha detto parole chiare che condividiamo. Servono riforme strutturali per uscire dalla crisi e insieme per affrontare l’emergenza. Le cose che ha detto Draghi sono i temi per i quali noi presentiamo da settimane proposte in Parlamento, come l’assegno di disoccupazione e gli aiuti alle piccole e medie imprese. Speriamo che di fronte a queste sollecitazioni, che ora non arrivano da pericolosi estremisti come noi, il governo non continui a girare la testa dall’altra parte”.
Anche la capogruppo al senato, Anna Finocchiaro si è detta soddisfatta: “Draghi si e’ molto soffermato sulla scarsa tutela per i lavoratori disoccupati che invece andrebbero difesi e aiutati e sul sostegno alle piccole e medie imprese che rivestono un ruolo centrale nella nostra economia ma che sono le più’ esposte ai morsi della crisi. Il Governatore ha poi sottolineato che non possono essere solo le parole o le promesse a ridare speranza e fiducia al nostro Paese. Draghi ha invocato misure concrete, quelle misure che il governo non ha messo in atto. Noi non ci stancheremo di insistere. Ma se il Governo non vuole interloquire con noi risponda almeno alle sacrosante preoccupazioni che giungono da Banca d’Italia”.
Sulla stessa linea degli altri esponenti PD e molto critico nei confronti del governo, Massimo D’Alema afferma: “Da parte del governo non c’e’ una strategia di rilancio, non c’e’ una politica seria di sostegno delle piccole e medie imprese, non ci sono grandi investimenti pubblici. E gli investimenti ‘piccoli’, quelli dei Comuni vengono impediti con una interpretazione ottusa del patto di stabilità interno. Questa è purtroppo una situazione che rischia di avvitarsi. Non c’è una strategia di riforme. L’unica che viene spacciata per riforma è il fatto che abbiamo un ministro che ogni giorno insulta gli statali, una volta gli impiegati, una volta i poliziotti, il che dubito che darà maggiore efficienza alla macchina pubblica. Il governo ha rifiutato persino le più elementari proposte dell’opposizione, persino l’idea di un fondo di solidarietà per i più poveri con una tassa a carico dei più ricchi, a cominciare, come ha detto Franceschini, dagli stipendi dei parlamentari”. Persino questo e’ stato rifiutato”
Iv.Gia per www.partitodemocratico.it
Sullo stesso argomento vi proponiamo i commenti della stampa odierna
«La terapia della verità», di Massimo Giannini, Repubblica
Serve l´asciutto neorealismo post-moderno di Mario Draghi, per rompere il finto orizzonte di cartapesta sul quale Silvio Berlusconi proietta il suo personale Truman Show, a beneficio di un «pubblico» che si vuole ormai trasformato in «popolo». Dopo la Confindustria di Emma Marcegaglia, tocca ora al governatore della Banca d´Italia il compito di raccontare qualche amara verità a un´opinione pubblica sedata dal prozac della psico-politica governativa.
La prima verità è che l´Italia è un Paese in crisi profonda. Quest´anno il Pil crollerà del 5%. Solo nel semestre ottobre-marzo la caduta è stata pari al 7%. La famosa «ripresa», sbandierata da Palazzo Grazioli, non esiste in nessun luogo. E persino i «recenti segnali di affievolimento» della recessione, secondo Draghi, esistono solo nei «sondaggi d´opinione». La seconda verità è che tanti, troppi italiani stanno male. Il nostro tasso di povertà relativa è molto superiore alla media di Eurolandia: 20%, contro il 16% della Ue. La flessione della domanda e dei consumi nasce da un cedimento del reddito e dell´occupazione che si acuirà nei prossimi mesi. Due quinti delle imprese con oltre 20 addetti licenzieranno personale. Due milioni di lavoratori temporanei vedranno scadere il loro contratto entro la fine dell´anno.
La terza verità è che la «coperta» del nostro Welfare, con buona pace dei ministri Sacconi e Brunetta che la considerano la migliore del mondo, è corta e piena di buchi. Oltre 1 milione e mezzo di lavoratori, se licenziati, non hanno diritto ad alcun sostegno, e circa 800 mila lavoratori possono contare su un´indennità che non raggiunge i 500 euro al mese. Serve «una riforma organica e rigorosa» degli ammortizzatori sociali, e «una misura di sostegno al reddito per i casi non coperti». Non i pannicelli caldi della Cassa integrazione in deroga, o le pezze a colori dei fondi Fas.
La quarta verità è che anche la straordinaria virtù delle imprese del Quarto Capitalismo rischia di non reggere l´urto delle ristrutturazioni. Nelle prospettive sugli investimenti delle imprese manifatturiere permane «un forte pessimismo» per tutto il 2009. E tra le 500 mila piccole aziende con meno di 20 addetti, che danno lavoro a oltre 2 milioni di persone, è spesso «a rischio la stessa sopravvivenza». Purtroppo una Fiat che vince in America, o una Tod´s che sbarca in Fifth Avenue, non bastano a fare primavera.
La quinta verità è che una politica economica attendista e rinunciataria ci sta regalando un doppio maleficio: nessuna crescita dell´economia reale, ma nessun risanamento dei conti pubblici. Il governo fa poco per arginare la crisi, ma deficit, debito e spesa primaria corrente continuano a lievitare ugualmente a ritmi vertiginosi. Non è solo l´eredità immane del passato, ma è anche il paradosso italiano del presente. Per questo servono riforme strutturali immediate e «prospettiche», che ci permettano di rafforzare le manovre anti-cicliche oggi in cambio di un sicuro risanamento di bilancio domani. Dalle pensioni alla pubblica amministrazione, dalla scuola alle infrastrutture. C´è l´imbarazzo della scelta, se solo il governo passasse dalla rappresentazione all´azione.
La sesta verità è che il sommerso, eterna risorsa dell´Italietta furba e irresponsbile, non ci tirerà mai più fuori dal gorgo. L´economia irregolare che pesa per il 15% della ricchezza nazionale è un´anomalia insopportabile anche per un Paese di poeti, di santi e di evasori come il nostro. L´occultamento di una parte così alta di basi imponibili accresce ulteriormente l´onere di chi è ligio al dovere, riduce la competitività delle imprese, accresce le iniquità e «disarticola il tessuto sociale». E anche qui, il governo non fa quel che deve. Non è un caso che Draghi segnali il collasso delle entrate tributarie. Un gettito Iva che diminuisce dell´1,5%, anche quando i consumi crescono del 2,3%, vuol dire una cosa sola: l´area dell´evasione fiscale si sta allargando.
Sta tutto qui, nel divario tra verità e finzione, l´abisso analitico e «terapeutico» che separa il governo e il governatore. Per Berlusconi la crisi è un «dato psicologico», virtuale e «percepito». Per curarla, quindi, basta una tambureggiante psico-terapia collettiva, impartita attraverso il verbo suadente del premier o il titolo compiacente di un tg, per attivare nel cervello del cittadino- consumatore- imprenditore-risparmiatore le endorfine di un «positivismo ad ogni costo». Per Bankitalia (come già per Confindustria) la crisi è invece un «fatto economico», reale e vissuto. Per curarla, dunque, servono riforme vere, qui ed ora, che incidano sull´esistenza quotidiana delle persone, delle famiglie, delle imprese. Usa lo straordinario consenso che hai per cambiare e modernizzare questo Paese, era stata la sfida lanciata al Cavaliere dalla Marcegaglia. Draghi, con parole più sfumate, dice esattamente la stessa cosa. È significativo che a convergere su questa «piattaforma» riformista, contrapposta al «format» populista, stavolta ci siano anche i sindacati.
Sarà anche vero – come sostiene Giulio Tremonti in un´irrituale intervista «a orologeria» uscita ieri sul Sole 24 Ore, guarda caso proprio nel giorno delle Considerazioni finali – che la Banca d´Italia è solo «un´autorità tecnica», che la vera e unica «sovranità appartiene al popolo» e che «la responsabilità politica è del governo che ne risponde». Ma resta il fatto che Berlusconi sembra essere rimasto il solo a non capire che il puro galleggiamento, per questo Paese, è inutile. Non ci sarà nessuna quiete, dopo la «tempesta perfetta» che ha travolto noi, e che prima o poi rischia di travolgere anche lui.
m.gianninirepubblica.it
«Governo immobile contro la crisi», di Paolo Leon, L’Unità
Come al solito, le considerazioni finali del governatore della Banca d’Italia riflettono il suo ruolo: non è più l’autorità monetaria nazionale, e contribuisce solo parzialmente al consenso che si forma nella Banca Centrale Europea. Per questo, Draghi non analizza il comportamento dell’istituzione madre: in parte preferisce riferire sui compiti del Financial Stability Board, organo internazionale che egli presiede, e che dovrebbe evitare nuove grandi crisi finanziarie; in parte, se dovesse parlare della BCE, dovrebbe descriverne la lentezza di reazione di fronte alla crisi e la pigrizia nel formulare interventi per uscire dalla crisi reale, e non solo da quella finanziaria.
Il governatore, invece, sceglie una prospettiva nazionale e, sia pure con molta prudenza verbale, sostiene almeno cinque cose: a) che il governo non ha fatto nulla per la crisi reale, perché ha spostato risorse da un uso all’altro; b) che la fiducia è essenziale per uscire dalla crisi, ma che la crisi c’è, ed è fortissima, e che ignorarla ci rende degli struzzi; c) che il governo ha esteso troppo poco gli ammortizzatori sociali, aumentando la crisi dei consumi, mentre ha indotto un minor gettito dell’IVA, poiché i consumatori hanno acquistato merci povere a IVA minore; d) che la spesa in conto capitale non si è indirizzata verso i progetti di più rapida esecuzione; e) che sia consentito alle imprese di trattenere il TFR in azienda, mentre si riformino i fondi pensione complementari, per ridurne i rischi.
Draghi sta chiedendo al governo una politica di intervento molto più incisiva. E poiché conosce già l’obiezione di Tremonti (il debito pubblico), si affretta a sostenere che il maggior debito che si incorresse oggi con politiche attive, andrebbe ridotto domani, una volta usciti dalla crisi: meglio che niente, ma a me sarebbe piaciuto che avesse sostenuto che le giuste misure anticrisi riducono automaticamente il debito. Draghi ha ancora, infatti, una segreta passione per il vecchio pensiero unico. Il Governatore, ad esempio, pensa che alle banche basti una regolazione più seria; pensa che la banca sia un’impresa qualsiasi, non un servizio sociale; dimentica che sono gli impieghi che creano i depositi, e non il capitale accumulato dalle banche (della cui qualità egli stesso sembra nutrire dubbi). Il Governatore si trastulla con la privatizzazione dei servizi pubblici locali, ignorando se esistano imprese che capaci di essere efficienti e, allo stesso tempo, di minimizzare costi e massimizzare benefici collettivi. Nega legittimità alle spese correnti, anche oggi dopo la debacle della scuola. E anch’egli torna sulle pensioni (leggi eliminare l’anzianità), sia pure per sostenere che occorre aumentare il valore della pensione. In sostanza Draghi non ha riletto le manovre di Roosevelt del 1933 né quelle di Attlee del 1945. Capisco che noi abbiamo Berlusconi, e che il realismo non ci consente voli pindarici – ma un qualche riferimento alle novità di Obama sarebbe stato utile, insieme ad una raccomandazione al sindacato di farsi controparte del governo, e mai complice.
«Alzare lo sguardo», di Dario Vico, La Stampa
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«Supermario la speranza e la ragione», di Guido Gentili, Il Sole 24 ore
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