Finalmente si vota. Dopo una campagna elettorale lunghissima, che, tuttavia non ha suscitato indifferenza. Tutt’altro. Il 46% sostiene, infatti, di averla seguita con interesse (sondaggio LaPolis-Università di Urbino). Solo il 16% di averla,
invece, ignorata. GLI italiani, di fronte al voto, si dimostrano, dunque, coinvolti ma anche indecisi. D’altronde, con la Prima Repubblica, è finito anche il tempo in cui si votava sempre allo stesso modo. Per “atto di fede”. Nella Seconda Repubblica — e dunque, da vent’anni — si è continuato a dividere il mondo in due. A votare “contro”: Berlusconi oppure la Sinistra. Ma le fedeltà si sono stemperate. I dubbi sono cresciuti. E i tempi della decisione si sono allungati. Alle ultime consultazioni politiche, nel 2006 e nel 2008, circa il 15% dei votanti (intervistati dopo le elezioni, indagine La-Polis-Università di Urbino) afferma di aver deciso — “di” e
“per chi” votare — nel corso dell’ultima settimana. Una componente del 6-7%, in particolare, solo nel giorno del voto. Se così avvenisse anche in questa occasione, dunque, vi sarebbe ancora una quota di elettori indecisi, che si apprestano a votare, in grado di spostare gli equilibri tra forze politiche e schieramenti. Ma io credo che quanti decideranno solo oggi e domani — “se” e “per chi” votare — siano più numerosi rispetto alle ultime consultazioni: forse uno su dieci.
I “votanti dell’ultimo giorno”, infatti, si distinguono dagli altri per due aspetti specifici (LaPolis 2008). Per una maggiore propensione astensionista e, di conseguenza, per un elevato distacco verso i partiti e le istituzioni. Inoltre: per la preferenza verso liste esterne ai due maggiori schieramenti.
Da ciò derivano le ragioni che, oggi, alimentano l’indecisione.
In primo luogo, per la prima volta nella Seconda Repubblica, la competizione elettorale è multi-polare. Non mette di fronte due soli schieramenti e leader in grado di intercettare la quasi totalità dei voti, come nel 2006. O, comunque, molto più dell’80%, com’è sempre avvenuto nelle precedenti elezioni politiche (dopo il 1994). In questa occasione le due coalizioni maggiori, insieme, sembrano in grado di superare il 60%, ma non di molto. Mentre altri due soggetti politici — Monti e il M5S — sembrano destinati a condizionare gli assetti successivi al voto. Ciò ridimensiona la logica del “voto utile”. In quanto rende “utili” — e influenti — scelte diverse, non riassumibili nelle fratture bipolari del passato.
In secondo luogo, il distacco verso i partiti e le istituzioni ha raggiunto un livello molto più elevato rispetto al passato. E la tentazione astensionista, per questo, si è allargata ulteriormente. Non per indifferenza, ma per ostilità.
Un terzo “incentivo” all’incertezza è offerto dal M5S guidato da Beppe Grillo. Il quale mette in rete diverse istanze sociali e diverse rivendicazioni. Ma riflette e amplifica anche il deficit di fiducia verso la politica e i politici. Costituisce, dunque, un’alternativa all’astensione.
Così, è probabile che, in questa fase, l’indecisione di voto sia cresciuta e, di conseguenza, l’elettore “last minute” si sia diffuso ulteriormente. Perché si sono indeboliti i fattori che garantivano la stabilità — se non la fedeltà e la coerenza — degli orientamenti politici. I riferimenti di valore — se non le ideologie — e i legami con i partiti.
Ma anche la fiducia nei principali leader e la credibilità dei principali canali di comunicazione politica. In primo luogo, la tivù. Che risulta ancora il “mezzo” più “usato”, attraverso cui si informa gran parte della popolazione (l’80%). Ma è, al tempo stesso, “ab-usato” e considerato poco affidabile. Per questo non riesce a garantire un legame stabile con gli elettori. Ridotti a “consumatori” di un prodotto — i candidati e i partiti — che, anche per questo, tende a “consumarsi” in fretta.
Non è un caso che, come ha mostrato Luigi Ceccarini (in un articolo pubblicato sull’ultimo numero della rivista “Paradoxa”), l’influenza della tivù sulla scelta degli elettori si riduca rapidamente via via che ci si avvicina al voto. In particolare, fra gli “elettori dell’ultimo minuto”. I quali attribuiscono valore ai consigli e ai suggerimenti espressi e raccolti da familiari, amici, colleghi. In altri termini, gli “indecisi estremi” si “affidano” alle figure di cui hanno maggior “fiducia”. Così, fra gli elettori last minute, l’importanza riconosciuta al mondo delle relazioni dirette e personali sale: dal 13% al 25%. Un “indeciso” su quattro — tra coloro che alla fine, tra dubbi e incertezze, si “rassegnano” a votare — lo fa perché indotto e convinto da chi gli sta vicino. Da chi incontra e frequenta nel suo mondo di vita. Dove un tempo, non tanto tempo fa, erano presenti la politica e i partiti. Oggi non avviene più. Sono personaggi di un serial tivù. Scomparsi dal territorio e dalla società. I volontari, i militanti impegnati sul territorio, porta-a-porta: chi li ha visti? Così, “non ci resta che la famiglia”. Gli amici. I compagni di lavoro. A soccorrere gli indecisi, a orientare gli incerti. Fino all’ultimo minuto.
Finché resterà qualcuno, tra loro, a credere che votare serva, sia utile, c’è speranza. Che la democrazia rappresentativa abbia ancora senso.
La repubblica 24.02.12