«Il Pd dovrà governare l’Italia nei prossimi cinque armi e lo farà se in queste ore riusciremo a recuperare il voto degli indecisi». Matteo Renzi è nel suo studio al primo piano, tra gli affreschi di Palazzo Vecchio a Firenze. Qui risponde alle domande di Repubblica Tv. Sul tavolo, una pila di giornali, accanto l’iPad, dietro una fotografia di Nelson Mandela e una del presidente Napolitano.
Lei ha girato molto l’Italia in questi mesi, prima per le primarie poi per le elezioni: sé dovesse inviare su Instagram l’immagine simbolo di questo Paese che va al voto, cosa sceglierebbe?
«Una foto che non c’è ancora, quella di un bambino nato il 24 febbraio. Chi va al voto deve chiedersi: che paese consegneremo a questo bambino fra vent’anni? Questa campagna elettorale è stata troppo schiacciata sul contingente, è emblematica la questione tasse e dell’Imu. Cos’è l’Italia se non un paese produttore di bellezza? Il neonato di quella foto è forse ciò che è mancato in questa campagna per il voto, ma che io spero diventi il punto di riferimento del governo Bersani».
Cosa dice a quel 37,1% di giovani fra i 18 e i 25 armi che oggi è disoccupato?
«Il tema del lavoro è centrale per la politica. Io credo che a un ragazzo di 20 anni, oggi sia necessario dare un paese più semplice, dove possa realizzare le sue aspirazioni: se uno vuole aprire un’azienda e provare a mettersi in gioco, non deve essere schiacciato dalla burocrazia. Non possiamo dibattere sempre sull’articolo 18 che disciplina le uscite, dobbiamo occuparci di creare accessi più facili al lavoro».
Sì, ma come?
«Intanto attirando investimenti dall’estero. Qui a Firenze sono venuti i principali gruppi al mondo interessati a intervenire sulla città, ma scappano perché c’è una giustizia civile che fa paura, un livello di pressione fiscale alto e anche molto complicato. E scappano anche perché hanno paura di un Paese che è respingente. Penso che noi dovremo cambiare tutto questo, dobbiamo mettere un ragazzo in grado di trovare lavoro non perché conosce qualcuno ma perché conosce qualcosa, perché ha studiato. Sono convinto che il Pd si farà carico di tutto questo, sta per nascere una nuova Italia».
Renzi, cosa resta nel programma di Bersani dei temi per i quali ha lottato alle primarie?
«L’agenda digitale, la semplificazione amministrativa, i tagli ai costi della politica, le questioni ambientali».
Le battute volgari di Berlusconi sulla lavoratrice della Green Power riportano in primo piano la questione femminile.
«Sì e penso che vada affrontata in un orizzonte culturale più ampio rispetto al fatto specifico. Nei mesi scorsi autorevoli giornali internazionali hanno scritto articoli, colpiti dalla rappresentazione della donna nelle pubblicità presenti sui muri di Roma. La donna è associata a tutto: dalla macchina al telefono e in pose che la trasformano spesso in donna oggetto. D a un po’ di tempo credo che sia cambiata la percezione culturale, basti pensare alle battaglie di “Se non ora quando”. E allora va fatta una riflessione che coinvolge anche i media quando, per esempio, dedicano mezza pagina al dibattito sulla farfallina di Belen».
Intanto Beppe Grillo riempie le piazze.
«Grillo prende un elettorato trasversale, un po’ dalla sinistra, un po’ dalla destra, soprattutto dai leghisti delusi. Dice anche delle cose giuste…».
Quali?
«Quando chiede il taglio dei costi della politica, l’innovazione digitale, nuove politiche ambientali… Come è possibile, mi chiedo, che in alcune regioni ci siano ancora dei vitalizi? E’ evidente che questo non è un privilegio, ma uno squilibrio pazzesco che fa indignare la gente. Pensi ai test per il concorsone della scuola, quanti di quelli che stanno in Parlamento li avrebbero superati? I cittadini si arrabbiano e la politica deve dare delle risposte per evitare il populismo. Perché poi Grillo dice anche molte assurdità quando parla di mafia, di Aids, quando racconta di un governo che verrà…».
Pensa che sia assurdo un governo di Grillo?
«Grillo non vuole governare, vuole suscitare scandalo, ma qui c’è un Paese da rimettere a posto e il voto a Bersani serve a questo».
La Repubblica 23.02.13