Nella sue frequenti interviste televisive l’ex premier Berlusconi non manca mai di illustrare i difetti – a suo dire – della Costituzione italiana per attribuire ad essi il nulla di fatto dei suoi anni di governo. Per ragioni di spazio mi limiterò qui di seguito ad evidenziare solo tre affermazioni che lo stesso Berlusconi sa bene non rispondenti al vero.
Il premier non conta nulla.
Affermazione del tutto falsa. Nell’atto di costituzione del 22 dicembre 2008 nel giudizio di costituzionalità concernente il cosiddetto lodo Alfano, firmato da Silvio Berlusconi, Niccolò Ghedini e Piero Longo, sta scritto che «…la funzione del presidente del Consiglio, proprio per il riconoscimento espresso ed esclusivo dei poteri di direzione, indirizzo, promozione e coordinazione, dimostra che questa fondamentale figura politica si trova in una posizione differenziata rispetto agli altri componenti del governo». Dopo di che vi è, nell’atto, una minuta esposizione – che si estende da pagina 32 a pagina 35 – dei poteri che la legge numero 400 del 1988 attribuisce al presidente del Consiglio, e che si conclude significativamente con le seguenti parole: «Ciò ricordato solo in via esemplificativa (sic!), non è davvero possibile sostenere che l’ordinamento ponga il presidente del Consiglio ed i ministri sullo stesso piano». Diversamente dal 2008, Berlusconi ora sostiene che la Presidenza del Consiglio sarebbe meno importante del ministero dell’Economia. Come nell’apologo della volpe e l’uva.
Il premier non può revocare i ministri.
Affermazione vera solo dal punto di vista formale. Berlusconi stesso indusse alle dimissioni nel gennaio del 2002 Renato Ruggiero, ministro degli Esteri; nel luglio del 2004 Giulio Tremonti, ministro dell’Economia; nel dicembre 2005 Domenico Siniscalco, ministro dell’Economia. Mentre nel primo caso fu lo stesso premier ad assumere l’interim, negli altri due casi se Tremonti e Siniscalco non si fossero dimessi, Berlusconi avrebbe ben potuto chiedere al presidente della Repubblica di nominare, ai sensi dell’articolo 92 della Costituzione, i successori costringendo così i precedenti titolari ad andarsene. La stessa cosa Berlusconi non poté invece fare con Tremonti alla fine nella scorsa legislatura, ma ciò dipese non dalla Costituzione bensì dal fatto che la maggioranza di governo non era più coesa come all’inizio. L’eventuale “revoca” di Tremonti avrebbe quindi probabilmente determinato la crisi del IV governo Berlusconi, in quanto Tremonti godeva di forti appoggi nella Lega e fuori di essa.
Il premier non ha potere di decretazione.
È una vera balla. La Costituzione attribuisce al governo il potere di adottare decreti legge in casi straordinari di necessità e d’urgenza che non ha l’eguale né in Germania né nel Regno Unito. Per limitarci alla sola XVI legislatura, oltre a cinque decreti legge del governo Prodi “ripescati” dalla XV legislatura, Berlusconi ne ha presentati 80 per la conversione in legge e Monti 38. Complessivamente, quindi, 123 decreti legge, di cui 106 convertiti in legge, 15 decaduti e due respinti.
Il vero è che quando Berlusconi ripete che il premier non avrebbe poteri di decretazione, probabilmente allude al fatto che, secondo la nostra Costituzione, è il presidente della Repubblica ad emanare i decreti legge e non il premier, come da lui preteso. Questa tesi, insieme con un esplicito appello al popolo, fu per vero sostenuta da Berlusconi in occasione del caso Englaro, in aperta critica al presidente
Napolitano che si era giustamente rifiutato di emanare un decreto per «mantenere in vita» la povera Eluana (sic!) contro le decisioni della corte di Cassazione e della corte d’Appello di Milano. Un decreto, quello preteso da Berlusconi, che avrebbe certamente provocato un conflitto di attribuzioni tra poteri, il cui esito sarebbe stato assai probabilmente esiziale per il governo e per la stessa immagine del presidente della Repubblica.
Fin qui i decreti legge. Non si deve però passar sotto silenzio l’abnorme potere di decretazione delegata ora esercitato dal governo, sempre più pervasivo per la latitudine dei poteri concessi nelle leggi-delega e per la possibilità del governo di adottare decreti correttivi. Per contro, l’approvazione di leggi d’iniziativa parlamentare sta enormemente diminuendo, con un grave squilibrio tra esecutivo e legislativo e per la funzionalità del sistema.
Ultimo rilievo. Berlusconi conclude immancabilmente la sua illustrazione dei (pretesi) difetti della nostra Costituzione con le parole «…e alla fine la Corte costituzionale abroga la legge così faticosamente approvata». A parte l’inesattezza tecnica che se fosse ancora studente gli costerebbe una bocciatura in diritto costituzionale perché l’abrogazione di una legge è determinata da una scelta politico-discrezionale del legislatore o dall’esito favorevole di un referendum popolare, e non da una sentenza della Corte costituzionale dichiarativa dell’incostituzionalità di una legge, Berlusconi non si accorge che un’affermazione del genere costituisce un boomerang
per la tesi da lui sostenuta. Se la Corte dichiara l’incostituzionalità di una legge significa che era sin dall’origine viziata, e quindi non avrebbe dovuto nemmeno essere concepita.
La Repubblica 29.02.13
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