Vista da Napoli la campagna elettorale appare davvero surreale. Con l’eccezione del Pd, e in parti- colare dello sforzo di Bersani, quasi tutto il dibattito ha preso una direzione totalmente rovesciata rispetto alla priorità dei problemi. I temi del lavoro, del- la crescita e della sua qualità, del Mezzogiorno, della coesione, della inoccupazione giovanile e della precarietà, avrebbero dovuto costituire il cuore del confronto dei programmi vista la pesantezza della crisi. E invece sono stati sostituiti dal fisco, dalla tassazione della casa, dalla fantasia delle promesse e dalla irresponsabilità diffusa. Sui problemi del Welfare, dalla sanità all’istruzione, su quelli della povertà e dell’esclusione sociale, sulla condizione dei pensionati, anche qui con l’eccezione del Pd, il confronto elettorale non ha registrato sostanzialmente nulla. Tutto questo naturalmente impoverisce la serietà e la qualità del confronto, allarga e non riduce il distacco tra cittadini e politica, finendo per alimentare ogni suggestione populista e antidemocratica. Insieme conferma l’anomalia tutta italiana dei partiti e dei movimenti personali che per definizione non sono in grado di produrre un credibile progetto di governo del Paese. E per converso non è un caso che solo il Pd mantenga il profilo di merito e la sobrietà che una campagna elettorale a un tempo difficile e fondamentale richiede. In un dibattito così il Mezzogiorno si ritrova poco. La caduta del reddito, confermata per ultimo dall’Istat, ne riporta la condizione sociale e produttiva indietro di decenni. A Napoli la inoccupazione giovanile è quasi al 50 percento, l’occupazione femminile al 16. Nelle mense della Caritas per la prima volta la presenza dei cittadini italiani supera quella dei migranti, una parte dei quali silenziosamente è ripartita in cerca di nuovi luoghi dove trovare occupazione perché qui è difficile recuperare un senso di speranza. E anche gli intellettuali sembrano fermi dopo le delusioni seguite a tante aperture di credito. Le difficoltà finanziarie del Comune, con i tagli a tutto il settore sociale, e l’assenza di un forte ruolo della Regione tolgono altri e importanti riferimenti. Si avverte l’assenza di un progetto da cui ripartire, e in questo vuoto si ampliano le solitudini e i drammi sociali e si fanno strada forme di ribellismo e di rifiuto delle regole e la ricerca irrazionale di vie di uscita affidate al Masaniello di turno. Nella crisi l’attività della criminalità organizzata diventa più forte, economicamente e socialmente. Cosa possiamo fare e cosa dobbiamo fare in questa situazione? Sicuramente non promettere cose che non si potranno mantenere passate le elezioni. Ma tenere ferme con decisione quelle scelte che sono in grado di rappresentare, soprattutto al Sud, delle risposte. Risolvere il problema degli esodati e quello dei crediti delle imprese verso le Pubbliche Amministrazioni: due temi che hanno il segno di ridare credibilità al ruolo dello Stato. Rifinanziare gli ammortizzatori sociali significa dare un po’ di sostegno a tanti lavoratori di aziende in crisi, pur sapendo che questo alla lunga non risolve né la prospettiva né la condizione di reddito. Allentare il patto di stabilità può sbloccare a breve investimenti, creare posti di lavoro e la ripresa di un’azione di messa in sicurezza del territorio. Investire le risorse possibili per l’occupazione giovanile e la stabilità del lavoro può invertire anche se di poco una pesantissima condizione giovanile. Fare ripartire il settore delle costruzioni, la riqualificazione urbana e l’edilizia a consumo zero di territorio, è una leva anticlica e di cambiamento di modello economico colpevolmente trascurato fino ad oggi. In più occorre aggiungere un aumento di risorse al sistema scolastico e universitario, al diritto allo studio, al rapporto tra innovazione, ricerca e impresa. Questo è quello che si può fare, insieme a una ridiscussione delle modalità di utilizzo dei fondi europei, in un quadro di forte insoddisfazione per un bilancio europeo che è troppo al di sotto del bisogno di crescita, di investimenti e di occupazione. Ma è evidente che si tratta solo di una prima e parziale risposta. La caduta degli investimenti in questa parte del Sud, compresi quelli pubblici in conto capitale, negli ultimi quindici anni racconta del divario infrastrutturale che è aumentato con il resto del Paese. Nella Regione più giovane dell’Italia tutto questo non può essere tollerato, perché è qui il cuore di una contraddizione che deve trovare un esito positivo, anche per ridare un senso, e quindi una speranza, al bisogno di coesione e di unità del Paese. Sì e No Tav, ex leghisti, Pdl e sinistra Lo strano popolo del capocomico … Non vedono diversità fra una storia e l’altra, fra la sinistra e la destra, fra padrone e sindacato
L’Unità 18.02.13