Segretario Bersani, comunque vadano le elezioni, un’alleanza tra voi e Monti pare inevitabile.
«Ho sempre detto che anche se avremo il 51 per cento ragioneremo come se avessimo il 49. In teoria un rapporto è possibile, ma fino a qui ho sentito solo critiche al Pd e assurde preclusioni nei confronti di Vendola».
Le chiedessero di scaricare il leader di Sel?
«Non esiste! Tre milioni e 200mila persone hanno deciso che questa è l’alleanza di governo: le critiche a Vendola mi irritano, la richiesta di liquidarlo mi offende».
Si imputa a Monti una visione élitaria della politica…
«In effetti, io cerco di stare all’altezza degli occhi della gente mentre lui guarda le cose dall’alto. Siamo diversi, io guido una forza popolare e tutti sanno che dopo Bersani ci sarà ancora il Pd, mentre mi chiedo cosa ci sarà dopo Monti così come dopo Berlusconi».
I due si assomigliano?
«Diciamo che hanno una comune tendenza al comando solitario».
Sostenere che l’élite finanziaria vuole una politica debole significa fare della demagogia?
«No, il rischio c’è. Ma dev’essere la politica ad impedirlo: se si crea un vuoto, qualcuno lo riempirà».
Il punto è: la politica ha ancora la forza per opporsi?
«Questo è il tema di fondo. A livello nazionale la sovranità non c’è già più, se ne esce portandola ad un livello più alto attraverso gli stati uniti d’Europa e incentivando meccanismi di partecipazione dal basso come le primarie».
Per Monti immagina un ruolo operativo o istituzionale?
«Quando si ipotizzò un suo ruolo istituzionale al servizio del Paese Monti aveva un profilo diverso. Ora ha cambiato veste, è entrato in politica…».
Dunque s’è giocato quantomeno il Quirinale?
«Per il Quirinale occorre una figura di garanzia e, come dimostrano i casi di Napolitano e Ciampi, negli anni il centrosinistra ha saputo esprimere personalità di altissimo profilo».
E Monti non è di centrosinistra.
«Qualche problemino c’è. In Europa io sono con tutti e due i piedi nell’alleanza dei progressisti, lui non è ancora chiaro dove si collocherà».
Detto questo, di lui avrete comunque bisogno.
«Lo vedremo, chi arriva primo non avrà l’esclusiva, ma sia chiaro: il traffico lo dirigerò io e il confronto sarà sul programma».
Sarà che lei inclina poco alle promesse elettorali, ma l’accusano di non avere un progetto articolato per reagire alla crisi…
«È vero il contrario. Chi pensa di uscire dalla crisi tirando fuori un coniglio dal cappello non ha capito come siamo messi. Io non dò titoli squillanti, ma so cosa fare».
Ossia?
«Le direttrici saranno moralità e lavoro. Occorre dare risposte all’indignazione di tanta gente approvando a tambur battente delle norme in favore della sobrietà politica e contro la corruzione».
E sul lavoro?
«Le elenco cinque punti per ottenere un segno più almeno nel 2014. Primo: dare liquidità alle imprese utilizzando anche la cassa depositi e prestiti ed emettendo buoni dedicati ai pagamenti della pubblica amministrazione».
Secondo?
«Un piano di piccole opere pubbliche volto ad ammodernare scuole ed ospedali».
Con quali soldi?
«Utilizzando i fondi strutturali e riducendo le spese per la Difesa».
Andiamo avanti.
«Occorre poi alleggerire il piano di stabilità interno per dare ossigeno ai comuni, varare un piano di economia verde sulla falsariga delle ristrutturazioni edilizie a fini ambientali, realizzare la banda larga, riprendere in mano la politica industriale».
Sul lavoro, l’Ocse ci chiede più flessibilità in entrata e in uscita.
«Non sempre l’Ocse dice cose giuste. Oggi, il tema della flessibilità non va preso dal lato normativo: il punto è incoraggiare la contrattazione decentrata trovando dei criteri per assicurare la partecipazione dei lavoratori».
Il Giorno 16.02.13