Dopo il tacchino sul tetto, (quello che ha fatto impazzire Matteo Renzi) e il giaguaro da smacchiare, ecco che entra in campagna elettorale anche «la mucca in corridoio». Affollamento metaforico, tentazione irresistibile per il leader del centrosinistra Pier Luigi Bersani. Parla nel bolognese, ad un comizio, e sbotta contro quel continuo «misurare la distanza tra me e Monti, tra me e Vendola», senza rendersi conto che il problema è altro, il giaguaro, la mucca, cioè la destra, vale a dire Silvio Berlusconi, che punta all’ingovernabilità, che sdogana le tangenti, promette quattro milioni di posti di lavoro, poi fa un passo indietro, poi rilancia sull’Imu, sulle tasse… «Questi lunghi anni della destra dice la mattina da Repubblica Tv e ripete poi in Emilia Romagna, dove ci sono anche Dario Franceschini e Vasco Errani (altro nome in odor di ministero) ci hanno consegnato una catastrofe sociale, economica, etica e morale», distruggendo «gli anticorpi» giù fortemente indeboliti dalla crisi. «Quando senti uno che giustifica, hai capito da dove viene il problema. Dobbiamo invece pretendere che la magistratura vada fino in fondo», dice riferendosi agli arresti eccellenti che stanno mettendo in ginocchio le aziende e le banche più importanti del Paese. Non crede che sia tratti di una nuova Tangentopoli,«la storia non si ripete mai negli stessi termini», non vede «manone» che manovrano i fili, ma neanche nega «che possa esserci un’iniziativa talvolta un po’ troppo spinta rispetta a un giusto equilibrio, ma non posso accettare che non si vada fino in fondo e che non si faccia pulizia», soprattutto perché fino a quando non si sconfigge la corruzione a rischio sono «le nostre imprese».
Il rischio è che le vicende giudiziarie influiscano in maniera pesante sulla campagna elettorale andando a gonfiare le vele, già gonfie, di Beppe Grillo, o di Rivoluzione civile, creando i presupposti per una maggioranza zoppa al Senato. Per questo il segretario Pd dedica gli ultimi otto giorni di campagna elettorale a chiedere che non si disperda il voto, «l’unica coalizione in grado di garantire stabilità e di sconfiggere la destra è la nostra», ripete come un mantra. Ecco perché non ne può, spiega, di sentirsi chiedere come farà a tenere insieme Monti e Vendola. «Se sarà necessario, opportuno.. Lì ci penso io, eh, perché le primarie hanno deciso chi dirige il traffico», avverte. Sarà lui a dettare le condizioni manda a dire al premier uscente, ricordando a Vendola che il faro è la carta di intenti e lì in quel recinto ci si muove. «Dopodiché aggiunge le cose che stiamo dicendo passeranno purtroppo in second’ordine e voglio vedere chi si sottrae alla responsabilità di fare qualcosa, subito, per il cambiamento. Io non immagino di mettermi in segrete stanze a tirar lì con questo o con quell’altro. Io immagino di mettere lì 4-5 provvedimenti e vedere chi si tira dietro». L’alleanza con Vendola, d’altro canto, è solidissima. «Di Bersani mi fido dice il governatore pugliese -, è una persona di straordinaria lealtà, non è un cinico».
Bersani ricambia e a Monti fa sapere di essere stanco degli attacchi «stucchevoli a Vendola», mentre a Ingroia spezza ogni speranza di dialogo. «Impensabile». «Questi osserva mi hanno massacrato per un anno». Nega il patto di desistenza al Senato, «io non ho mai promesso niente, ho fatto un ragionamento. Politicamente non siamo componibili, Vendola ha sempre compreso la posizione del Pd, questi qua no». Non dimentica l’anno complicato del sostegno a Monti, con Di Pietro all’opposizione del Professore e all’attacco del Pd. «Cosa faccio, vado dagli elettori e dico “ora siamo insieme?”».
Il leader di centrosinistra sa cosa sta accadendo nella base elettorale dell’ex pm: saranno in molti a praticare il voto disgiunto. L’ultimo nome di peso quello di Moni Ovadia che ieri ha annunciato di votare Sel al Senato in Lombardia. «Io mi rivolgo agli elettori, è a loro che chiedo di darci fiducia», dice Bersani guardando quei sondaggi che dicono che la partita è aperta anche in Campania dove il Pdl, dopo aver perso i suoi pezzi da novanta come Nicola Cosentino, è in affanno.
Si può vincere con il 51% anche al Senato, dice ai militanti chiamandoli allo sforzo finale. «Bisogna vincere alla grande. Non un pochino. Vincere un pochino, lo sai benissimo, provoca rischi», gli augura in un video messaggio Romano Prodi che ricorda «non lo dovrei dire a te perché ogni volta che mi voltavo eri uno dei non molti che mi era sempre vicino. Proprio per questo insieme dobbiamo pensare ai rischi di vincere per poco. Bisogna vincere per molto. Questo è il mio augurio ed è l’augurio che facciamo tutti insieme a te e al Partito democratico». Prodi conclude avvertendo che sarà il lavoro il tema cruciale della prossima legislatura, tema «che sarà al centro della nostra azione, la nostra prima preoccupazione», assicura Bersani. Una delle prime, insieme alla legge sull’immigrazione che annuncia di voler cambiare, la legge sulla cittadinanza, quella sull’inasprimento delle pene per la corruzione, la reintroduzione del falso in bilancio, del conflitto di interessi.
Delinea il profilo del suo governo, ci saranno «presenze di esperienza», il ministero dell’Economia dovrà cedere «funzioni» a quello dello Sviluppo economico per aprire spazi all’economia reale, insomma ci sarà «gente che sappia governare il manico», tanto per restare nella metafora.
L’Unità 16.02.13
******
Bersani: “Tra Monti e Vendola dirigere il traffico spetta a me”. Il Professore: mi offrì Colle e premiership per non farmi correre, di Francesco Bei e Tommaso Ciriaco
«Le primarie hanno anche stabilito chi dirige il traffico: se sarà necessario, opportuno, praticabile» allearsi con il centro montiano «lo decido io». Pier Luigi Bersani, a Repubblica Tv, rivendica il suo ruolo guida nella formazione del governo e, soprattutto, riguardo al perimetro che dovrà avere la maggioranza. Con dentro Monti oppure no? Il segretario lascia aperta ogni possibilità: «Un conto è se abbiamo il 51%…Dopodiché, con i problemi che purtroppo abbiamo davanti, voglio vedere chi si sottrae alla responsabilità del cambiamento».
A una settimana dal voto la campagna impone a ciascuno di recitare la sua parte. E dunque Vendola avverte che l’alleanza «non è un guinzaglio e io non sono il cagnolino da salotto del centrosinistra ». Tuttavia nemmeno il leader di Sel pone pregiudiziali assolute contro il centro: «I compagni di viaggio mi interessano relativamente, quello che mi interessa è la direzione del viaggio ». In ogni caso, aggiunge, «non fasciamoci la testa prima che si sia rotta, abbiamo una settimana per impedire che vinca la palude, per questo spero che vinca il centrosinistra con pienezza di numeri ». Un’esortazione a Bersani arriva anche da Prodi con un videomessaggio: «Bisogna vincere alla grande. Non un pochino».
Scottato dalle polemiche suscitate nei giorni scorsi dalla sua apertura a Vendola (poi ritrattata), Monti ribadisce invece la sua equidistanza. In questo momento «le chance di un’alleanza con il centrodestra senza Berlusconi» e con il centrosinistra «sono le stesse». Ma ad Agorà il Professore svela anche un retroscena potenzialmente imbarazzante per il Pd. Lascia infatti intravedere i contorni di una trattativa scabrosa. Oltre alla presidenza della Repubblica, se Monti avesse deciso di non essere in campo alle elezioni, gli erano state offerte «posizioni di quasi vertice o di vertice nel governo». A distanza, Bersani minimizza: «Credo non ci sia nessuno che possa offrire il Quirinale, certamente ci può essere chi non avrebbe escluso un’ipotesi del genere». Ma Monti in tv insiste. Quella del Quirinale o di palazzo Chigi era «una possibilità». Avanzata da chi? Il leader di Scelta Civica in pubblico non fa nomi. Ma a telecamere spente rivela di aver avuto una «conversazione» di questo tipo proprio con Bersani. Che, a quanto pare, sarebbe stato disposto a lasciargli la poltrona a palazzo Chigi in cambio di un addio alla lista Scelta Civica. Offerta rifiutata, perché «solo avendo alle spalle la forza di un movimento si possono davvero cambiare le cose».
E tuttavia il «movimento» del Professore sembra al suo interno piuttosto lacerato. Nonostante le pressioni insistenti di Casini e Fini, finora non c’è stato un evento a cui i tre fondatori abbiano partecipato assieme. Manca insomma la “foto di gruppo”. E
Monti — sostenuto in questo da Riccardi e Montezemolo — continua a ritenere che non sia opportuno farsi vedere insieme ai due «politici di professione». Questa corsa separata del “tridente” rischia di essere però molto costosa per Udc e Fli, a cui i “civici” sottraggono visibilità e consensi. Per questo Casini è tornato all’attacco: «Caro Mario, non possiamo pagare questo prezzo. Almeno nell’ultima settimana di campagna dobbiamo salire tutti insieme sullo stesso palco». Ma il premier per ora fa finta di non sentire.
La Repubblica 16.02.13