I diritti civili della persona, sacrosanti, non sono ancora diritti alle unioni fra le persone. La svolta della Chiesa di Roma sul riconoscimento dell’eguaglianza dei diritti civili degli omosessuali è indubbiamente un evento importante. Come ricordava Vito Mancuso su questo quotidiano, mai era successo che un prelato ammettesse che i diritti civili sono eguali per tutti in materia di convivenza. Lo ha fatto monsignor Vincenzo Paglia, il nuovo Presidente per il Pontificio Consiglio per la Famiglia. Il pronunciamento è importante perché centrato sull’eguale rispetto delle persone e la condanna della discriminazione che la criminalizzazione dell’omosessualità genera, come verifichiamo quotidianamente anche nel nostro Paese. Una battaglia di civiltà, sulla quale papa Benedetto XVI si è varie volte pronunciato mettendo in luce le sofferenze che ancora troppi governi infliggono a chi sceglie di vivere una relazione non eterosessuale.
Ma il riconoscimento che chi vive una “amicizia” omosessuale debba godere degli stessi diritti civili degli altri individui non significa riconoscimento della coppia omosessuale. Diritti sacrosanti della persona come tale e non dirittidi veder legalizzata la convivenza con una persona dello stesso sesso: un fatto di giustizia rispetto al quale è uno scandalo che anche Stati democratici avanzati, come il nostro, siano ancora tanto inadempienti. Trovare “soluzioni di diritto privato”, all’interno del “codice civile” per questioni legate al “patrimonio” (trasmissione ereditaria e comunità dei beni), è l’abc dello stato di diritto, soprattutto un coerente intervento in materia di diritto di proprietà. Ma diritti civili della persona, sacrosanti, non sono ancora diritti alle unioni fra le persone. Non si può pretendere che la Chiesa dia la benedizione a tutto ciò che vogliamo e desideriamo; ma sarebbe un errore di valutazione pensare che con questo pronunciamento la Chiesa si sia spinta fino al punto di dare la propria benedizione alle coppie non eterosessuali.
Monsignor Paglia spiega che il no della Chiesa al matrimonio gay è coerente alla legge perché “la Costituzione italiana parla molto chiaramente, ma prima ancora era il diritto romano che stabiliva cosa fosse il matrimonio”. Quindi la legge civile è la prima responsabile di questa discriminazione, non la dottrina religiosa. Si dovrebbe aggiungere che non tutti i codici sono quello italiano e che quindi la posizione della Chiesa è in linea non tanto con la legge civile, ma con la legislazione italiana – ci possono essere soluzioni diverse e tuttavia in perfetta sintonia con il diritto civile come si è visto in Francia. Ma è poi vero che la Costituzione italiana sia così esplicita e univoca nel respingere il matrimo-nio eterosessuale o meglio ancora nel definire il matrimonio?
Leggiamo l’art. 29 della nostra Costituzione: “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare”. Come si vede, la Costituzione non specifica l’identità sessuale dei coniugi o la composizione della famiglia. Certo, si potrebbe sostenere che questa non specificità linguistica fosse indice della mentalità dei costituenti, nella quale non rientrava molto probabilmente n’è l’opzione di coppia omosessuale né la fecondazione artificiale o l’adozione da parte di coppie non eterosessuali. Che senso aveva specificare ciò che era ritenuto naturale, normale, ovvio? Una costituzione è viva perché consente alle generazioni che verranno la libertà di farla propria, di interpretarla secondo le esigenze del loro tempo, con i diritti civili come bussola. Il silenzio della nostra Costituzione sulla definizione di matrimonio e di famiglia è un segno della sua saggezza più che una dichiarazione dogmatica su che cosa sia il matrimonio, ed è una garanzia della nostra libertà politica di decisione. La Costituzione ci orienta a interpretare che cosa sia “negoziabile” e assegna alla comunità politica (il governo democratico) l’autorità di dichiarare, nella legge civile, che cosa sia nonnegoziabile. Il tema della laicità (dell’autonomia della legge civile dalle credenze religiose) non sta
tanto nella separazione tra ciò che è di Cesare e ciò che è di Dio, ma nel decidere chi stabilisce questa separazione e come la si negozia. In questa negoziazione consiste la vita democratica. Della quale la Chiesa è parte con la sua opinione e la sua libertà di partecipare alla costruzione degli orientamenti politici come tutte le altre associazioni della società civile.L’interpretazione della Costituzione riflette la lotta politica e le differenze di opinione che operano liberamente nella società. Le istituzioni non sono sigillate o rese impermeabili alla società civile (cosa che è non solo impossibile, ma sarebbe inoltre indesiderabile in una democrazia rappresentativa). L’esito di questo scambio, di questa tensione interpretativa, è la formulazione di leggi o decisioni che siano in sintonia con lo spirito della Costituzione, il quale è molto più elastico di quanto non appaia e, soprattutto, non sepolto nella mente dei costitutenti ma vivo nella nostra. E la definizione del matrimonio è una questione non chiusa come ci suggerisce monsignor Paglia, ma aperta a interpretazioni che non sono per nulla scontate o “non negoziabili”.
La Repubblica 07.02.12