Era un atto dovuto, richiesto dalla legge Gelmini, ma il decreto sul diritto allo studio proposto dal ministro Profumo non ha avuto l’accoglienza riservata alle grandi riforme. «Siamo convinti che non si possa in nessun modo approvare un decreto del genere così frettolosamente e prima della fine della legislatura dichiara il sindacato studentesco Link -, non si può fare finta che non esista un problema d’accesso e diritto allo studio in Italia che di certo non si risolve, ma si aggraverebbe ancora di più con l’emanazione di questo decreto». Ieri gli studenti si sono ritrovati a Roma per la seduta del Consiglio nazionale degli studenti universitari che avrebbe dovuto varare il proprio parere. Gli studenti delle liste di sinistra, che sono il gruppo più numeroso, hanno scelto però di non partecipare alla seduta e di richiedere al ministro Profumo una pausa di riflessione. «Chiediamo al ministro di ritirare questo decreto. Pensiamo sia meglio che a occuparsi di questa materia sia il prossimo governo e non un ministro in scadenza», spiega Enrico Lippo, capogruppo degli studenti di sinistra al Cnsu. Molti, secondo gli studenti, gli elementi di criticità. Negli ultimi due anni le borse di studio erogate sono calate del 31%, passando da 147.000 a poco più di 110.000. E, stando alle stime degli studenti, fra pochi mesi il numero dei borsisti potrebbe assottigliarsi a poco più di 89mila beneficiari. Il decreto infatti abbassa le soglie massime di reddito di accesso alle borse di studio e le differenzia per Regione: 20mila euro in Lombardia, 17.150 nel Lazio e 14.300 in Sicilia e Campania. Attualmente, il limite per tutti è di 20.124,71 euro annui. Raddoppiano poi i crediti che ogni studente deve acquisire per vedersi garantita la borsa di studio negli anni successivi al primo. A prescindere dalle condizioni sociali di partenza, il diritto allo studio dovrebbe garantire a tutti di accedere ai livelli più elevati dell’istruzione. Purtroppo non è così. La trappola sociale che blocca la mobilità sociale dei giovani italiani infatti non ha pari in Europa, almeno secondo i dati Ocse dell’annuale rapporto sull’istruzione che analizza la provenienza sociale degli studenti italiani: nel loro percorso educativo è ancora troppo forte il peso del background sociale dei genitori. Anche i recenti dati del Cun (il Consiglio universitario nazionale) evidenziano un crollo delle iscrizioni che coinvolge soprattutto le fasce più deboli della popolazione. «Ieri il ministro ha contestato in un’intervista a La Stampa i numeri del crollo, sostenendo che a diminuire sono solamente gli iscritti “tardivi”. Peccato però che i dati del Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario dicano il contrario. Nel 2007 il 68% dei dicianovenni si iscriveva all’università, oggi questa percentuale è scesa al 61%», così Federico Nastasi, portavoce della Rete universitaria nazionale, parlando del crollo delle immatricolazioni accusa esplicitamente il sistema italiano di essere inefficiente e iniquo. E dagli studenti è partito l’appello al presidente della Repubblica e ai governatori della Puglia e della Toscana per cercare di bloccare in extremis questa riforma. Il 7 il decreto arriverà sul tavolo della conferenza Stato-Regioni per il parere obbligatorio degli enti locali. Anche in quella sede ci sarà più di un assessore regionale disponibile ad alzare un po’ la voce. Anche loro infatti lamentano il fatto di esser stati abbandonati dallo Stato nel contrasto alla crescente crisi dei ceti medi. E se anche da loro arrivasse una bocciatura al decreto, sarebbe veramente necessaria una pausa di riflessione.
da L’Unità
Pubblicato il 5 Febbraio 2013