A tre settimane dalle elezioni, i mercati hanno votato ieri, segnalando tutto il loro allarme. Borsa in calo di 4 punti e mezzo (la più debole d’Europa), le banche che arrivano a perdere più di 6 punti, lo spread che risale di 20 punti base, a quota 285. La tregua è finita, il recupero di credibilità del governo Monti rischia di essere mangiato pezzo a pezzo, insieme col rigore e le riforme dell’ultimo anno, dalla confusione politica che porta nuovamente a galla – com’è inevitabile – tutte le debolezze drammatiche dell’Italia. Un Paese, non dimentichiamolo, che nel 2013 dovrà collocare sul mercato ben 410 miliardi di titoli per finanziarsi il debito: appena 60 in meno del 2012, l’anno peggiore del dopoguerra.
Quel che è successo è sotto gli occhi di tutti. Gli scandali Mps e Saipem trasmettono l’immagine di un sistema inaffidabile, che trucca i conti in un caso e nell’altro inganna la stessa vigilanza: Siena in più manda il segnale d’allarme di una contiguità di interessi e di potere tra la terza banca del Paese e la politica (in questo caso la sinistra), e soprattutto getta un’ombra sul mondo bancario italiano, fino ad oggi più riparato di altri mondi davanti all’urto della crisi.
In questo paesaggio di fragilità e di nuovi dubbi sul-l’Italia, irrompe il fattore Berlusconi. I report di tutte le banche d’affari occidentali, ieri, lo citano espressamente, per nome e cognome. Gli operatori finanziari, com’è evidente, non inseguono la piccola politica quotidiana, badano agli scarti di sistema, alle svolte, alle incognite, ai rapporti di forza. Non hanno certo in simpatia la sinistra, in qualunque Paese operi. Non è dunque il recupero di qualche percentuale da parte di Berlusconi che spaventa i mercati. È la combinazione tra il populismo elettorale, di propaganda, della destra italiana, e le possibili conseguenze che questa avventura politica rischia di proiettare sull’azione del prossimo governo, sulla linea della futura maggioranza, sullo spirito del nuovo parlamento. Sul ruolo quindi che l’Italia giocherà in Europa.
È evidente a tutti che la campagna elettorale è il luogo della radicalità, degli slogan, delle promesse, e dunque di un linguaggio forte e persino estremo. Ma in politica, almeno da parte di chi compete per governare, la radicalità elettorale va combinata con la responsabilità dell’amministrazione. Bisogna sostenere le promesse con la credibilità che si è conquistata quando si governava. Bisogna misurarle con la sostenibilità della fase in cui si governerà. Ora è evidente a tutti che l’annuncio di Berlusconi di voler cancellare l’Imu sulla prima casa (3,7 miliardi) e di restituire «in contanti» quella già pagata (altri 3,7 miliardi, per un totale di mezzo punto di Pil) è una promessa impossibile, resa non credibile dalle promesse non mantenute dal passato governo, e resa semplicemente insostenibile dalle condizioni in cui si trovano l’Italia e i suoi conti pubblici.
Ma ciò che allarma l’Europa è l’assoluta irresponsabilità politica e di governo che c’è dietro questo populismo demagogico, nel senso letterale di adulazione del popolo, attraverso i suoi istinti e i suoi interessi a breve. L’uomo che promette di cancellare l’Imu lo ha votato, per scelta libera e autonoma, nel parlamento della repubblica. L’uomo che vuole scardinare le politiche di rigore e di risanamento che Monti ha dovuto varare per rimediare ai disastri del suo governo è lo stesso leader che si è fatto garante con l’Europa del fiscal compact, prendendo impegni precisi a nome dell’Italia con la Ue e con la Bce in un momento drammatico della crisi finanziaria che minacciava di travolgere il nostro Paese. Che credibilità può avere nel suo ultimo voltafaccia?
L’irresponsabilità è massima quando si pensa che Berlusconi sa che non toccherà a lui governare, e quindi non dovrà onorare le promesse, o farsi carico delle bugie elettorali. Quindi può tranquillamente drogare il mercato elettorale alzando la posta senza pagare dazio, introducendo dinamiche politiche impazzite, perché cozzano contro la condotta tenuta fino a ieri dal suo partito in parlamento, contro gli impegni e i vincoli precisi che lui personalmente ha sottoscritto con l’Europa, compreso il pareggio di bilancio imposto a partire da quest’anno dalla Costituzione. Soprattutto, Berlusconi sa che gli avversari non possono seguirlo sul terreno dell’irresponsabilità: Monti infatti ha detto che quello dell’ex premier è un tentativo di «comprarsi i voti» dei cittadini con i soldi dei buchi di bilancio che proprio lui ha lasciato, una sorta di tentativo di corruzione elettorale, prendendo a schiaffi i sacrifici degli italiani. E Bersani ha parlato di «barzellette da Bengodi» per strizzare l’occhio agli evasori, come la proposta del Cavaliere di un nuovo condono tombale.
Ma la demagogia sull’Imu del Cavaliere cade su un terreno già dissodato dal populismo, abbondantemente arato dall’antipolitica: dunque pronto ad accogliere il seme dell’irresponsabilità nei confronti del futuro governo e del patto fiscale europeo che quel governo dovrà onorare. Se i politici sono tutti uguali e il “vaffa” mortuario di Grillo è la cifra politica della fase che stiamo vivendo, allora perché non puntare il voto sulla riffa berlusconiana e scommettere sull’ennesimo vantaggio privato — lo sconto fiscale — a danno dei conti pubblici? Basta col rigore, basta con l’Europa e magari basta anche con l’euro come dice Berlusconi ammiccando prima di ritrattare. L’Italia può farcela da sola, in fondo si stava meglio quando si stava peggio, nessuno diceva
la verità e il governo procedeva nell’inganno ottimista, perché sacrifici e rigore hanno un costo elettorale che il leader populista non può permettersi, innocente e invulnerabile com’è nel cerchio perenne del carisma perfetto.
Due disperazioni rischiano di unirsi: quella politica di Berlusconi, che ha perso tutto compreso l’onore e gioca qualsiasi carta titanica pur di vincere in un campionato a parte, che è quello dell’interdizione e del condizionamento, mandando in stallo il sistema; e quella di cittadini che si sentono senza rappresentanza, soli davanti a tasse troppo alte, impoveriti e indifesi. E si capisce perché.
Ciò che non si capisce è perché la sinistra sia sulla difensiva sul tema delle tasse, come se non fosse evidente a tutti che il fisco è arrivato a livelli eccessivi nel nostro Paese, l’evasione cresce e dunque il tema è per forza di cose centrale nella contesa elettorale. Il Pd dovrebbe affrontarlo a testa alta, all’attacco, nella convinzione che i suoi strumenti culturali e politici possono essere i più adatti ad affrontare l’emergenza e la crisi, se sono capaci come dovrebbero di coniugare rigore ed equità, cioè proprio quel che è mancato a
Monti. La questione fiscale deve essere discussa davanti al Paese, spiegando come la tassazione faccia parte di uno scambio civico tra lo Stato e il cittadino, che quando va a votare giudica anche la qualità e la quantità dei servizi forniti dall’amministrazione pubblica in cambio del pagamento delle tasse, in un circuito di andata e ritorno e non di solo prelievo. È questo il “capitale simbolico” che lo Stato accumula con il fisco, insieme con il capitale economico centrale, ed è questo che dà legittimità alla tassazione moderna, a differenza dei gabelli medievali imposti dal sovrano ai sudditi come “dono”.
Dentro questo quadro, bisogna ricordare ai cittadini che la tassazione è cresciuta per il malgoverno di Berlusconi, la dissipazione di una maggioranza enorme, l’incapacità di realizzare le riforme promesse, il negazionismo davanti alla crisi più pesante degli ultimi decenni. Bisogna dire con chiarezza che la tassazione è troppo alta, senza lasciare questa carta alla demagogia della destra. E bisogna spiegare che si proverà a ridurla puntando sui redditi più bassi e sul lavoro, con responsabilità e coerenza davanti all’Europa. Non perché l’Europa è un vincolo: ma perché è l’unica scelta di sopravvivenza e di garanzia che il Paese può liberamente fare per il suo futuro.
Chi ci guarda, vede il rischio che la demagogia porti voti a Berlusconi proprio mentre mina le politiche di rigore e dunque la credibilità italiana. Un doppio rischio per l’Italia e per l’Europa, secondo i mercati: che il Cavaliere torni competitivo, dopo essersi rivelato incapace di governare, e che la sua predicazione irresponsabile condizioni l’opinione pubblica e dunque il futuro parlamento e il governo, facendo credere agli italiani che la crisi è passata solo perché elettoralmente conviene a Berlusconi.
Davanti a questo pericolo, si capisce che i mercati vedano, capiscano e reagiscano. Si capisce meno che non facciano altrettanto gli italiani.
da La Repubblica
Pubblicato il 5 Febbraio 2013