Stupisce un po’ sentire Monti parlare della necessità di riformare il mercato del lavoro come se la riforma varata pochi mesi fa dal ministro Fornero, appartenesse a una remota stagione politica. L’annuncio del premier non fa fare salti di gioia nemmeno a chi, come me, su molti dei contenuti di quest’ultima riforma ha da sempre avanzato critiche. Bisognerà conoscere le proposte nel dettaglio, ma le prime anticipazioni di Ichino non lasciano sperare granché, anche se sono state immediatamente messe in dubbio da altri compagni di partito come Giuliano Cazzola e Alberto Bombassei. Sorge allora spontanea una domanda: si tratta di una proposta personale formulata dall’esuberante giuslavorista, o si tratta della posizione del partito di Monti?
In attesa di una risposta a questo interrogativo, visto che la proposta è scomparsa repentinamente così come all’improvviso era apparsa (Monti ha prudentemente parlato di un cantiere ancora aperto), vorremmo comunque esprimere alcune considerazioni di merito. La prima è questa: a noi sembra che l’intenzione di Ichino sia ancora quella di creare dei “contratti ad orologeria” grazie ai quali le aziende potranno avere maggiore facilità di licenziare.
Ichino ripropone, riverniciata per l’occasione, la vecchia ricetta del contratto unico, a suo tempo bocciata da Confindustria e sindacati perché ritenuta impraticabile. La proposta era stata respinta anche dal Partito democratico, che si era espresso negativamente ritenendola portatrice di un forte elemento di contraddizione. Mentre infatti, da un lato, si afferma di voler trasformare tutte le forme di assunzione in un contratto unico a tempo indeterminato, dall’altro lato si rende possibile, in qualsiasi occasione e con qualsiasi motivazione – tranne i motivi discriminatori – il ricorso al licenziamento individuale, prevedendo semplicemente un maggiore risarcimento al lavoratore da parte delle aziende. Di qui la domanda: come si può parlare di contratto a tempo indeterminato quando il lavoratore, in qualsiasi momento, può essere licenziato anche con la semplice clausola del motivo economico? L’unica novità rispetto a quella proposta sembra essere l’introduzione di una qualche forma di sperimentazione (da affidare alle parti sociali?). Con il rischio però di regionalizzare il mercato del lavoro, anche se lo stesso Ichino respinge la possibilità di ripristinare le vecchie gabbie salariali: excusatio non petita accusatio manifesta.
Se abbiamo compreso bene, la proposta targata Monti -Ichino punterebbe a introdurre un nuovo regime che varrebbe per i nuovi assunti, cioè soprattutto per i giovani. Se così fosse, non solo si riproporrebbe il dualismo nel mercato del lavoro, ma addirittura lo si consoliderebbe sancendo per legge due diversi regimi di tutela. La riforma Fornero sul mercato del lavoro, certo, va profondamente corretta. Ma la strada non è quella indicata da Ichino né, tantomeno, quella auspicata da Brunetta.
L’ex ministro della Funzione pubblica del governo Berlusconi sostiene che si dovrebbe tornare alla legge Biagi. Sarebbe come cadere dalla padella nella brace. Le proposte di Biagi, che avevano l’obiettivo di aumentare l’occupazione giovanile, si sono trasformate, per colpa della distorta traduzione legislativa fatta dal centrodestra, in un aumento esagerato della precarietà e in un abbassamento della qualità della prestazione. Senza favorire – come dimostrano in modo drammatico i dati sulla disoccupazione – l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro.
La via da seguire, dunque, è un’altra. Tutti i lavoratori, anche i neo assunti, devono poter godere delle stesse regole, compresa la tutela dell’articolo 18, che, secondo l’ultima riformulazione, prevede, accanto al risarcimento nel caso di licenziamento per motivo economico, anche la possibilità per il giudice di reintegrare il lavoratore. Quanto al resto, quello che serve è avere una buona flessibilità in entrata, eliminando – come aveva a suo tempo fatto il governo Prodi – tutte le forme di lavoro precario non strettamente funzionali a particolari ed eccezionali necessità produttive.
La nostra proposta è che le nuove assunzioni avvengano attraverso l’adozione del contratto di apprendistato come modalità prevalente. Dall’apprendistato si deve poi passare, dopo un congruo periodo di prova, alla stabilizzazione attraverso incentivi mirati all’impresa come il credito d’imposta o la diminuzione strutturale del costo del lavoro. La regola secondo la quale un contratto di lavoro a tempo indeterminato deve costare meno di un lavoro flessibile o precario è più che mai attuale.
Va poi rivista la parte relativa agli ammortizzatori sociali. È un tema cruciale. I nuovi ammortizzatori introdotti dalla riforma Fornero non considerano che la crisi occupazionale si protrarrà per tutto il 2013 e addirittura, secondo le previsioni di Bankitalia, continuerà ulteriormente nel 2014. Vanno perciò potenziati, cercando nuove risorse, e rimodulati in sintonia con il protrarsi della crisi. È un passo indispensabile se si vuole evitare che le difficoltà economiche che stiamo attraversando sfocino in una crisi sociale dagli esiti imprevedibili. Credo che su questi temi si debba lavorare, insieme con le parti sociali, per arrivare a un nuovo avviso comune. I problemi creati dalle riforme di Berlusconi e di Monti vanno risolti. A favore dei lavoratori e delle imprese.
Da Europaquotidiano.it
Pubblicato il 29 Gennaio 2013