È il fenomeno del momento, con milioni di studenti Prof stellari, con un difetto: mai contatti neanche via email Mi ero iscritta con entusiasmo. Volevo sperimentare in prima persona questa rivoluzione (dal buffo acronimo MOOC) dei «massive open online courses», corsi di alta qualità aperti alle masse diventati popolarissimi dall’anno scorso e in crescita più rapida di Facebook, come ama ripetere il fondatore di Coursera, una delle tre principali piattaforme che li offrono (le altre sono edX e Udacity). Frequentare un corso universitario online forse non «suona» molto rivoluzionario. Ma immaginate centinaia di migliaia di studenti di tutto il mondo che seguono la stessa lezione, gratis e — aspetto non trascurabile — tenuta da docenti di atenei prestigiosi, come Harvard, MIT, Stanford, Princeton, Columbia (soprattutto americani; tra gli inglesi non si sono finora convinti né Oxford né Cambridge).
E dunque ho aperto il browser, digitato Coursera.org (che è stato creato nel 2011 da due professori di Stanford) e ho cominciato a scorrere la lista dei corsi disponibili, dalla medicina all’informatica, dalla musica alla finanza, immaginando oltre due milioni di studenti (tanti si sono registrati finora) in giro come me sul sito. Alla fine ho scelto «Think Again: How to Reason and Argue» (Ripensaci: come ragionare e discutere). Anche per il mio professore, che si chiama Walter Sinnott-Armstrong e insegna Etica pratica alla Duke University, è il primo corso online, come ha chiarito durante la prima lezione, spuntando in una finestra tipo YouTube sul mio laptop. Ha parlato per otto minuti presentando il programma e promettendo che ci saremmo divertiti. Gli ho quasi creduto quando, alla seconda lezione, ha postato il link ad uno sketch dei comici inglesi Monty Python («La clinica delle discussioni») per spiegare la differenza tra discutere e litigare. Ho smesso di credergli quando ho scoperto di dover rispondere a una serie sterminata di quesiti a risposta multipla. Ma il vero difetto insormontabile è un altro. È che con i suoi capelli arruffati, gli occhiali tondi e la libreria alle spalle, Walter era tutto ciò che avrei potuto volere da un prof di filosofia, eccetto per l’aspetto più importante: la possibilità di chiacchierarci insieme. «Per favore NON inviate email ai docenti»: le regole sono chiare. Così, dopo aver guardato i nove video della prima settimana, ho cominciato a procrastinare.
Non sono l’unica. Pare, infatti, che solo il 10 per cento degli iscritti completi questi corsi online. La mia classe ha persino creato un forum dove discutere le ragioni per mollare: molti si lamentano di non aver capito bene a cosa andavano incontro. Certo, essendo facile iscriversi (letteralmente con un click), non sei costretto a valutare seriamente se hai il tempo e la voglia di investire 7-8 ore di lavoro settimanali (per 2-3 mesi) per «tornare a scuola». La questione, però, è soprattutto: perché dovresti? Il punto è che i MOOC al momento non ti danno una laurea ma soltanto un attestato di completamento del corso. A dire la verità, in America (e non solo) qualche università sta cominciando a riconoscere alcune lezioni virtuali (a volte richiedendo integrazioni faccia a faccia, le chiamano flipped classes; e un esame «dal vivo»). Coursera, edX e Udacity sono state anche contattate da datori di lavoro potenzialmente interessati agli studenti migliori. Restano però diversi problemi da risolvere: come sostenere i costi in futuro (le aziende pagheranno in cambio dei nomi dei primi della classe? agli allievi toccherà versare una somma per i certificati finali?); come impedire plagio e imbrogli nei quiz; e va ancora convinto il grande pubblico che l’istruzione sul web possa essere rigorosa e di qualità come quella tradizionale.
Nonostante tutto, nella mia classe, c’è gente di tutto il mondo: in un forum intitolato «da dove veniamo» ho incontrato tanti americani quanti africani e asiatici. Sospetto che alcuni si siano iscritti come me per vedere di che si tratta, visto che esperti della Rete come Clay Shirky hanno profetizzato che i MOOC cambieranno l’università come Napster ha fatto con la musica e Wikipedia con le enciclopedie. Alla fine, ho «incontrato» pure un’italiana: Alessia, 45 anni, un figlio, responsabile del marketing in una società finanziaria, anche lei con una dose di lauree e master «vecchia maniera». Ma non le è bastato. Questo è il terzo corso online che frequenta e si è già iscritta ad altri due (uno di algebra). Mentre io sono bloccata alla seconda di 12 settimane (e il professore avanza nella nona), lei ha seguito tutti i video con puntualità svizzera, ha fatto tutti i compiti (anche quelli facoltativi) e tutti i quiz. E mentre io guardavo Walter nella solitudine di un eterno primo giorno di scuola (con l’unico sollievo di poter restare in pigiama), lei creava su Facebook un gruppo per italiani intitolato «How to argue» per aiutarsi e incoraggiarsi a vicenda: un centinaio di studenti si sono aggregati, anche se solo quattro o cinque sono al passo come lei. Con due compagne, Margherita e Anna, s’è incontrata pure via Skype per mettere a punto un sillogismo (in video) da presentare come compito a casa (sì, era facoltativo). Alla mia domanda «perché?», non ha esitato a rispondere: «Perché mi piace studiare». E ha aggiunto: «Ma davvero hai intenzione di mollare?». Era solo naturale che tra i 180 mila compagni di classe in un corso di logica incontrassi la mia nemesi.
Chissà, forse Alessia ha ragione. Walter non ha tempo per noi (vivrà già nel terrore che gli intasiamo la mail) ma quel che perdi nel rapporto col prof lo puoi guadagnare partecipando ad una comunità globale e intergenerazionale (dai 16 agli 80 anni, a giudicare dal forum «che età abbiamo»). Tra l’università «vera» e quella virtuale preferirò sempre la prima, ma conoscendo i costi proibitivi di un’istruzione prestigiosa e avendo scoperto che un’undicenne pachistana di nome Khadijah ha potuto studiare fisica su Udacity, penso che ampliare le opportunità con la tecnologia non guasti affatto. Sì lo so, a questo punto dovrei dirmi pronta a studiare algebra per puro piacere. Ma credo che invece andrò a guardare per intero i Monty Python.
da Il Corriere della Sera
Pubblicato il 26 Gennaio 2013