La vicenda Monte dei Paschi si abbatte sulla campagna elettorale e sul Pd, attaccato non soltanto dal centrodestra o, sul versante opposto, dal leader di Rivoluzione civile Antonio Ingroia (che trova il modo di sparare su tutti, Udc e Pdl inclusi), ma da Mario Monti in persona che da qualche giorno non lesina colpi.
Il premier apre le danze in mattinata a Radio Anch’io assolvendo il proprio esecutivo («Il governo non ha responsabilità) ma lanciando un siluro contro i democratici: «Non voglio attaccare Bersani, però il Pd c’entra nella questione Mps. È coinvolto in questa vicenda perché ha sempre avuto una grande influenza sulla banca attraverso la sua Fondazione e il rapporto storico con il territorio culturale e finanziario senese».
In ogni caso, dice Monti, che peraltro apre (tatticamente?) alla collaborazione con un Pdl emendato da Berlusconi, «critico la commistione fra banche e politica». Parole che provocano la reazione democratica. Con il segretario Bersani: «Monti trova un difetto al Pd tutti i giorni, per un anno non ne ho mai sentiti». Ma non solo. Controbatte il tesoriere dem Antonio Misiani: «Ma il Monti che attacca il Pd sugli incroci politica-banche è lo stesso Monti che ha candidato nella sua lista alla camera in posizione eleggibile Alfredo Monaci, già membro del cda di Mps dal 2009 al 2012 con Mussari, ex presidente di Biver Banca e tutt’ora presidente did Mps immobiliare?».
Mentre il responsabile economico del partito Stefano Fassina entra nel dettaglio: su Monte dei Paschi il Pd «non ha nulla a che vedere con una gestione manageriale le cui responsabilità le accerta la magistratura». Il Pd c’entra nel senso che ha espresso i vertici amministrativi che, secondo la legge, nominano i propri rappresentanti nella Fondazione. «Ceccuzzi, sindaco dem, il primo non espressione di Mps, ha introdotto una discontinuità profonda, ha fatto arrivare a Siena manager indipendenti e di elevata professionalità». E Francesco Boccia: «Il Pd ha proposto più volte la riforma delle fondazione bancarie e soprattutto l’imposizione di precisi limiti al ricorso ai derivati. Ogni volta si sono messi di traverso il Pdl e lo stesso ministro Grilli».
Riflette l’ex sindaco di Torino, oggi presidente della Compagnia di San Paolo, Sergio Chiamparino: «In quella realtà c’è stato un rapporto di eccessiva pervasività fra Fondazione e banca». Ad attaccare i democratici anche Beppe Grillo, che ha partecipato all’assemblea di Mps: «Bisognerebbe chiamare tutti i segretari del Pd (?) dal ’95 a oggi e fargli delle domande: qualcuno dovrà dire dove sono andati i soldi. Chi doveva controllare: Draghi, la Tarantola, la Consob?». E mentre il governatore di Bankitalia Ignazio Visco da Davos osserva che «la Banca d’Italia fa attività di vigilanza prudenziale e non di lotta al crimine», il ministro dell’economia Grilli riferirà martedì in parlamento. Intanto ieri l’assemblea del Monte dei Paschi ha dato il via libera al piano di salvataggio approvando l’aumento di capitale che servirà a garantire i “Monti bond”. E in Borsa, dopo tre giorni in caduta libera, il titolo Mps ha strappato un rialzo dell’11,36%.
da www.europaquotidiano.it
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“Il Pd, che non c’era nel 1995”, di Stefano Menichini
Il tempo e la magistratura chiariranno le responsabilità personali e istituzionali e metteranno nella giusta prospettiva la vicenda Monte Paschi. Nel frattempo però la strumentalizzazione elettorale non si placa, altri sono saliti a bordo (perfino l’insospettabile Monti) ed è prudente aspettarsi, come spiega su Europa Paolo Natale, un riflesso negativo sui sondaggi del Pd.
Potevano reagire meglio all’assalto, Bersani e i dirigenti democratici che sul tema si sono esposti? Nella sua efficacia e sinteticità, la frase del segretario (il Pd che fa il Pd e la banca che fa la banca) rischia obiettivamente di rimanergli appiccicata, come quell’altra famosissima e infelicissima battuta telefonica di Piero Fassino.
Il problema di quella frase è che essa è vera solo adesso. Ed è vera solo se presa alla lettera: «Il Pd fa il Pd…». Già nella confusione intenzionale operata ieri da Beppe Grillo a Siena («chiediamo chiarezza ai segretari del Pd dal ’95 a oggi», come se il Pd non esistesse solo dal 2007) si annida l’insidia: c’è un percorso (faticoso, lento, a sbalzi) di laicizzazione e trasparenza nei rapporti tra politica, economia e finanza che il Pd può rivendicare, ma che implica una discontinuità rispetto a un passato molto diverso, molto più contestabile, molto più imbarazzante. La stessa discontinuità che per esempio ha indotto Bersani, diversamente dai suoi prededessori d’ogni partito, a tenere il Pd fuori dalle nomine nel cda Rai.
Mps dovrebbe suonare da lezione per chi fra i democratici trasmette messaggi espliciti o subliminali di ritorno al passato. Prospetta la restaurazione di una mitica forma partito radicata e ramificata nel tessuto sociale. Torna a proporre ricette di ampia presenza pubblica nell’economia e nella finanza. Perché virtù e vizi di quel sistema si tengono. E se tu (anche senza dichiararlo) vuoi riavvolgere il nastro fino a Pci-Pds-Ds, sappi che quel nastro ti riporta anche a Rocca Salimbeni coi sindacalisti Cgil che passano agilmente dal cda della banca alla fascia di sindaco per tornare al board della Fondazione, in consociativo accordo coi democristiani locali (altro fenomeno tipico del vecchio sistema dei partiti di massa).
Davvero non sarà passato invano, lo scandalo Mps, se sarà servito a ricordare quanto è importante, vitale, che il Pd sia effettivamente una cosa nuova. Sotto tutti, ma proprio tutti i punti di vista.
da www.europaquotidiano.it