La luce rossa del tramonto illumina la “fabbrica sospesa” e la fa ancora più bella. Sembra il ponte di Brooklyn, la cartiera disegnata da Pier Luigi Nervi. I tiranti in ferro reggono dall’alto il tetto della fabbrica. «Era anche un grande ingegnere, l’architetto Nervi. Il giorno del terremoto i muri hanno ballato e per un attimo abbiamo visto il cielo. Poi tutto è tornato al suo posto. Nessuna crepa nel cemento, nessun danno». Sono orgogliosi e arrabbiati, gli operai di questa che per sole tre settimane sarà l’ultima cartiera italiana a produrre carta per i giornali. «Il 25 novembre — raccontano Gianpaolo Franzini della Rsu Cgil e Giovanni Mantovanelli, che ha passato una vita qui dentro — al palazzo Te è stata chiusa una mostra, “Architettura come sfida”, dedicata proprio alla nostra fabbrica gioiello. I turisti venivano anche qui alla Burgo, facevano le foto è quasi ci invidiavano. Eravamo gli operai che lavoravano nella fabbrica raccontata nei libri di architettura di mezzo mondo. Appena finita la mostra, è arrivato l’annuncio di una decisione che forse era stata presa da tempo: tutti a casa, noi 188 lavoratori, quasi tutti capi famiglia e altri 120 dell’indotto».
Compie 50 anni proprio in questo 2013, la fabbrica ponte di Pier Luigi Nervi. Nessuno sa se questa sua creatura in ferro e cemento potrà continuare a vivere o se resterà solo nelle riviste di architettura. «Noi vogliamo — raccontano gli operai ai tavoli arancioni della sala mensa — che continui ad essere una fabbrica, e con noi dentro. Il 9 febbraio sarà l’ultimo giorno di lavoro ma non siamo rassegnati. Sappiamo però che con questo prodotto, la carta per i quotidiani, non possiamo andare avanti». «I giornali — dice Gianpaolo Franzini — erano la nostra forza e adesso sono il nostro tallone d’Achille. Comprano meno carta, e la cercano soprattutto all’estero. Importiamo dalla Francia e dalla Germania. Loro hanno fatto investimenti, noi no».
L’ultimo cliente importante era, fino alla fine del 2012, la Rcs. «Acquistava il 55 per cento del nostro prodotto. Poi la Burgo ha deciso di aumentare il prezzo: da 485 euro a tonnellata si doveva passare a 520. La Rcs ha risposto che poteva pagare fra i 450 ed i 460 euro e così il contratto non è stato rinnovato». La crisi arriva da lontano, e questi operai non sono rimasti a guardare. «Negli anni ‘80 abbiamo fatto scioperi non per un aumento in busta paga, ma per obbligare l’azienda a risparmiare sui costi dell’energia. Allora si usava, come materia prima, la pasta legno, con abeti e pioppi macinati e ridotti in poltiglia. Una tonnellata costava due terzi in più rispetto al “deink”, la tecnica che permette di trasformare in carta nuova la carta riciclata. E sul lavoro non ci siamo mai tirati indietro. Qui si va a ciclo continuo e nel 2002 abbiamo fatto un accordo preciso: la produzione si ferma solo Primo maggio, e si lavora in tutti gli altri 364 giorni».
Stipendi di 1.600 euro per chi lavora anche a Natale, 1.200 per chi non fa i turni. Ogni giorno, nel grande padiglione di Nervi — dove il tetto sollevato permette di avere un grande spazio senza colonne di sostegno — si rinnova il miracolo della carta che ritrova vita. «La prima cernita permette di togliere la plastica e altri rifiuti, come gli involucri delle riviste. La carta finisce in una “cassa da flusso” che usa 80.000 litri di acqua al giorno. La prendiamo dal lago di Mezzo e poi la rimettiamo dentro dopo averla depurata. Carta liberata dall’inchiostro, pressata e poi passata fra stretti cilindri. C’è la “calandra” che liscia e alla fine ci sono gli espulsori che hanno nomi difficili ma che noi operai chiamiamo semplicemente Anna e Bice. Anna manda sui carrelli elevatori le bobine più piccole, quelle da cinque quintali. Bice invece espelle le bobine grandi, da 19-20 quintali. In media, in una bobina, ci sono 64.000 metri di carta. E tutto il processo di rinascita dura in tutto quattro, al massimo cinque ore».
Tante altre macchine sono state chiamate con nomi femminili e ai tavoli della mensa si ricordano cento storie. «La Norma era lo strumento che serviva a scortecciare gli alberi. Nel 1951 ci fu un’alluvione e i tronchi di abeti e pioppi finirono nel lago. I nostri nonni raccontavano che ci misero due settimane, a recuperarli». In questi giorni sono tanti i Tir, anche stranieri, che escono carichi dalla cartiera. Si svuotano i magazzini prima di bloccare la produzione. «Come in passato, noi lavoratori abbiamo fatto proposte precise per il futuro della cartiera. Il nuovo prodotto potrebbe essere il “test liner”, quel cartoncino che si usa per le scatole da scarpe, per separare la frutta dalle cassette di plastica… Potremmo lavorare sul “patinatino”, che serve per la carta delle riviste». Ci sono state due ore di sciopero, la settimana prossima ci sarà un corteo dalla cartiera al centro. Ma nessuno si illude. «Per spiegare la situazione agli altri lavoratori — dice Franzini — ho detto che se anche lavorassimo gratis per un anno l’azienda risparmierebbe 8 milioni, mentre il deficit è di 15 milioni all’anno». «Solidarietà e lotta / la Burgo non si tocca». Poi il buio nasconde lo striscione appeso alla cancellata.
La Repubblica 19.01.13