I Governi Berlusconi hanno trascinato il paese sull’orlo del baratro. Hanno fatto pagare ai cittadini italiani il prezzo più alto della crisi: i numeri di questi anni sulla decrescita, sulla perdita di competitività, sull’aumento delle tasse, del debito e della disoccupazione, sulla compressione dei diritti e dei servizi descrivono la portata del fallimento della destra. Assai più grave in termini relativi che nel resto d’Europa. Il governo Monti ha posto un argine. Ha affrontato l’emergenza con dignità e con errori. Non ha risolto la crisi ma ha restituito una chance all’Italia.
Ora tocca al centrosinistra riportare il Paese nel posto che gli compete in Europa. Ricostruire una speranza civica e un senso di coesione sociale. Avviare una nuova fase di sviluppo, immettendo qualità, ricerca e soprattutto lavoro. Chiamare a raccolta tutte le forze disponibili a riportare l’Italia in serie A.
Aprire una nuova pagina è il compito storico oggi sulle spalle della sinistra. È una missione che può essere compiuta solo con spirito di apertura e di inclusione, senza settarismi, senza autosufficienza. Perché si tratta di una grande impresa di cambiamento, che chiede consenso, coraggio, onestà, solidarietà. Di questo bisogna parlare in campagna elettorale. Nelle strade, nelle piazze, nei luoghi di lavoro e di incontro, nelle case. Berlusconi è disposto a vestirsi da clown pur di far dimenticare i disastri compiuti. Ma non ci riuscirà se saremo capaci di parlare del Paese reale, dell’economia reale, delle sofferenze reali e delle speranze che ancora non sono spente tra i giovani, nelle famiglie, tra gli imprenditori, i professionisti, i professori, nel mondo del lavoro e della cultura. Berlusconi è così spudorato da ripresentarsi, insieme al socio Tremonti, delirando di complotti internazionali. Negando ogni responsabilità, anzi scaricandola sugli altri. Tornando a braccetto con alleati impresentabili, come se la catastrofe italiana – il Paese con la crescita più bassa al mondo dopo Haiti nell’ultimo decennio – dipendesse da un accidente. Bisogna sfuggire ai suoi
argomenti, alle sue battute di pessimo gusto, al sua palude comunicativa. Lui tutto può fare tranne che parlare dell’Italia vera. Deve spostare l’attenzione su un mondo di specchi e di apparenze, riflesso da qualche programma televisivo. È in questo scenografia che può addirittura riproporre l’abolizione dell’Imu dopo averla istituita e sorvolando sul fatto che i cittadini più ricchi devono pagarla per ragioni di equità.
Noi non vogliamo eliminare la destra. Né mancare di rispetto ai suoi elettori. Pensiamo che in un sistema migliore anche il centrodestra potrebbe essere un competitore migliore, capace di guidare il governo quando sarà il suo turno, anziché far precipitare il Paese, dividerlo, dissipare il patrimonio di legalità, violentare il diritto in nome di interessi privati.
Ma ora la speranza dell’Italia, di un cambiamento possibile, è il centrosinistra. La sfida è davanti a noi. Tocca a noi parlare, essere all’altezza, avere la visione, la forza e la passione necessari. Dove c’è la disuguaglianza dobbiamo ridurre le distanze, non per rivalsa ma perché l’equità è condizione di sviluppo. Dove c’è illegalità, dobbiamo portare moralità, rispetto della legge, lotta senza quartiere alle mafie e alla corruzione: anche a costo di qualche rottura, di qualche incomprensione, di qualche strappo nelle tante zone grige delle relazioni sociali. Dove c’è la crisi del lavoro dobbiamo portare un nuova alleanza per l’Italia, per il made in Italy, per la qualità: politiche industriali serie e politiche fiscali selettive possono dare assai più in termini di competitività del Paese che non una inefficace riforma del mercato del lavoro, stile Fornero. Dove c’è la sfiducia verso la politica e verso le istituzioni, dobbiamo riportare i diritti – diritti civili e sociali – cercando anche di ricostruire quello spirito di condivisione, che ha ispirato la Costituzione più bella del mondo.
Non sarà una campagna elettorale facile. Non è vero che il Pd ha la vittoria in tasca. Non è vero che il Pd ha già vinto e agli avversari tocca solo mettere bastoni tra le ruote, puntando su pareggi, inciampi, pasticci. È vero invece che il centrosinistra ha il dovere di portare agli italiani e di discutere con loro un progetto per uscire da queste macerie. Se questa è la crisi economica e sociale più lunga e pesante dal dopoguerra, è necessario recuperare l’animo dei ricostruttori del dopoguerra. Che pena – e che vergogna! – sentire ancora Berlusconi che punta il dito contro Camusso, contro Saviano, contro le cooperative, e ovviamente contro tutte le trasmissioni che non gli piacciono. In realtà il suo disegno è vivere nella rissa televisiva, prolungarla pur di nascondere le ingiustizie e le sofferenze sociali, pur di impedire discussioni razionali su ciò che è meglio fare, con scarse risorse, perché l’Italia riparta davvero.
La riscossa civica non è l’applauso a un leader. Non è un partito personale. Non è un populismo diverso da quello berlusconiano. È il ritorno ad una democrazia partecipata e decidente. È rinnovamento. È coesione sociale. È la rete dei solidarietà che non lascia l’individuo solo davanti al mercato. È una nuova idea di pubblico. Se passeranno questi messaggi l’Italia potrà cambiare e darsi un governo della ricostruzione.
L’Unità 18.01.13