«Noi dobbiamo dire agli italiani di non sciupare il voto. In Regioni come la Lombardia, il Veneto, la Campania e la Sicilia, dare un voto di protesta equivale a dare più forza alla destra». Dario Franceschini, capogruppo uscente del Pd alla Camera, guarda al concreto: puntare tutto sulle Regioni in bilico, dove lo stesso candidato premier Pier Luigi Bersani ha annunciato che intende mobilitare oltre centomila volontari, per raggiungere quella maggioranza che metterebbe il centrosinistra al riparo. «Poi, una volta superato il 51% dei seggi, resta ferma la nostra volontà di aprire il confronto con i moderati». Franceschini, Monti sembra aver moderato i toni contro il Pd. La legge come un’apertura in vista del dopo voto? «Non penso che dobbiamo fare una campagna elettorale guardando a cosa dicono Monti o gli altri. Noi abbiamo la responsabilità di indicare al Paese un programma, una strada e delle persone, poi saranno gli elettori a dire se avremo o no una maggioranza. E saranno sempre gli elettori a indicarci se ci saranno le condizioni per allargare la maggioranza alle forze moderate diverse da Silvio Berlusconi e la Lega». Però i numeri sono quelli. Al Senato, con il Pdl in rimonta, è dura per il centrosinistra.
«Con questa legge elettorale ci sono delle Regioni determinanti in cui si gioca la possibilità di avere la maggioranza in Senato. Quindi noi è lì che dobbiamo vincere ed è in quelle Regioni, più che in altre, che dobbiamo spiegare agli elettori che un voto di protesta dato a Grillo o ad altri rischia di far vincere la destra, è un fatto di aritmetica, non di politica. Per questo continuo a sperare che Ingroia e Orlando rinuncino a presentare la loro lista almeno in Campania, Sicilia e Lombardia». Casini oggi è tornato su un punto a lui molto caro: Bersani sarà premier soltanto se avrà la maggioranza in entrambe le Camere. È solo un gioco delle parti o si rischia davvero l’impasse su questo se il voto non vi dovesse premiare in Senato? «È un discorso un po’ arretrato. Casini, e soprattutto Monti, presentano questa area come un’area europea che fa riferimento al Ppe. Ben venga perché se in futuro la parte conservatrice del Paese fosse rappresentata da Monti e Casini e non da Berlusconi e la Lega, arebbe un passo avanti. Ma visto che si rifanno all’Europa, mi citino un Paese in cui il capo del governo non diventa il capo del partito più grande, quello che vince le elezioni. A nessuno viene in mente che il leader lo esprima il partito più piccolo anche se determinante per governare».
Altro ostacolo sul cammino dell’intesa arriva sempre da Casini: si dice assolutamente incompatibile con Vendola. «Questo argomento di Vendola fa soltanto sorridere. Noi abbiamo tagliato i ponti con le ali estreme inadatte alla cultura di governo: prima con i vari Ferrero e Diliberto, ora con Di Pietro e Ingroia. Vendola, inoltre, rappresenta un’area di sinistra di governo e utilizzarlo come uno spauracchio vuol dire essere a corto di argomenti. Che poi lo dica Casini, che ha governato con Storace, Bossi e la Santanché è singolare». Però da quello che dice un problema con Vendola c’è. Non si deve dialogare con Ingroia, come sostiene il vostro alleato, nel caso ci fosse bisogno di allargare al Senato?
«Io registro i toni usati da Ingroia e l’ineleganza di un passaggio così repentino da un’indagine delicatissima come la trattativa Stato-Mafia ai riflettori della politica. A Vendola voglio dire una cosa: noi dobbiamo puntare all’autosufficienza affinché l’allargamento sia semmai oggetto di una scelta politica e non di un’esigenza numerica». Berlusconi sembrava un leader ormai tramontato, invece torna e fa sentire tutto il suo potere. Sarà ancora una volta scontro tra Berlusconi e Pd?
«L’errore più grande non è tanto sottovalutare Berlusconi, le sue capacità comunicative e l’uso della televisione, anche se è uno schema logorato. L’errore più grande è pensare di avere la vittoria in tasca e mettersi a ragionare su cui occupa quale ruolo, chi fa il ministro e chi il sottosegretario. Non dimentichiamoci cosa è successo nel 2006 quando il centrosinistra sembrava for- tissimo e poi ha vinto per una manciata di voti. Bisogna spiegare agli elettori che con il Porcellum si vince con un voto in più e gli italiani devono decidere se questo Paese lo governa Bersani o Berlusconi».
L’astensionismo scende ma è ancora molto forte. Il voto utile è un argomento, ma cosa farà la differenza in questa campagna elettorale del centrosinistra? «La protesta e la delusione sono elementi comprensibili, hanno radici in scelte sbagliate, in comportamenti intollerabili in parte di alcuni gruppi dirigenti, ma il Pd, ha preso posizione mondo chiaro in fatto di moralità, trasparenza e rinnovamento. Quello che vogliamo dire agli elettori, però, è che in queste elezioni si fanno scelte di campo anche per il futuro del Paese. Noi vogliamo occuparci prima di tutto delle fasce più deboli, quelle che non ce la fanno ad aspettare qualche anno che la crisi passi perché non hanno più soldi per mangiare, per vestirsi, tanto meno per concedersi un giornale o un libro. La destra a quelle persone dà un altro messaggio: “arrangiatevi fino a quando non torna la crescita”. I programmi politici della destra e del centrosinistra hanno due filosofie diversissime su questo».
Lei parla di destra e sinistra. Monti dice, “Dio ce ne scampi”. Ma sono davvero superate queste categorie politiche? «Monti dovrebbe conoscere il mondo, non usi questi argomenti da propaganda di secondo livello. Quale è il Paese in cui non c’è l’alternativa tra destra e sinistra o, se vuole, tra progressisti e conservatori? Monti non può pensare che in Italia sia diverso solo perché c’è lui».
Un Monti così d’attacco, soprattutto con il Pd che lo ha sostenuto, lei se lo aspettava?
«Non mi sarei aspettato una sua scesa in campo per una parte ma soprattutto non mi sarei aspettato questa scelta così inelegante del suo nome sul simbolo, per il resto è evidente che in campagna elettorale i toni cambiano».
Il cambio di tono dell’altro giorno, più conciliante con il Pd, secondo molti di- pende dal fatto che i centristi, come i democratici, iniziano ad avere paura della forza di Berlusconi che cresce nei sondaggi.
«Farebbero male a non essere preoccu- pati perché è chiaro, come accade del resto in tutti i Paesi del mondo, che la battaglia sarà tra due contendenti: progressisti conservatori, cioè Bersani-Berlusconi. Poi, l’apertura a Monti-Casini può essere un’eventualità. La sfida non è a tre è a due».
L’Unità 14.01.13
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