Annuncia l’ordine del giorno del suo primo Consiglio dei ministri in caso di vittoria e sfida Silvio Berlusconi a dire se è o no lui il candidato premier del centrodestra. Pier Luigi Bersani si prepara all’apertura della campagna elettorale, al teatro Ambra Jovinelli di Roma, giovedì, insieme a un gruppo di ragazzi che voterà per la prima volta, e prova a stanare il leader del Pdl sul nodo dell’alleanza con la Lega, che regge soltanto grazie a un escamotage ormai neanche più troppo mascherato.
Il segretario del Pd sa che per ottenere la maggioranza anche al Senato saranno determinanti le sfide di Lombardia e Veneto, dove il centrosinistra potrebbe non prendere il premio di maggioranza soltanto se regge l’accordo siglato tra Berlusconi e Roberto Maroni. Accordo che prevede l’indicazione del leader Pdl come capo della coalizione (è obbligatorio indicarlo al momento in cui si depositano simboli e apparentamenti) lasciando invece l’incognita su chi sia il candidato premier (la Lega punta su Giulio Tremonti). Così, nel giorno in cui Berlusconi fa sapere che vuole fare il confronto televisivo soltanto con Bersani, il segretario Pd fa filtrare che sarebbe ben felice di raccogliere la sfida, a patto che finiscano le ambiguità: «Il confronto tv si farà solo con i candidati premier. Ma chi è il candidato del premier del centrodestra? Ce lo dica Berlusconi. Oppure Maroni».
Con questa mossa, che va al di là della singola questione dei passaggi televisivi, Bersani vuole far venir fuori tutte le contraddizioni in cui si muovono Pdl e Lega, puntando a un indebolimento del fronte destro nelle regioni chiave del nord. I «soliti yes-man di Berlusconi», per dirla con Vannino Chiti, provano a ribaltare il discorso accusando il segretario Pd di temere un faccia a faccia televisivo con l’ex premier, ma la controffensiva non riesce. Il portavoce di Berlusconi, Paolo Bonaiuti, cita il regolamento di Vigilanza Rai per sostenere che i confronti tv vanno fatti non tra candidati premier ma tra i capi delle coalizioni, e il portavoce di Bersani, Stefano Di Traglia, gli risponde che al di là degli «appigli regolamentari», rimane aperta la questione politica: «Se Berlusconi è il capo della coalizione, chi indica lui come candidato premier? Chi è il Mister X che Pdl e Lega indicherebbero al presidente della Repubblica?».
LA PRIMA VOLTA
Lanciato il sasso nello stagno del centrodestra, Bersani si prepara ora all’appuntamento di apertura della sua campagna elettorale, che sarà simbolicamente sotto il titolo «la prima volta».
Attorno a sé chiamerà giovani che a febbraio andranno al loro primo appuntamento con le urne. Il luogo scelto è il teatro Ambra Jovinelli, da dove praticamente partì la sua corsa verso Palazzo Chigi, visto che qui si è candidato segretario del Pd alle primarie del 2009 (lo Statuto del partito prevede che il segretario sia il candidato premier, anche se poi Bersani ha deciso di fare primarie aperte per la premiership). E, come anticipa in parte in una ventina di righe scritte di suo pugno, l’appuntamento di giovedì sarà all’insegna della prima volta anche perché illustrerà i temi all’ordine del giorno del primo Consiglio dei ministri che presiederà, in caso di vittoria, con una legge anticorruzione in cima alla lista. «Faremo in modo che nelle prossime settimane la campagna elettorale non sia fatta di politicismi o di cabaret, come si è visto largamente fin qui. Insieme a ragazzi e ragazze diremo chiaramente e concretamente in quale Italia vogliamo vivere nel futuro. Prima di ogni altra cosa vogliamo o no un’Italia dove ci sia moralità pubblica, sobrietà e rigore della politica, cultura dei diritti? Cominceremo da questa domanda, ci prenderemo i nostri impegni precisi e chiederemo agli altri se e come intendano prendersi i loro impegni. Noi, nel primo giorno di governo daremo cittadinanza ai figli degli immigrati, proporremo una legge sui partiti, sulla trasparenza degli atti pubblici, sulle incompatibilità; proporremo norme contro la corruzione come il falso in bilancio e l’autoriciclaggio. Prenderemo dunque le mosse dalla riscossa civica e morale».
LA LETTERA
Una serie di proposte le inserirà anche nella lettera che a breve spedirà agli elettori del centrosinistra delle regioni chiave per avere la maggioranza anche al Senato, e cioè Lombardia, Veneto, Sicilia e Campania. Bersani punta a ottenere col centrosinistra il 51% in entrambi i rami del Parlamento, anche se ha già chiarito che in ogni caso si aprirà al confronto con i moderati. Una linea che non è uguale a quella prospettata ieri da Mario Monti al convegno organizzato dai liberal Pd.
Il premier ha sì auspicato che, quale sia l’esito del voto, dopo ci sia una «collaborazione tra punti riformisti». Ma ha anche aggiunto che questi esistono «più o meno in tutti partiti». Bersani la pensa diversamente. Con il Pdl nessun accordo è possibile, per il leader del Pd. Che ieri, insieme a simbolo del partito e apparentamenti, ha fatto depositare al Viminale anche il programma della coalizione che contiene impegni vincolanti, a cominciare dal sostegno «in modo leale e per l’intero arco della legislatura» al premier scelto con le primarie e dall’obbligo di attenersi a quanto deciso con voto a maggioranza dai gruppi parlamentari».
Ora però nel centrosinistra si è aperto un caso riguardante il Centro democratico. Bruno Tabacci e Massimo Donadi si sono scontrati prima sull’eventualità di un accordo con Mpa (favorevole il primo, contrario il secondo) e poi sui nomi da inserire nelle liste. Che ieri sono state annunciate da Pino Bicchielli e Nello Formisano, ma Donadi ha fatto sapere che non saranno quelle definitive e ha annunciato per domani una conferenza stampa per denunciare gravi scorrettezze.
L’Unità 13.01.13
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Da Casini a Ingroia, a Vendola la piaga delle liste personali
I nomi dei leader di partito in bella mostra sui marchi Solo Bersani non lo fa
di Simone Collini
Casini l’aveva tolto, per poi rimetterlo dopo che il premier ha voluto il suo, e in bell’evidenza, nel simbolo della «Scelta civica con Monti per l’Italia». Quello di Berlusconi ovviamente c’è, l’inserimento del nome nel simbolo elettorale praticamente è un’invenzione sua, anche se le altre volte indicava il candidato premier della coalizione e invece questa è ridimensionato a «presidente» del Pdl. Quello di Ingroia va da lato a lato lungo tutto il simbolo, a troneggiare sopra quella specie di riproduzione del «Quarto Stato».
Grillo ha unito l’utile al dilettevole, avendo inserito nella parte inferiore del simbolo il nome sotto forma di indirizzo web del suo sito, nel quale si pubblicizzano libri e dvd suoi e di Casaleggio. Maroni, per star tranquillo, ha depositato venerdì un logo con scritto «Maroni presidente» e ieri un altro della Lega col nome suo e quello di Tremonti. Scritto così: TreMonti. C’è poi il nome di Fini nel simbolo di Fli, quello di Storace per la Destra, di Mastella per l’Udeur e anche il nome dell’imprenditore Samorì per i Moderati in rivoluzione. La lista non è finita perché anche nel centrosinistra non hanno rinunciato a mettere il nome nel simbolo elettorale Vendola (Sel) e Crocetta (Il Megafono, lista che corre per il Senato in Sicilia).
Con in mano la scheda elettorale, il 24 e 25 febbraio, si potrà fare l’appello. Nei simboli ci saranno i nomi di tutti i leader di partito. Mancherà praticamente soltanto quello di Bersani. Il segretario del Pd, da quando è stato eletto, ha detto che non avrebbe messo il suo nome nel simbolo del partito, bollando i «partiti personali» come pericolosi per la stabilità del sistema. Una linea che Bersani non ha mai messo in discussione, né quando ha vinto le primarie ed è stato scelto
come candidato premier del centrosinistra, né quando l’attuale presidente del Consiglio è «salito in politica» e ha sfoderato il simbolo «Con Monti per l’Italia», e neanche negli ultimi giorni quando più d’uno tra compagni di partito, sondaggisti ed esperti di comunicazione gli ha consigliato di inserire il suo nome nella parte bassa del simbolo Pd, com’era del resto con Veltroni candidato premier nel 2008.
Hanno fatto altre scelte gli altri. Casini a settembre aveva anche convocato a Chianciano l’ufficio politico per formalizzare la scelta: via il suo nome, a favore dell’inserimento nel simbolo della parola «Italia». Quello doveva essere, per il leader Udc, «un primo segno tangibile di questa nuova fase che si è aperta». Poi? Poi è successo che il 4 gennaio Monti ha convocato una conferenza stampa all’hotel Plaza per presentare il simbolo della «Scelta civica con Monti per l’Italia». Pochi minuti dopo che il premier ha tolto il drappo rosso dal treppiedi che reggeva la new entry politica, è comparsa sulle agenzie di stampa una nota firmata da tutti i segretari regionali dell’Udc in cui si chiedeva a Casini di rimettere il suo nome nel simbolo. E cosa doveva fare il leader centrista, se tutti i suoi dirigenti locali gli chiedevano questo sacrificio? E cosa doveva fare a quel punto anche Fini?
Non è stato facile prendere una decisione neanche per Maroni. Nel senso, non è stato facile vincere un congresso contro Bossi sostenendo la necessità di rompere con Berlusconi e poi scegliere di allearsi di nuovo con lui. E allora? Allora Maroni si è inventato di mettere nel simbolo della Lega anche il nome di Tremonti (giocando sul doppio senso con TreMonti, visto che c’erano) che per il Carroccio dovrebbe essere i candidato premier del centrodestra. Poi c’è stata la difficolta a mettere insieme nel simbolo della Lega Alberto da Giussano con spadone e sole delle Alpi e Padania e doppi nomi di persona e di lista (c’è anche il riferimento allla 3L tremontiana, Lista lavoro e libertà), ma questo è stato un problema del reparto grafico. Il reparto politico si deve essere comunque sentito con la coscienza a posto.
L’Unità 13.01.13