attualità, politica italiana

"Buffalo Bill, Toro Seduto e l'arbitro al Quirinale", di Eugenio Scalfari

C´era una grande attesa per l´incontro televisivo di Berlusconi con Santoro. Due nemici di vecchia data (ma con una riconciliazione di due anni di Santoro a Mediaset), due “showmen” di provato talento, due venditori di bubbole che rimontano in ogni occasione il vecchio film in cui Totò vende la Fontana di Trevi a Peppino De Filippo. Dove li trovate due personaggi come loro?
Il guaio, il terribile guaio per l´Italia, è stato che uno di loro ha guidato la politica del nostro paese per vent´anni riducendolo come l´ha ridotto. Purtroppo è accaduto spesso nella storia italiana, a partire da Cola di Rienzo, passando poi per i vari Masanielli toccando il culmine con Mussolini che ci rivendette l´Impero che tornava dopo venti secoli sui colli fatali di Roma. Il Cavaliere è stato più modesto: ha impedito che i comunisti conquistassero il potere in Italia quando non c´erano già più nemmeno in Russia. E vive ancora rivendendoci questa patacca.
Ora si discute quanto beneficio il Cavaliere abbia tratto dalla corrida contro Santoro e Travaglio. Due tori contro un matador. Chi ha vinto e chi ha perso? E quanto sono aumentati nei sondaggi i voti di Silvio? «Manco mezzo» ha scritto Giuliano Ferrara. Dall´uno al tre per cento hanno risposto alcuni sondaggisti.
Comunque un vantaggio l´hanno realizzato tutti e due, anzi tutti e quattro: Silvio, Michele, Marco e La7.
Il primo è stato sdoganato ed ora è di nuovo in battaglia, gli altri tre hanno incassato un´audience di 9 milioni di ascolto, come una puntata del festival di Sanremo o una partita di finale dei Mondiali di calcio. Ma non è stata una corrida, anche se la trasmissione era cominciata con le note della Carmen.
Il commento più bello l´ho letto su Repubblica di venerdì e l´ha scritto Francesco Merlo: «Si sono legittimati a vicenda come gli anziani Buffalo Bill e Toro Seduto che in un famoso film di Altman ripropongono il combattimento del Selvaggio West ma sotto il tendone del circo quando ormai molte lune hanno logorato il Grande Spirito e i malinconici compari hanno esaurito i proiettili l´uno e le frecce l´altro».
Alla fine, dopo un´ora soporifica, hanno anche finto di litigare; Berlusconi ha inventato una “gag” degna di Stanlio e Ollio pulendo col fazzoletto la sedia dove s´era seduto Travaglio; Santoro gli ha poi fatto un “assist” prezioso facendo apparire in video un´imprenditrice bergamasca che invocava il ritorno alla lira per poter pagare i suoi debiti alle banche. Berlusconi ha raccolto la palla e l´ha spedita in rete concordando con la signora sulla intollerabilità dei sacrifici ma correggendone la terapia: non tornare alla lira ma imporre all´Europa una politica keynesiana. «Perciò votatemi, solo io potrò ottenere questo piegando la volontà della Merkel, ma debbo avere tutti i voti, un potere assoluto e una Repubblica presidenziale».
Una sola regia ha guidato lo spettacolo e le regole di ingaggio concordate: erano due populismi che s´incontravano e si sorreggevano a vicenda, uno di estrema destra, l´altro di estrema sinistra. Due populismi con la stessa patacca da rifilare a chi li segue con innocente e credulona ingenuità.

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Non sono certo i soli i populismi di Berlusconi e di Santoro-Travaglio. C´è Grillo che vuole sbaraccare partiti e istituzioni instaurando una Repubblica referendaria e uscendo dall´euro e dall´Europa; c´è Ingroia che apre a Grillo ma intanto recluta i suoi dissidenti nella sua lista, si allea con Di Pietro e propone una Repubblica guidata dai magistrati; c´è la Lega che vuole la secessione della multiregione Lombardia-Veneto-Piemonte, che trattenga sul territorio tutte le imposte pagate dai residenti più la quota pro capite degli interessi che ci costa il debito pubblico.
A quanto può arrivare il consenso che uscirà dalle urne a queste varie forme di demagogia che si vale, ciascuna, di imbonitori ben collaudati? All´ingrosso io darei almeno il 40 per cento nel loro complesso. Marciano separati ma colpiscono insieme. Dunque la minaccia è forte.
Non hanno programmi salvo quello di mandare all´aria tutte le strutture esistenti, la democrazia rappresentativa, lo Stato di diritto fondato sulla separazione dei poteri, la Corte Costituzionale, la moneta comune, l´Europa, le imposte che debbono essere ridotte al minimo. E ovviamente la politica e i partiti.
Il mito che aleggia su questo variopinto calderone dove il bollore ha raggiunto il massimo nell´imminenza delle elezioni è la società civile.
Non si sa che cosa rappresentino queste due parole e quale sia il nuovo che esse esprimono e il vecchio che condannano. La società civile non si identifica con una specifica classe sociale, non è la classe operaia, non è il terzo stato, non è la borghesia, non è la nobiltà e non è il proletariato. Direi che sono due parole sinonime di altre due e cioè popolo sovrano, sinonimo a sua volta di un´unica parola, demos, democrazia. Dov´è dunque la novità?
Forse la novità consiste nell´abolizione dell´aggettivo “delegato”. Il più coerente da questo punto di vista è il grillismo che prevede i referendum come unici strumenti di governo e i funzionari incaricati di amministrare l´azienda pubblica come impiegati guidati da capi “pro tempore” in carica per pochi mesi a rotazione. Una sorta di condominio al posto dello Stato, cioè come l´esperienza insegna il peggio del peggio.
Se questa è la società civile ipotizzata dall´antipolitica, la storia ci racconta di tutte le volte che una situazione del genere si realizzò: sboccarono sempre nella dittatura o nei casi migliori nell´oligarchia o nella tecnostruttura, tutte soluzioni che degradano il popolo sovrano al rango di gregge. La storia non fa eccezioni, è sempre stato così.

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Se le varie formazioni antipolitiche e populiste avranno come credo un consenso complessivo attorno al 40 per cento dei voti espressi, ne rimane il 60 per le formazioni politiche che si propongono obiettivi di cambiamento e di modernizzazione per rinnovare le istituzioni senza distruggerle, anzi per accrescerne l´efficienza e la moralità, dove l´efficienza significa produrre maggiori risultati a costi minori e la moralità significa superare il “particulare” mirando al bene comune, all´interesse generale e non solo per l´immediato presente ma per il tempo lungo dei figli e dei nipoti.
In questo spazio si muovono sia il partito democratico sia la formazione che finora si era sempre definita come Centro ma questa volta assume come indicazione elettorale il nome di Mario Monti non più nella sua veste di tecnico chiamato per fronteggiare un´emergenza che aveva bisogno dell´appoggio di tutte le forze politiche, ma per impegnarsi e “salire in politica”. Con un suo programma. Con civettuola modestia quel programma è stato chiamato “agenda”. Si è aperta a questo punto una discussione se il contenuto di quel programma fosse simile al programma dell´altra forza politica in campo e cioè il Pd, il solo in tutto il panorama attuale che sia un vero partito e non si vergogni di dirlo, anzi lo rivendichi con orgoglio.
Personalmente ho sostenuto che i due programmi sono molto simili nelle loro linee maestre. Altri osservatori hanno affermato il contrario. Bersani si è rimesso al giudizio della pubblica opinione sostenendo tuttavia che ad elezioni avvenute il suo obiettivo sarà quello di allearsi con i montiani. Monti invece resta stretto all´unicità della sua “agenda”, sostiene che non esiste più un problema di destra e di sinistra ma solo di riformismo e rinvia a dopo le elezioni il tema delle alleanze.
Spenderò poche parole sulla diversità o le analogie dei due programmi di Monti e di Bersani. Tutti e due hanno manifestato la ferma intenzione di rispettare gli impegni presi con l´Europa; tutti e due – nei limiti di quegli impegni – hanno prospettato la necessità e l´urgenza di accrescere il tasso di equità, cioè di giustizia sociale, spesso trascurato se non addirittura schiacciato dall´emergenza; tutti e due mettono al primo posto la ripresa degli investimenti, dell´occupazione, del welfare e la diminuzione delle diseguaglianze sociali e geografiche; tutti e due vogliono un´Europa più federale e una Banca centrale equiparata a quelle esistenti in tutti gli Stati sovrani.
Non sto raccontando favole, ma riferisco i programmi e gli obiettivi dichiarati ripetutamente e pubblicamente dai leader di quelle due formazioni e dai loro alleati, a cominciare da Vendola, che Monti e il Corriere della Sera continuano a descrivere come un pericoloso bolscevico ignorando volutamente le affermazioni da lui ripetute ormai infinite volte a terminare con la trasmissione “Otto e mezzo” di tre giorni fa nel corso della quale Gianfranco Fini anch´egli presente in quell´occasione ne ha preso finalmente atto.
Le linee maestre sono dunque analoghe, la sensibilità sociale del Pd è certamente più marcata di quella dei montiani. Infatti Monti si muove nell´ambito del Partito popolare europeo, Bersani in quello del Partito socialista.
Dov´è dunque – se c´è – la vera differenza tra questi due soggetti politici?

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Purtroppo questa differenza c´è ed è molto rilevante, anzi addirittura preoccupante ed emerge ormai dalle esplicite dichiarazioni di Monti e di Casini.
Poiché i montiani non possono aspirare realisticamente a scavalcare la forza elettorale del centrosinistra, l´obiettivo che si propongono è quello di rendere impossibile una maggioranza al Senato, favoriti da una legge elettorale che rende possibile quest´ipotesi. Identico obiettivo per le stesse ragioni si propongono Berlusconi e la Lega.
È un obiettivo più che legittimo: chi partecipa a una competizione elettorale si propone di vincere dove può e come può. Nel caso dei montiani tuttavia c´è una postilla estremamente inquietante: se al Senato sarà necessaria un´alleanza tra il centrosinistra e i montiani, questi ultimi pretenderanno un governo guidato da Monti e strutturato a sua immagine e somiglianza.
Da un lato un partito che avrebbe la maggioranza dei voti e dei seggi alla Camera, dall´altro una lista con un numero di senatori appena sufficienti a fare maggioranza insieme al centrosinistra a condizione però di prendere tutto il piatto della partita. Alternativa: legislatura ingovernabile e necessità di nuove elezioni, con quali ripercussioni in Europa e sui mercati lascio ai lettori di immaginare.
Questo è il punto. Può darsi che, ad elezioni avvenute, i montiani si ravvedano. Voglio sperarlo ed escludo che possano proporre la medesima soluzione a un Berlusconi che sarebbe sicuramente molto più arrendevole alle loro richieste. Ma non andrà così anche perché c´è, per fortuna dell´Italia, un arbitro al Quirinale.

La Repubblica 13.01.13