Nel considerare le proposte di politica scolastiche che incominciano ad essere formulate in vista delle prossime elezioni, conviene tener presenti quali siano stati gli aspetti che hanno caratterizzato l’azione dei governi della destra, e che sono stati in gran parte confermati dal governo dei tecnici. La politica scolastica della destra ha teso, nominalmente, a conferire maggiore efficienza al sistema dell’istruzione, a rendere più efficaci le decisioni a livello nazionale e locale, a ridurre i costi degli interventi attraverso il ridimensionamento della consistenza del servizio fornito dalle scuole pubbliche. È stato affermato il principio della parità delle condizioni d’intervento da parte delle scuole pubbliche e di quelle private, ponendo a disposizione di queste ultime risorse aggiuntive. Rispetto agli orientamenti prevalenti nel resto d’Europa (e, in genere, nei Paesi industrializzati), sono state compiute scelte in direzione contraria: in Italia è diminuito il tempo di funzionamento delle scuole (da distinguersi dalla durata delle lezioni), mentre altrove si è affermato un modello di scolarizzazione che organizza l’attività degli allievi dal mattino al pomeriggio avanzato e, talvolta, rende disponibili le dotazioni – edilizie e strumentali – anche di sera. In Italia, di fronte all’incalzare della crisi economica, si è ritenuto che il contenimento della spesa pubblica potesse essere ottenuto attraverso la riduzione delle spese per l’educazione, e (con un accostamento non privo di significato) per la sanità, mentre altrove si sono limitate o rinviate le spese in altri settori della vita pubblica, senza ridurre le risorse a disposizione delle scuole. Non si è proceduto sulla via dell’innovazione, che avrebbe richiesto una politica di sviluppo della ricerca, ma si è posta l’enfasi sulla modernizzazione strumentale (identificata con le apparecchiature digitali), trascurando gli interventi per la qualificazione del personale, iniziale e in servizio. L’assenza di un disegno innovativo ha trasformato le nuove strumentazioni in oggetti di consumo. Lo strumentario tecnologico è stato accreditato di una valenza per l’educazione senza che tale valenza potesse essere dimostrata con riferimento a dati obiettivi. La modernizzazione così interpretata ha prodotto un progressivo impoverimento delle scuole, dal punto di vista operativo, come da quello inventariale: le risorse per l’educazione non si accumulano più nel tempo, né dal punto di vista fisico (le dotazioni tecnologiche devono essere rinnovate in tempi sempre più brevi), né da quello della capacità di utilizzarle. Per di più, le scuole sono state spinte ad affermare un loro profilo ponendosi in concorrenza le une con le altre. In altre parole, sono stati utilizzati elementi di senso comune (come sono quelli dei benefici derivanti dalla modernizzazione tecnologica) per esibire una capacità educativa che si andava attenuando. Le nuove risorse finivano col cacciare quelle preesistenti, prevalentemente orientate a conciliate l’apprendimento teorico con la sua applicazione: si pensi al laboratori di scienze naturali, a quelli per la progettazione e realizzazione di oggetti, agli spazi specializzati, alle biblioteche e alla catalogazione del patrimonio librario, all’orticultura e al giardinaggio, alla musica corale e strumentale, alle attività teatrali e via elencando. Il governo che si formerà dopo le elezioni dovrà ristabilire un rapporto di fiducia e collaborazione fra la scuola e la società, perseguendo tramite la proposta di educazione traguardi di equità. In Francia, alcuni anni fa, per riallineare le sensibilità e le interpretazioni del compito educativo della scuola, fu promossa una grande consultazione nazionale, coordinata da un comitato che aveva la più ampia autonomia. Alla consultazione parteciparono milioni di persone (politici, sindacalisti, ricercatori, esponenti del sistema produttivo, dei lavoratori della scuola, delle famiglie, singoli cittadini interessati ai temi in discussione). In Italia, si potrebbero prevedere diversi livelli di consultazione, nei comuni, in territori con caratteristiche affini, in ambito regionale. La consultazione nazionale assumerebbe un carattere di sintesi, mentre quelle locali porrebbero in evidenza esigenze specifiche (edilizia, trasporti, servizi, andamento della domanda eccetera). Un cambiamento importante nell’orientamento della politica scolastica dovrebbe essere costituito nella modifica dell’ottica di analisi e di decisione: la Destra (e i tecnici) hanno considerato prioritari obiettivi che investono il breve periodo (l’esempio più significativo è rappresentato dalla proposta delle tre i (inglese, impresa, informatica) che costituì la bandiera degli interventi del ministro Moratti, perché orientata a favorire l’acquisizione di capacità immediatamente spendibili nel mondo del lavoro. Un orientamento progressista, culturalmente e socialmente più consapevole, nella politica scolastica dovrebbe invece tener conto prioritariamente del medio e lungo periodo, favorendo la crescita di apprendimenti che restino per tutta la vita o per un tratto consistente di essa. Questa scelta strategica consentirebbe anche di contrastare le tendenze regressive che negli ultimi decenni si stanno manifestando nei profili culturali delle popolazioni dei Paesi industrializzati, esposte per le condizioni prevalenti di vita e di lavoro a una progressiva erosione del repertorio simbolico alla base del loro profilo culturale.
L’Unità 05.01.13
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