attualità, cultura

“Da stranieri in patria a nuova linfa per la società”, di Mario Calabresi

Sarà l’anno della cittadinanza. Sarà l’anno della cittadinanza per chi vive da troppo tempo nel limbo, per chi è cresciuto, ha giocato, studiato e sognato in un solo Paese ma ne è escluso, colpevole di essere nato fuori dai confini della Terra in cui vive e a cui sente di appartenere. I protagonisti del dibattito politico del 2013 saranno i bambini nati in Messico o in Guatemala arrivati piccolissimi negli Stati Uniti, o quelli con passaporto cinese, filippino, peruviano, marocchino o rumeno ma che sono nati in Italia, tifano per gli azzurri e sognano di vincere «X Factor». Dopo anni di dibattito acceso, che ha visto in prima fila il presidente Napolitano e la Chiesa, sembra arrivato il momento: se in Italia Bersani vincerà le elezioni il suo primo provvedimento sarà sulla cittadinanza perché «un figlio di immigrati nato qui e che studia qui è un italiano». Negli Stati Uniti Barack Obama ha riconquistato la Casa Bianca anche grazie alla promessa di dare sostanza al sogno, di approvare finalmente il «Dream Act», per regolarizzare i due milioni di ragazzi e i dieci milioni di adulti che vivono in clandestinità, ma si sentono americani a tutti gli effetti: studiano, lavorano, costruiscono casa e famiglia e non hanno mai commesso reati. Il loro inserimento permetterebbe di farli uscire dal limbo e dal lavoro nero, diminuendo il deficit, aumentando le entrate fiscali e, come sottolinea il sindaco di New York, Michael Bloomberg, di inserire nuova linfa nelle nostre stanche società.
La Stampa 26.12.12
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“Sarà l’anno del coraggio. Correremo il rischio di perdere pur di continuare a sognare”, di Massimo Gramellini
Ivan, lettore disoccupato e pressoché adulto, mi scrive che non ha alcuna intenzione di cambiare la sua vita. Come il cane Argo aspettò vent’anni il ritorno di Ulisse – dice – io resterò fermo, aspettando che la mia amata patria ritorni grande e mi dia finalmente sicurezza e lavoro.
Caro Ivan, apprezzo la tua fiducia nel destino di questo nostro mirabile e strampalato Paese. Però, non fosse altro che per ingannare l’attesa, ti suggerisco di sgranchirti le gambe, cioè il cuore e la testa. Vorrei che per te, per me e per tutti il 2013 diventasse l’anno del coraggio. Non hai più niente da difendere e nessuno a cui delegare la soluzione dei problemi.
Una nuova classe politica? Mah, speriamo. Intanto è preferibile assumere l’iniziativa, meglio se in compagnia di chi condivide il tuo stesso obiettivo. Osare il cambiamento, che è anzitutto la rottura di uno schema mentale conservatore che prima ti porta a dire: «Non si può fare». E subito dopo: «Ma l’ho sempre fatto», pur di continuare a non farlo. Lo so, Ivan: a frenare la tua voglia di immaginarti diverso è la paura del dolore. Ma nella vita ho fatto una scoperta che ti metto volentieri a disposizione: sofferenza e gioia sono vibrazioni della stessa corda. Se tu la strappi per non soffrire, non riuscirai più nemmeno a godere. È per questo che, in amore come sul lavoro, occorre avere coraggio. Il coraggio di riattaccare la corda. Di essere disposti a correre il rischio di una sconfitta pur di inseguire il proprio sogno di gloria, qualunque esso sia.
La Stampa 26.12.12