A forza di passi avanti e indietro il minuetto di Berlusconi lascia frastornati anche i suoi più accesi sostenitori. Non capiscono più dove stia andando il loro leader: lancia in resta contro Monti o compostamente allineato dietro il Professore? Il rilancio, la ridiscesa in campo, il nuovo partito con le facce nuove, era tutto fumo negli occhi. Nel migliore dei casi, fino alla scorsa settimana Berlusconi poteva ancora pensare di galleggiare sull’area grigia del benpensantismo italico, su quelle fasce sociali scontente del “montismo” (leggasi: del dover pagare le tasse) e nostalgiche dell’irresponsabilità berlusconiana (“i ristoranti pieni”…). Il Cavaliere si muoveva sul filo dell’ambiguità: le sortite antieuropee e antigovernative venivano calmierate con l’ammissione che non c’erano alternative al governo Monti. Il Pdl si comportava da partito di lotta e di governo. Grazie a questa ambiguità poteva pescare in un bacino elettorale che andava dai leghisti meno identitari alla palude dei moderati inquieti per i loro portafogli e diffidenti dei centristi. Questo schema è saltato di colpo per un macroscopico errore di valutazione: scambiare l’eleganza e la cortesia formale di Mario Monti con la debolezza. Soprattutto, Berlusconi non ha “capito” chi aveva di fronte: un rappresentante dell’establishment, europeo, e non solo, come si è visto alla riunione del Ppe di Bruxelles. Scontrarsi con Mario Monti significava inimicarsi tutta la classe dirigente dell’Ue nonché l’amministrazione Obama. Dare il benservito al governo che ha impedito il fiscal cliff europeo con motivazioni populiste ed euroscettiche ha prodotto una reazione “globale” di rigetto. E questa volta, contrariamente al passato, con una immediata ricaduta sulla politica italiana: l’isolamento del Cavaliere. Palpabile a Bruxelles, in crescita in Italia.
Le piroette delle ultime ore con il grottesco appello a Monti affinché guidi i moderati contro la sinistra, come se il Professore fosse un suo alter ego o un suo clone, esprimono tutta la solitudine e lo smarrimento del leader del Pdl. Quell’area grigia su cui contava per riguadagnare qualche voto non è disposta a seguirlo nel suo ridotto antieuropeo. Preferisce adattarsi alle scelte dell’establishment perché è finita l’epoca della “protesta dei ricchi” sub specie di partite Iva e piccoli imprenditori. La rabbia sociale è incanalata non contro il governo bensì contro tutta la classe politica, la casta; e, semmai è intercettata da Grillo, al netto dei suoi atteggiamenti duceschi.
Se Monti prenderà la guida di uno schieramento politico – direttamente o “ispirandolo” – non potrà che essere alternativo a chi lo ha preceduto. In quest’anno, e specialmente nelle ultime ore, il solco tra i due si è allargato fino a diventare incolmabile. Le dichiarazioni del Professore al meeting di Bruxelles sulle responsabilità del Pdl nelle sue dimissioni non lasciano spazio a dubbi. Monti rappresenta l’antitesi di Berlusconi per tanti tratti personali ma anche e soprattutto per i riferimenti politico-ideali. Se è vero che per Monti l’Europa rappresenta il vero discrimine della politica italiana, allora scende una cortina di ferro nei confronti della destra forzaleghista. La continua, sottile, insinuante delegittimazione dell’Unione messa in atto da Berlusconi
e dai suoi, a incominciare da Giulio Tremonti, con le ricorrenti accuse all’euro fonte di ogni disgrazia, per non dire degli stridii leghisti, formano una barriera insormontabile nei confronti di chi, come Monti, vede nell’Europa il faro della sua azione politica. Inoltre, poiché il Professore non ha nelle sue corde quell’ostilità forsennata verso la sinistra che ha rappresentato la cifra identificativa e la ragion d’essere del centrodestra, non potrà che apprezzare l’attaccamento all’Europa del Pd e persino l’embrionale neo-europeismo di Nichi Vendola, espresso dall’appassionato riferimento a Ernesto Rossi e Altiero Spinelli nel dibattito televisivo delle primarie.
La Repubblica 15.12.12
Pubblicato il 15 Dicembre 2012