attualità

“Monti rischia un appoggio eccessivo”, di Michele Brambilla

Due cose non s’erano mai viste in una campagna elettorale. Non s’era mai vista una così esplicita ingerenza (chiamiamo le cose con il loro nome) estera sul voto italiano, e non s’era mai visto il leader di un partito che indica come candidato premier il premier che ha appena sfiduciato.
La prima cosa, cioè il fatto che tutta Europa chieda a Monti di ricandidarsi, è indice di quanta stima goda oltre confine il Professore (tantissima) e di quanta ne abbia goduta il suo predecessore (pochissima per non dire zero). La seconda cosa sembra la prova delle difficoltà che Berlusconi sta incontrando dopo aver annunciato, con la solita metafora calcistica, il suo «ritorno in campo».
Tutti e due i fatti, insieme, appaiono poi come il segno che per il Cavaliere non tira una buona aria. L’Europa non lo vuole, e lui si manifesta in stato confusionale. L’altro ieri, durante quella che in teoria avrebbe dovuto essere la presentazione di un libro di Bruno Vespa, in poco più di un’ora ha dato cinque versioni sulla candidatura a premier: 1) se si presenta Monti io faccio un passo indietro; 2) lo faccio anche se Montezemolo assume la guida del centrodestra; 3) Alfano è in pole position per Palazzo Chigi; 4) se la Lega non mi appoggia faccio cadere le giunte in Piemonte e in Veneto; 5) la Lega ha accolto con entusiasmo il mio ritorno e al momento il candidato premier sono io. Ventiquattr’ore più tardi, cioè ieri, è tornato a caldeggiare un Monti-due, segno che a un Berlusconi-quattro non ci crede neppure lui.
O siamo di fronte a un genio di cui non siamo in grado di capire le mosse, il che è possibile; oppure Berlusconi è davvero in difficoltà, più di quanto abbia immaginato al momento di decidere il proprio ritorno. Cioè quando sapeva che la partita sarebbe stata difficile (i sondaggi non sono mai stati buoni) ma non prevedeva di sbattere contro le porte che la Lega, il vecchio alleato, gli ha chiuso in faccia. Abituato a trattare con l’amico Bossi – con il quale a un accordo, alla fine, si arrivava sempre – il Cavaliere dev’essere rimasto di sale quando s’è sentito dire da Maroni che l’alleanza Pdl-Lega può anche andar bene, ma a patto che lui si tolga di mezzo.
Così stando le cose – con l’Europa contro, con il Pdl sfasciato, con la Lega che lo abbandona – gli ultimi alleati del Cavaliere sembrano rimasti i suoi nemici storici, gli «antiberlusconiani» in servizio effettivo e permanente. Di assist, non mancheranno di offrirgliene.
Il primo sarà l’enfatizzazione del fronte internazionale pro-Monti. Un fronte che ha le sue sacrosante ragioni. Ma anche l’indelicatezza di non capire che basta poco per far rinascere negli italiani, di solito fieramente anti-italiani, l’orgoglio di sentirsi italiani. Se l’ipotesi di un Monti candidato di tutti i moderati Lega compresa svanirà (e svanirà), Berlusconi avrà buon gioco nel gridare alle indebite pressioni, al tentativo di colonizzarci, alle speculazioni dei mercati manovrati dai poteri forti internazionali, che non si sa chi siano ma proprio per questo come «nemico» funzionano sempre.
Il secondo assist glielo stanno già offrendo gli intellettuali, i comici e i giornalisti eccetera che hanno ripreso la battaglia con le armi dei bei tempi che furono, i quali poi furono bei tempi per Berlusconi perché certe campagne finirono per l’ottenere l’effetto opposto. Sono, costoro, in azione sia all’estero che in Patria, e negli ultimi giorni li abbiamo visti confezionare prime pagine con Berlusconi trasformato in mummia o, più gentilmente, che riemerge da un water; li abbiamo letti nei loro articoli sul Cerone di Natale o sul Cainano, li abbiamo sentiti alla Rai mentre invitavano a togliersi dal c. Anche qui, il Cavaliere non faticherà a dimostrare di quanta faziosità sia capace «una certa sinistra»; di quanto odio sia fatto oggetto «la sua persona». E si fregherà le mani.
Il primo ad avvertire questo rischio è proprio Bersani, che infatti ieri ha detto che non farà una campagna elettorale ad personam, avendo capito che il Berlusconi di oggi, a perdere, provvede da solo. Perché il Berlusconi di oggi non è più quello del 1994, anche se molti suoi avversari sono rimasti, un po’ pateticamente, quelli di allora.
La Stampa 14.12.12