L’Europa che guarda con preoccupazione all’Italia, al ritorno – ma anche no – di Silvio Berlusconi chiede a Mario Monti di candidarsi di nuovo alla guida del Paese. Come se oltre il Professore non possa che esserci il Professore. Pier Luigi Bersani non sottovaluta l’allarme attorno al nostro Paese ma non ci sta a che l’immagine che passi sia quella di una politica inaffidabile e arida e di un centrosinistra prigioniero del suo passato e del fantasma dell’Unione. Prima «non c’era il Pd e c’erano dodici partiti» nella coalizione. Oggi è tutta un’altra storia. Per questo convoca una conferenza stampa nella sede della Stampa estera per incontrare i giornalisti di tutto il mondo insieme a Lapo Pistelli.
Quando arrivano le domande sulle differenze che ci sono con Nichi Vendola e Sel, il candidato premier sa bene dove si vuole andare a parare. «Nichi Vendola è il governatore di una Regione», risponde che «è una forza saldamente europeista» seppur con «dei punti di dissenso» e quindi un valido alleato «sul tema ambientale e dei diritti». Ma, soprattutto, il Pd, «prodotto di diverse culture», è un partito oltre il 30%, dunque ognuno tiri le somme.
Dimostrare che esiste un partito, il Pd, forte, «europeista», progressista e impegnato «sulle riforme avviate dal governo Monti». Un partito e una coalizione in grado di vincere le elezioni ed avere una maggioranza «numerica e politica» solida alla Camera e al Senato». Questa è la mission del capo della coalizione. Bersani non crede al qua- dro politico incerto e confuso la sera delle elezioni di febbraio, è così sicuro che «non ci sarà frammentazione» da azzardare: «Prendete nota di questo pronostico».
È un Bersani deciso, anche duro quando rimanda nel recinto delle politica spettacolo le ultime performance di Berlusconi. «Non vincerà: perderà le elezioni», risponde ad un giornalista che gli chiede se anche lui sarebbe disposto, come l’ex premier, a fare un passo indietro per la presidenza del Consiglio a Monti.
A fare un passo indietro non ci pensa proprio, né crede che Berlusconi ne possa fare molti nei sondaggi: «Sono esterrefatto dalle sue giravolte, cerca di salvarsi mettendosi al centro della scena con il fatto poi che i problemi veri finiscono in diciassettesima pagina. Ma badate, Berlusconi non è una barzelletta». Le sue posizioni, spiega, assumono sempre più toni populisti, antieuropeisti, per questo, annuncia, «noi da oggi non ci occuperemo più di lui, di Berlusconi sì e Berlusconi no. A questo punto gli italiani sono in grado di decidere». Bersani assicura sulla stabilità della coalizione con Sel e Psi, ribadisce l’intenzione, dopo il voto, di parlare ai moderati, alle forze «del centro eurpeiste e costituzionali», certo non può «giurare» sull’esito dell’operazione, ma non sarà certo il Pd a chiudere la porta. Sullo sfondo la possibile scesa in campo dell’attuale premier ed è quello il tasto che più volte viene premuto. Bersani si sbilancia rispetto a qualche giorno fa. Come spiega anche in un’intervista a Die Welt, Monti «dovrebbe tenersi fuori dalla competizione elettorale, ma se decidesse di candidarsi rispetteremo la sua scelta e segnaleremo la nostra volontà di candidarsi». Ieri in conferenza stampa è stato più esplicito: «Se vinco io il primo incontro ufficiale lo faccio con Monti per ragionare assieme perché deve continuare ad avere un ruolo nel nostro Paese». E di sicuro, dicono i collaboratori del premier, se il professore decidesse di scendere in campo, non lo farebbe mai con Pdl e Lega e di certo non contro il Pd.
Se l’Europa teme che possa inter- rompersi il percorso riformatore, il segretario Pd replica «che rigore e credibilità del governo Monti sono per noi un punto di non ritorno», anzi per quanto lo riguarda si aspetta «in pro- spettiva un’agenda con più riforme e quando mi è capitato le ho fatte. Non pensiamo di governare venendo meno a dei vincoli o essendo pigri sul cambiamento».
Pone una domanda retorica lui. Ma se ci sono dubbi sul centrosinistra, co c’è rispetto all’altra metà del campo, semmai ce ne fosse una? Se non ci fosse il centrosinistra, commenta, in Europa dovrebbero venirlo a cercare. Difende il suo partito, «esperimento inedito» che ormai esperimento non è più, primo partito ovunque, una «delle più grandi forze progressiste europee», fusione «di culture progressiste con una matrice «socialista, una cattolica, una liberale, una ambientale», nuova forma di partito da esportare all’estero superando i vecchi schemi dell’800 e dando vita ad un «netwark» di partiti progressisti, iniziando da una piattaforma comune, quella sovranità «che riguarda il controllo democratico dei grandi processi della finanza ambientali, delle migrazioni». Un partito tanto ostinato nel suo cammino che «testardamente» continua a «rinunciare alle vacanze estive, invernali… di qualsiasi forma, perché la democrazia è una spada che non ha fodero». E allora si fanno gli incontri internazionali e intanto le primarie, perché «il Porcellum non lo volevamo, il centrodestra ha boicottato la riforma elettorale» e quindi i parlamentari il Pd li fa scegliere ai suoi elettori. Se ha convinto la stampa estera lo leggeremo oggi.
L’Unità 14.12.12
Pubblicato il 14 Dicembre 2012