Rimandare, troncare, addomesticare. Sono i tre verbi principali che Silvio Berlusconi coniuga nei processi. HA APPENA dichiarato che si ricandida ed ecco che Ruby fa saltare un’udienza del processo, ormai in dirittura d’arrivo. «Non vedo l’ora di andare a deporre», aveva detto Karima El Mahroung, nota un tempo nei night milanesi come Ruby Rubacuori. Aveva anche assicurato, parlando da neo-mamma, che lei che c’era stata, e aveva visto, sua figlia ad Arcore non ce la manderebbe proprio.
Come avrebbe potuto reagire questa ex ragazza cresciuta in strada sotto il martellante contro- esame del pubblici ministeri Ilda Boccassini e Antonio Sangermano? E come non ricordare che sempre in questi giorni anche Giampiero Tarantini, imprenditore nei guai per coca, donne e ricatti, ha appena chiesto in quel di Bari un giudizio senza pubblico? No, non sfileranno più le sue ragazze a pagamento trasportate a Palazzo Grazioli e a Villa Certosa.
Con un’immagine a pezzi in Italia e all’estero, Berlusconi sta giocando l’ultima, difficilissima partita tra politica e giustizia. Come sempre declinate alla sua maniera, ma non è più come sempre. «La verità è che, se Berlusconi non fosse entrato in politica, noi oggi saremo sotto un ponte o in galera», aveva detto Fedele Confalonieri (Repubblica, 25 giugno 2000). Una frase che torna attuale. Per comprendere meglio quello che sta accadendo «oggi», con Ruby che si eclissa, basta ricordare che cosa è successo «ieri».
È dai tempi di All Iberian, società estera della galassia arcoriana, che l’imputato Berlusconi si
difende «dal» processo. Allora, epoca Tangentopoli, vennero scoperti i soldi che arrivavano a All Iberian da un conto all’estero del segretario socialista Bettino Craxi. Berlusconi giurò sulla testa dei suoi parenti più stretti di non c’entrare nulla. Poi, però, a fatica, è emersa la realtà: è stato attraverso All Iberian, e il «comparto B very discret» di Fininvest, che si è arrivati infatti alla condanna di David Mills, avvocato inglese, in cambio di 600mila dollari testimone reticente nei processi italiani.
Silvio Berlusconi può solo essere definito il presunto corruttore: il suo processo è stato raso al suolo da «prescrizione breve» e «legittimo impedimento», ma gli sforzi legislativi del centrodestra non sono tuttavia riusciti a insabbiare ogni magagna di quel «comparto B». Sempre da lì è sbocciata, lo scorso ottobre, la prima, clamorosa condanna. Con un Berlusconi che, stando alla sentenza, ha mostrato «nell’esecuzione del disegno criminoso» una «particolare capacità a delinquere» ed è stato punito con quattro anni per frode fiscale.C’era stato un tempo in cui i suoi ombrelli «ad personam» funzionavano. L’avevano riparato persino dallo scandalo del Lodo Mondadori, lasciando però — attenzione — incenerire l’avvocato Cesare Previti. Ma per conto di chi aveva corrotto i giudici il condannato Previti? È da qui, dalla risposta, che si approda al tribunale civile di Milano: due gradi di giudizio hanno stabilito che a trarre benefici notevolissimi dalla sentenza aggiustata era stato il cliente principale di Previti, e cioè Silvio Berlusconi. Il quale ha procurato un danno enorme al suo diretto concorrente Carlo De Benedetti. E deve, con le sue aziende, risarcirlo per una cifra di circa 560 milioni di euro: e che cosa succede, nell’attesa della pronuncia della Cassazione?
Esattamente quello che succede dai tempi di All Iberian. Al Senato è stato prontamente messo nero su bianco il desiderio di «immunità » di Berlusconi. I suoi hanno ipotizzato di trasformare il ricorso alla Corte di giustizia del Lussemburgo in una specie di «quarto grado di giudizio» qui, in Italia. Un’idea talmente sballata che il governo Monti l’ha messa fuori della porta in un amen. E che com’è andata a finire? Che un amen è stato pronunciato dai berlusconiani per il governo Monti. Dopo essersi rimangiato il «passo indietro», Berlusconi è invece tornato a mostrarsi tra Milanello e Malindi. È, oggi come ieri, in campagna elettorale, e bloccare i processi gli serve.
La Repubblica 11.12.12
Pubblicato il 11 Dicembre 2012