Al liceo Fermi di Arona il mondo va alla rovescia. Gli studenti vogliono trattenersi in classe oltre il trillo della campanella (malgrado qualcuno, pendolare, ritorni a casa alle sei del pomeriggio). E lo fanno non per una partita di basket o per organizzare una festa, ma per imparare. Non bastasse: a loro piace. «Eravamo scesi in piazza il 24 novembre contro i tagli alla scuola. Ma volevamo fare qualcosa in più. Siamo persone colte, ci tenevamo a una protesta intellettuale, nobile, perché non passasse il messaggio che ogni scusa è buona per saltare le lezioni. Semmai è il contrario: ci teniamo così tanto alla scuola che siamo disposti a passarci più tempo», spiega nell’aula magna Nicolò Simoni, rappresentante di istituto e, in futuro, aspirante sindaco. Con lui una quarantina di compagni del triennio: classico, scientifico tradizionale o con opzione per le scienze applicate.
Una settimana fa hanno deciso di aderire alla iniziativa di un gruppo di insegnanti che a novembre, quando si discuteva dell’articolo 3 del ddl di stabilità che voleva aumentare di sei ore settimanali l’orario in classe dei prof, ha sospeso le attività extracurricolari. Adesso quei docenti si stanno impegnando in una contestazione alternativa. La loro idea si chiama « slow school », scuola lenta: una volta alla settimana fino a Natale resteranno di più per fare lezione con calma, senza l’assillo delle verifiche. «Amiamo il nostro lavoro e lo prova il fatto che stiamo investendo del tempo extra per fare lezione come piace a noi. Slow school significa far sedimentare le informazioni, è la filosofia della ruminatio , “masticare” le nozioni. La mattina, sempre di corsa, neppure noi riusciamo a soffermarci sulle cose come vorremmo», interviene Raffaella La Rosa, l’insegnante di italiano e latino cui è venuto in mente questo progetto. Su 104 professori hanno aderito in sei, ma altri stanno dando la disponibilità.
Sorprende di più, tuttavia, ascoltare i ragazzi, che mai avremmo immaginato pieni di entusiasmo per l’anti-sciopero e, in particolare, per un pomeriggio sui «superconduttori». «Nel libro di quinta a questo argomento è dedicato un paragrafetto. Invece con la professoressa Epifani ne abbiamo parlato per due ore», dice Ivan Minella, della quarta, aspirante fisico all’estero, «visto che in Italia si investe così poco sui brevetti». Lavorare in pochi, sette o otto per laboratorio, è piaciuto a tutti, sia che si trattasse di sviscerare le poesie di Whitman, Frost e Thoreau, o di analizzare il concetto di democrazia nell’età classica, sia che l’argomento fosse l’epistola XXXVII di Seneca o il film Welcome . «Ci siamo divertiti», ammette Stefano Baranzini. E Caterina Bravi insiste: «Mentre un’occupazione muore un po’ lì, questi mini corsi ci arricchiscono, entrano nel nostro bagaglio culturale: la prossima volta ci occuperemo delle origini della crisi economica».
È bello sentire che progettano di diventare medici, ingegneri, ricercatori, economisti. E che considerano la scuola qualcosa che appartiene a loro. «La nostra protesta non penso sia migliore di una manifestazione per strada, ma è complementare. Serve per capire che la scuola non è un’azienda, il fine è imparare e noi siamo qui per questo», alza la mano Antonio Stranges. Potessero scegliere, ecco le priorità. «I fondi dell’Istituto devono poter essere gestiti in autonomia. Vogliamo un edificio sicuro: abbiamo porte di sicurezza bloccate. E i laboratori devono migliorare», chiede Simone Scalzitti. Teura Zaveri si dichiara disposta a valutare i professori in base a quanto riescono ad appassionarli a una materia.
«Hanno risposto bene ai nostri stimoli, purtroppo queste attività non potranno andare avanti per sempre. Già solo tenere aperta la scuola di pomeriggio è un problema», parla Alessandro Caputo, insegnante di italiano e latino. Prosegue Katia Vandoni: «L’esperimento sta dimostrando che con pochi allievi riusciamo a dare di più. Qui non si tratta di voler lavorare meno, ma meglio. Se le nostre attività si riducessero alle 18 ore frontali la settimana, dovrebbero aumentarle a quaranta!».
Martedì scorso le prime due ore di «slow school» si sono concluse con il tè e le torte preparate da Laura Pezzi, che non è una cuoca, ma insegna storia e filosofia. Perché qui nelle «attività extracurricolari» ci si mette il cuore.
Il Corriere della Sera 10.12.12
Pubblicato il 10 Dicembre 2012