COS’È accaduto al Paese in un anno, come quello che si va a concludere, dominato dal “problema della sopravvivenza”? Come ha reagito a una crisi “perfida”, alimentata da “fenomeni enormi” (dalla speculazione internazionale alle difficoltà dell’Europa)?
Ma anche da “eventi estremi” (le dinamiche dello spread e il pericolo di
default) e da una progressiva crisi della sovranità, non solo in Italia? Queste
domande scandiscono fin dall’inizio il rapporto annuale del Censis, e vi è sullo sfondo la consapevolezza delle drammatiche condizioni di partenza: occorre “guardarci dentro con severità”, aveva annotato il rapporto del 2011, per porre fine al “disastro antropologico” degli ultimi anni, ad una lunga confusione ed impotenza di governo, e ad un deperire che ha riguardato sia la nostra realtà che la nostra immagine internazionale. Aveva poi aggiunto, evocando l’insediamento appena avvenuto del governo Monti: sul piano politico e istituzionale qualcosa si è mosso, occorre ora prestare attenzione alle dinamiche sociali di un Paese che appare stanco, quasi incapace di “desiderio”.
Oggi il Censis pone al centro non tanto l’assenza di reazioni istituzionali e sociali di fronte ai “tempi cattivi” quanto la divaricazione fra questi due livelli. La distanza cioè fra la strategia di rigore del governo – non puramente “tecnica” ma anche “politicamente straordinaria” – e le “affannose
strategie di sopravvivenza” dei cittadini, non coinvolti sino in fondo dall’operare delle istituzioni. L’agire politico, in altri termini, “non ha avuto lo spessore per generare forza psichica collettiva”, e “non è scattata la magia dello sviluppo fatto da governo e popolo”: ma senza questa “magia” è difficile immaginare una vera ripresa. Ed è difficile scongiurare gli opposti e speculari rischi del “maturare di poteri oligarchici” e di un populismo gonfio di rancore.
A confermare la necessità di un’inversione di tendenza concorrono i dati sulla percezione della crisi e delle sue cause: con la corruzione politica al primissimo posto, seguita a distanza sia dal debito e dagli sprechi pubblici sia dall’evasione fiscale (e meno diffuse sembrano poi essere le pulsioni anti-europee). Né lo “slittamento etico” coinvolge solo i partiti, ma sembra progressivamente allargarsi a parti crescenti del corpo sociale. Di fronte alla crisi, infine – e alla crisi della politica – la rabbia sembra il sentimento prevalente, mentre paura e senso di frustrazione appaiono più diffusi della volontà di reagire (pur nel crescere di forme di protesta, soprattutto fra i giovani).
Si passi poi dalla percezione della crisi ai dati reali, e si scorrano quindi le cifre relative alle divaricazioni sociali e all’impoverimento complessivo, con un reddito medio della famiglie sceso negli ultimi anni sino ai livelli del 1993. Con pesanti segnali di “smottamento” dei ceti medi, particolarmente accentuati nelle fasce più giovani. Con preoccupanti indicatori generali, relativi alle dinamiche e alla qualità dei consumi, e con alcuni squarci più specifici (negli ultimi due anni, ad esempio, quasi due milioni e mezzo di famiglie hanno venduto oro e altri oggetti preziosi).
Eppure la crisi ha segnato in profondità il Paese ma non lo ha piegato. Qui – secondo tradizione e vocazione – lo sguardo del Censis si rivolge più decisamente alla società e tenta di scandagliarne più da presso i comportamenti, le pulsioni, le opzioni. E registra così le “tre R”, risparmio, rinuncia, rinvio, ma non anche la quarta, e cioè rassegnazione. Nel sobbollire di elementi negativi, osserva infatti il rapporto, “i tempi cattivi avrebbero potuto diventare pessimi” se non fossero intervenute dinamiche sociali significative, “spinte di sopravvivenza” articolate e differenziate: esse rinviano da un lato a tratti precedenti della nostra storia (dal ruolo della famiglia alle solidarietà sociali e territoriali), e dall’altro alla capacità di sperimentare in modo flessibile e intelligente vie nuove, di trovare posizioni e collocazioni inedite. Con una crescente propensione alla dimensione internazionale sia sul terreno degli studi che su quello del lavoro. E con il modificarsi dei percorsi formativi – in rapporto stretto con le dinamiche dell’occupazione – o delle strategie micro-economiche ed economiche messe in atto.
Su questo terreno il Censis sembra talora intrecciare gli auspici e le speranze alle analisi disincantate, ma appare però convincente l’asse generale del rapporto. Risulta fondata, in altri termini, la preoccupata sottolineatura della divaricazione fra l’agire delle istituzioni e un Paese seriamente provato ma ancora capace di reagire. Ed è fondatissima l’esigenza di tenere insieme “il rigore istituzionale e la popolare voglia di sopravvivenza”. La riflessione sulle politiche messe in atto e su quelle da mettere in cantiere non può che partire da qui.
da La Repubblica
Pubblicato il 8 Dicembre 2012