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Nelle aule deserte dell’asilo di Scampia “Troppa paura, questa non è più vita”, di Conchita Sannino

Aule deserte. E tre grembiulini dal passo leggero, sotto gli occhi ancora turbati delle maestre. Pentolini colorati, nuovi Babbi Natale per distrarli. «Maestra, visto che cucino?». Le loro voci rimbombano, nella scuola c’è il vuoto. E fa freddo. E non ci sono i compagni. Tre bambini presenti su ottanta. È un giovedì irreale a Scampia, alla “Eugenio Montale”, il giorno dopo che il fuoco di camorra ha sfiorato le aule.
«Preside, io non li ho portati i miei figli, dovete chiudere tutti i cancelli. Però lo devo dire: siete stati bravissimi in quei momenti, mia figlia non aveva capito proprio niente, né della sparatoria, né del morto», li bacia Patrizia. «Professo’, abbiamo capito che non ci garantisce nessuno, e noi che facciamo, ce ne stiamo con le mani in mano, il governo non si è fatto sentire? », carica Patrizia. Il terzo è un padre, Franco, chiede pazienza per sé e tutti gli altri: «Mia moglie è molto impaurita, facciamole sbollire la rabbia, poi vi prometto che vengo io a riportare Antonio».
Solo tre famiglie, ieri mattina, se la sentono di riportare i loro figli
nell’asilo che ha visto l’uscio insanguinato dalla faida, una “materna” violentata dall’orrore dei sicari. Novanta per cento di assenze alla “Montale”, poco meno della metà alla materna comunale, qualche assenza di troppo qua e là in tutti gli altri istituti del quartiere scosso dall’ennesima faida.
Killer sempre più giovani, sempre più accecati di rabbia e cocaina. Come quelli che ancora ieri tornano a sparare, ancora in mezzo alla gente, ancora a mezzogiorno, in un comune vicino, a Calvizzano, solo nove chilometri dalla periferia nord di Napoli.
Stavolta cade Luigi Felaco, quarant’anni, una carriera criminale come tante ma un legame di parentela che scotta: è il nipote del padrino Angelo Nuvoletta, boss condannato all’ergastolo come mandante dell’assassinio del giornalista Giancarlo Siani. Anche ieri le pallottole volano tra la gente. La paura sfiora una pizzeria, il tam tam arriva ad altre scuole vicine. È la roulette russa delle esecuzioni. Funziona a Scampia come a Calvizzano. Può andare bene, può andare male: un lancio di moneta sopra la testa di tutti. L’ultima volta che è andata male è stato solo due mesi fa, 15 ottobre: un innocente che si chiamava Lino Romano, un onesto trentenne confuso con un “bersaglio”, fu fatto fuori con quattordici pallottole nel rione vicino a Scampia, è stato sepolto tra fiaccolate e cori. Fino alla prossima fatalità.
E come condannare i “disertori” di un giorno per lo choc, quei genitori che hanno voltato le spalle all’asilo di Scampia? Difatti. «Io li capisco profondamente», dice il preside, Enzo Montesano. «Quello che capisco di meno è quando mi si chiede di militarizzare o blindare anche i varchi pedonali, gli ingressi, Ma siamo matti? La scuola è aria aperta per eccellenza: se devo chiudermi dentro, allora tanto vale lasciare le chiavi ai criminali, dargliela vinta a questi nemici della vita». Montesano allarga le braccia qualsiasi cosa gli dicano, stamane. Alle 7.50 è lì con la dirigente della materna, Maria Mola, ad accogliere i pochi bimbi che arrivano e a rassicurare i genitori di chi non verrà. «È comprensibile questa assenza di massa, ce lo aspettavamo — riflette — però presto dobbiamo tornare alla normalità ». Parola che fa sorridere una madre.
Anna Persico, trentenne, casalinga, è infatti una di quelle che ogni mattina attraversa il quartiere a rischio da cima a fondo, accompagna i tre figli under 14 in tre diversi istituti. «Ho paura, certo che ce l’ho. Non riusciamo a vivere la vita che vorremmo. Ma qual è l’alternativa? Non ne ho né come madre, né come cittadina Perciò ho portato mia figlia qui all’asilo». Tina Esposito è un’altra delle tre. «Mia figlia è tornata a casa tutta eccitata, mi ha detto che c’era stata un po’ di ammuina perché Babbo Natale è venuto prima del tempo, lo dovevano fermare e per questo lei e i compagni sono usciti sul retro… ». Si commuove. «È stato un gioco, per loro».
Claudio Cecere, invece, tecnico di laboratorio, sta pensando di lasciare Napoli. «Non ero mai stato un disfattista, anzi. Alle ultime amministrative mi sono anche impegnato, sono un consigliere municipale, ma la paura che mi prende adesso ha a che vedere solo con la mia natura di padre. Ho tre figli e vedo che la città è preda degli istinti peggiori e della crisi più nera». Un altro padre, Michele, zaino su una spalla, e la riccioluta Federica sull’altra, si fa il segno della croce. Un affidamento laico per eccellenza: alla scuola. «Io metto mia figlia nelle mani sicure delle maestre, stamattina la porto alle elementari come sempre ». Poi aggiunge: «Ai primi di ottobre vennero a Napoli due ministri, la Cancellieri e la Severino: firmarono il solito Patto per Napoli, parlarono di Scampia, sembrava chissà quale passo avanti. Io ho rispetto delle istituzioni, ma le istituzioni ce l’hanno per i cittadini? Perciò mi fido solo di questi educatori, stanno con noi, resistono come noi». E poi, ride: «Non ci possiamo permettere babysitter. Perciò questa piccolina — accarezzandola la nuca — deve giocare qui. Se non credessi più nello Stato al punto da non affidarmi alla scuola, dovrei solo tirarmi un colpo. E non voglio darla vinta a quelli lì».
La Repubblica 07.12.12