Berlusconi si ricandida e il suo rientro in campo è un atto di destabilizzazione. Il governo Monti viene investito da un improvviso vento di crisi e lo spread si allarga, tornando a misurare il costo per gli italiani del populismo berlusconiano. Ma, a differenza del passato, il Cavaliere stavolta pare privo di una bussola. Minaccia di far cadere il governo, ma non ne ha la forza. Spinge i suoi senatori all’astensione, ma poi chiede a qualcuno di restare in aula per garantire il numero legale. Accusa Monti di aver portato il Paese sull’orlo del baratro (proprio lui!) ma la svolta propagandistica non produce comportamenti politici coerenti. Del resto, tutti sanno che il ricatto di Berlusconi punta alla legge sull’incandidabilità dei condannati (ancora la giustizia ad personam). E lo sanno bene nel Pdl, dove ormai c’è la baraonda: chi dice che Monti è un nemico, chi un amico, chi annuncia l’uscita dalla maggioranza, chi la permanenza, chi dissente dal Capo, chi dissente da Alfano, chi prepara le valige, chi non trattiene le lacrime. Siamo all’epilogo della legislatura, e probabilmente la rottura di Berlusconi è solo l’anticipo di una campagna elettorale all’insegna del peggiore populismo di destra. Peggiore di quanto lo stesso Cavaliere abbia finora espresso. Monti non sarà sfiduciato in Parlamento. Berlusconi però ha sfiduciato l’Italia, il buon senso, l’ipotesi di un approdo moderato (pur coltivato da qualcuno dei suoi), la responsabilità verso l’Europa e quegli impegni da lui stesso assunti nelle vesti di premier. Il Berlusconi rientrante dirà che l’Europa è male, che la moneta unica è male, che il rigore è male, che il risanamento di Monti non esiste, che il recupero di credibilità è una menzogna. Anziché lanciare un ponte verso i centristi vecchi e nuovi, tornerà dalla Lega e da Tremonti, e magari abbraccerà pure Borghezio.
I centristi non volevano Berlusconi, è vero. Ma lui poteva liberare nel Pdl un confronto democratico. È rimasto davanti a un bivio per molti mesi: poi ha imboccato una strada che porta danni al Paese. Perché l’Italia avrebbe bisogno di un centrodestra responsabile ed europeo. Avrebbe bisogno di ricostruire il sistema politico, devastato dalla demagogia della Seconda Repubblica. Avrebbe bisogno di una competizione dura, ma ancorata a valori condivisi. Avrebbe bisogno di un comune riconoscimento degli impegni internazionali dell’Italia. Invece quella tregua che ha consentito al governo Monti di operare nei punti più acuti della crisi (con gravi iniquità sociali, tuttavia favorendo una preziosa riduzione dei tassi) ora può evaporare in uno scontro sull’Europa. Berlusconi si illude di riconquistare consensi con gli argomenti di Grillo e della Lega. In questo modo porterà pure in Parlamento un drappello di fedelissimi, ma darà un colpo pesante alla credibilità dell’Italia. È come se tutti noi fossimo ancora sotto ricatto.
In realtà lo spettro di Berlusconi è persino sproporzionato all’estero. Lui non ha più ipoteche. La domanda di cambiamento che il Paese esprime, nelle forme più diverse, è incontenibile entro gli schemi dell’ultimo decennio. Le primarie del centrosinistra hanno aperto una nuova stagione. E il desiderio di innovazione preme da più parti.
Il dramma di questa convulsione berlusconiana è che rischia di bloccare ogni ipotesi di riforma del Porcellum. E quindi di gettare un’ombra di delegittimazione sulle prossime elezioni. Se resta imprigionata nella Seconda Repubblica, l’Italia rischia grosso. Senza un centrodestra europeo saranno menomati anche gli avversari. Ma da questa difficoltà deve nascere un supplemento di responsabilità nelle altre forze democratiche. Innanzitutto nel Pd, che oggi è il partito sul quale sono riposte le maggiori aspettative di cambiamento. Dovrà avere lo stesso coraggio che ha dimostrato aprendo le sue primarie: dovrà fare i salti mortali pur di cambiare il Porcellum, dovrà aprire consultazioni per la scelta dei suoi parlamentari qualora la legge elettorale fosse immodificabile, dovrà parlare apertamente del cambiamento necessario mentre assicura con lealtà la conclusione del mandato di Monti. Dovrà presentarsi al Paese per governare. Ma allo stesso tempo dovrà tenere aperta la porta alla collaborazione e all’impegno di tutti coloro che vogliono partecipare alla ricostruzione e sono disposti a tagliare i ponti con i populisti e i demagoghi.
L’Unità 07.12.12
Pubblicato il 7 Dicembre 2012