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“I responsabili del disastro”, di Patrizio Bianchi

Il ritorno di Berlusconi riapre l’otre dei veleni. Il cavaliere attacca Monti per riabilitare se stesso e disseminare di uova di serpente il percorso di ricostruzione di un Paese, la cui debacle porta inciso il suo stesso nome. La posizione del centrosinistra su Monti è chiara: il rigore ci vuole ma non basta.
La politica economica che ci porterà fuori dal disastro in cui ci ha precipitato il lungo governo berlusconiano ha come caposaldi un ritorno di credibilità in Europa, una maggiore efficienza della pubblica amministrazione, più autonomia alle comunità locali, una maggiore capacità del sistema produttivo, più diritti per i cittadini perché l’inclusione sociale è il modo per allargare e rafforzare la nostra società. In questa visione la scuola, la formazione, la ricerca e la sua trasformazione in nuovo benessere divengono le vie di un recupero di orizzonte, essenziale per uscire dalla continua emergenza in cui siamo stati costretti.
Nulla di più lontano dal tentativo berlusconiano di riabilitare una stagione di veleni a 360 gradi, che ci ha portato ai margini dell’Europa, addirittura derisi da quegli stessi governi di destra che pure a lungo hanno governato la scena europea. La politica economica si fa innanzitutto con la credibilità delle persone, con quella «moral suasion» che portò Prodi, presidente del consiglio, e Ciampi, suo ministro del Tesoro, a ridurre lo spread con il bund tedesco da 600 punti base a 37. Ciò dimostra che si può fare una politica di rigore di bilancio e nel contempo di espansione economica se, con il metodo di una concertazione solidale, si riesce a dare al Paese grandi obiettivi come era allora l’entrata nell’euro e oggi la costruzione di una vera e piena Unione europea sostenuta da una comune azione politica.
Questa politica economica ha bisogno di un protagonismo dell’Italia a Bruxelles e, se il governo Monti ha dimostrato più di una debolezza tecnica sul piano interno, in particolare in materia di lavoro e di sviluppo, il presidente Monti ha dimostrato quanto l’Unione abbia bisogno di un’Italia credibile e protagonista, fra una Germania sempre più impegolata nelle sue stesse spire conservatrici ed una Francia che non riesce ad assumere una chiara leadership politica progressista. La nuova politica economica richiede un grande spirito internazionale, incardinato nel cuore dell’Europa e non una politica estera basata su collusioni amicali e pacche sulle spalle, mentre riprendono ad intrecciarsi affari privati.
La politica economica del futuro governo richiederà una forte azione per rilanciare la crescita e questa può venire solo decidendo chiaramente di puntare sulla capacità di creare più valore aggiunto per le nostre produzioni. La ricerca di Mediobanca sulle grandi multinazionali che operano a livello mondiale dimostra che l’Italia resta il Paese che ha il più basso costo del lavoro e nel contempo il più basso valore aggiunto prodotto, con il risultato che proprio le grandi imprese italiane sono quelle che hanno il peggior rapporto tra costi e valore aggiunto. Per uscirne o vi è la via fallimentare di operare per tagliare il costo del lavoro, ridurre i diritti, precarizzare l’intero sistema produttivo nel tentativo vano di inseguire l’ultimo del Paesi asiatici, oppure vi è la strada di far crescere il valore aggiunto delle nostre produzioni agendo sulla creatività, sulla competenza, sulla capacità di essere quello che tutto il mondo si aspetta da noi, cioè la piattaforma globale dell’alta qualità. La politica industriale del Paese deve agire su questi elementi aumentando il numero dei giocatori capaci di essere i pivot di filiere internazionali in cui portare quei fattori chiave che rendo- no innovativo e di alta qualità tutto il sistema produttivo.
Per far questo è indispensabile investire sulle persone, sia per aumentarne le competenze, ma anche per consolidare quei legami di capitale sociale che rendono forte e dinamico un sistema produttivo, perché forte e dinamica è la struttura sociale che lo regge e lo giustifica. Tutto il contrario di quello che ha fatto il governo Berlusconi, che ha reso instabile e precario ciò che in- vece deve essere forte e solidale, sia nelle politiche del lavoro che nelle politiche della scuola e della ricerca, spingendo ancora più in basso quell’indice di spesa pubblica in educazione, formazione ed università, che ci vede buon ultimi nelle classifiche internazionali.
Vedremo dove porteranno le minacce di Berlusconi. Nel frattempo il centrosinistra deve essere pronto per una nuova fase orientandosi verso quella buona econo- mia, che ha le sue basi in uno sviluppo che si fonda sulla strada percorribile di un gran- de investimento sulle nostre persone, sul nostro ambiente, sulla nostra comunità.
L’Unità 07.12.12