Oggi si vota per la seconda volta alle primarie del Pd il ballottaggio tra Bersani e Renzi. Il segretario di quel partito parte favorito ma la partita è ancora apertissima; ci sono molti votanti giustificati per non aver potuto partecipare al primo turno e non mancano quelli che tra un turno e l’altro possono aver cambiato posizione e quelli che per qualche ragione personale se ne resteranno a casa. Nei ballottaggi talvolta accade.
Nel frattempo il duello tra i due contendenti li ha visti dialoganti in una lunga trasmissione televisiva su Rai1 e in altre dove sono apparsi separatamente. I giornali ne hanno ampiamente riferito formulando pagelle e giudizi. Mi ha colpito tra gli altri un articolo sulla “Stampa” di Luca Ricolfi, presentato con un titolo significativo: “Il partito sopravvissuto”. Il senso, così sembra a me, è che il Pd si è rafforzato in queste ultime settimane non per forza propria ma perché gli altri si sono indeboliti o sono addirittura scomparsi. Il Pd è rimasto in piedi e quindi le sue probabilità di vittoria si sono rafforzate. Ma questo dipenderà dalla legge elettorale ancora in gestazione. Comunque il vincitore delle elezioni primarie sarà anche il probabile vincitore delle politiche del prossimo aprile.
La tesi di Ricolfi rende a Bersani l’onore delle armi: interpreta fedelmente l’anima socialista o socialdemocratica del partito ma resta in quel limitato recinto senza sedurre altri settori dell’opinione pubblica che, delusi da precedenti esperienze, cercano una nuova collocazione senza però esser disposti a spingersi fino a posizioni socialiste.
Renzi invece riscuote consensi anche tra i liberali, in particolare tra i liberali di sinistra (così scrive l’editorialista della Stampa) che nel Pd finora non ci sono mai stati. Conclusione: Bersani probabilmente vincerà le primarie, ma Renzi sarebbe un leader ideale per guidare il partito alle prossime elezioni politiche perché allargherebbe i confini e farebbe del Pd un punto di riferimento plurale quale non è mai stato finora. Ho citato ampiamente l’articolo in questione perché prospetta l’utilità di un futuro tandem tra Bersani e Renzi, tesi caldeggiata a questo punto da gran parte della stampa italiana e non scartata dagli stessi due interessati.
Personalmente non ho nulla contro il suddetto eventuale tandem; del resto non faccio parte del partito ma sono soltanto uno degli elettori e lo sarò fintanto che le sue scelte saranno da me condivise come accade a qualsiasi cittadino che voglia esercitare il suo diritto di voto. Ma debbo correggere un errore dell’amico Ricolfi: la cultura politica dei cosiddetti liberali di sinistra, che cominciò con il lascito storico dei fratelli Rosselli, di Piero Gobetti, del Partito d’Azione di Ferruccio Parri, di Ugo La Malfa e di Leo Valiani, del liberalsocialismo di Guido Calogero e di Omodeo ed ebbe la sua risonanza mediatica negli articoli di Salvatorelli, Bobbio, Galante Garrone, nei convegni degli amici del “Mondo”, nell’“Espresso” e in “Repubblica”, è presente nel Pd fin dalla sua fondazione nel programma che Veltroni espose al Lingotto di Torino e ancor prima quando Achille Occhetto fondò il Partito dei democratici di sinistra dopo aver smantellato l’icona del Partito comunista nato nel 1921.
Occhetto scartò l’idea d’inserire la parola socialista nel nome del nuovo partito; ritenne che la
sua immagine nel nuovo contesto seguito alla caduta del muro di Berlino dovesse andare molto più oltre, determinando con quella sua scelta una scissione alla sinistra del Pds. Poi ci fu l’esperienza dell’Ulivo che approdò infine al Pd con l’ingresso dei cattolici popolari accanto ai laici democratici. I liberali di sinistra furono presenti fin dall’inizio in questo processo ed ho qualche titolo per parlarne.
Renzi è certamente un giovane con notevoli capacità di comunicazione e di semplificazione, da questo punto di vista rientra in pieno nella filiera dei comunicatori radiofonici e televisivi e proprio per questo attira i delusi del berlusconismo; ma con i liberali di sinistra o liberalsocialisti che dir si voglia non ha niente a che fare né essi hanno a che fare con lui.
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Quante sono le “chance” che il vincitore delle primarie di oggi sia il vincitore delle prossime elezioni politiche e quindi il presidente del Consiglio del nuovo governo che uscirà dalle urne?
La domanda si incrocia con il tema del dopo-Monti o del Monti-bis e dell’agenda Monti. Insomma con la posizione che potrà avere l’attuale presidente del Consiglio. È un tema d’attualità che anche su queste pagine è stato più volte esaminato. Aggiungo al già detto alcuni aggiornamenti.
1. Monti ha più volte dichiarato che, terminato il suo mandato, sarà disponibile a dare il suo contributo al risanamento del Paese e alla costruzione d’una Europa più unita e più forte se gli sarà richiesto da chi avrà titolo per farlo.
2. Larga parte del programma dell’attuale governo corrisponde ad altrettanti impegni che l’Italia ha assunto nei confronti delle Autorità europee. Tali impegni sono stati attuati parzialmente, alcuni saranno perfezionati nei prossimi mesi, altri dovranno esserlo dal governo che emergerà dalle urne.
3. La parte di programma ancora inevasa riguarda la crescita e l’equità sociale. In larga misura interventi su questi settori non possono esser presi se non in sintonia con l’Europa, ma ci sono margini notevoli per iniziative
nazionali.
4. L’attuale governo tuttavia ha finora dimostrato scarsa sensibilità allo sviluppo dell’economia reale. La mancanza di risorse è senza dubbio un elemento frenante ma questa lacuna può essere superata attraverso una diversa scala di priorità e una più adeguata redistribuzione del reddito.
Monti è la persona adatta ad assolvere questo compito in un nuovo governo che nasca da una coalizione tra progressisti e moderati? Nascerà una coalizione di questo genere e sarà sufficientemente coesa? Oppure ci sarà un risultato elettorale che attribuirà allo schieramento progressista la maggioranza assoluta che renderà opportuna ma non necessaria l’alleanza
con i moderati e sia comunque in grado di orientare socialmente un Monti-bis o addirittura farne a meno pur rimanendo fedele e adempiente agli impegni presi con l’Europa?
Resta infine l’ipotesi di un Monti elevato al rango di Capo dello Stato al Quirinale rimasto vuoto per la scadenza del settennato di Giorgio Napolitano. Gli si può offrire con la fondata certezza che il nuovo Parlamento abbia una maggioranza compatta e capace di realizzare questa ipotesi? Oppure essa resta incerta e quindi non praticabile?
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Molte delle risposte a queste domande dipendono dalla legge elettorale tuttora nel limbo. La scadenza della legislatura comunque consente ancora un notevole margine di tempo.
Se dovesse restare la legge elettorale vigente, la vittoria del Pd è sicura senza bisogno di alleanze post-elettorali. Qualora invece si faccia la riforma sullo schema d’un premio condizionato dalla soglia dei consensi realizzati nelle urne, la vittoria progressista probabilmente ci sarà ma senza raggiungere la maggioranza assoluta dei seggi. In quel caso l’alleanza con il Centro sarà necessaria. L’eventuale Monti-bis tuttavia non dipende solo da quest’ultima ipotesi bensì dall’andamento dell’economia reale, dal tasso di disoccupazione, dalla curva dei consumi, dalle aspettative degli investitori, dei consumatori e
dei lavoratori. Infine dal processo di costruzione dell’Europa unita e dagli ostacoli da superare per condurlo a buon fine.
Il nostro parere è che la presenza di Monti al Quirinale sia incerta e comunque non rappresenti il modo migliore per utilizzare le sue indubbie capacità a vantaggio dell’Italia e dell’Europa. Meglio sarebbe un Monti presidente del Consiglio in un governo guidato dal Pd. Egualmente efficace la presenza di Monti come ministro dell’Economia e degli Affari europei in un governo di centrosinistra o di coalizione con le forze moderate.
Come si vede le ipotesi sono parecchie e tutte logicamente realizzabili. Grillo si sta sgonfiando. Avrà comunque un’affermazione elettorale, ma non tale da suscitare soverchie preoccupazioni. A questa maggiore tranquillità di giudizio hanno sicuramente contribuito le primarie del Pd e il loro contenuto democraticamente positivo e ne va dato atto a tutti i candidati che vi hanno partecipato e ai milioni di cittadini che hanno dimostrato la loro maturità politica e civile.
Post scriptum.
La vicenda del-l’Ilva e quelle analoghe di Piombino e dell’Alcoa, del Sulcis sono al centro delle attuali preoccupazioni del governo, delle parti sociali e della pubblica opinione. L’Ilva in particolare per le dimensioni economiche e sanitarie del problema e per il contrasto profondo che si è creato tra l’intervento del governo e le ordinanze della magistratura. Va tuttavia aggiunto su quest’ultimo aspetto della questione che il governo è intervenuto in sede legislativa contro un sequestro che non è una sentenza di merito. Una legge contro un’ordinanza di sequestro può motivare un reclamo alla Corte costituzionale per conflitto di attribuzione? Lo vedremo nei prossimi giorni.
Resta il conflitto sostanziale tra la perdita di lavoro a tempo indeterminato di molte migliaia di lavoratori in tutta Italia e addirittura lo smantellamento definitivo dell’industria siderurgica italiana e – d’altra parte – l’altrettanto importantissimo tema della malattia indotta da una fabbrica che emana ogni giorno polveri velenose e assassine. E resta l’inaffidabilità della proprietà attuale dell’Ilva con gran parte dei suoi componenti e collaboratori indagati per gravi reati dalla magistratura inquirente.
È necessario in queste condizioni che il governo sia pronto all’esproprio della società proprietaria ed è altrettanto necessario che tra governo e magistratura si arrivi a concordare un iter che tuteli al tempo stesso il lavoro e la salute. È difficile, non è impossibile, è necessario. A Taranto, a Piombino, nel Sulcis. Sulla necessità e sulla praticabilità d’un accordo si gioca la faccia del governo, della magistratura e dell’Italia.
Nessun dorma.
La Repubblica 02.12.12
Pubblicato il 2 Dicembre 2012
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