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«Tecnicamente la scuola fallisce» Intervista a Benedetto Vertecchi

Questo sistema educativo produce frantumazione sociale, prevale una logica aziendale che ci riporta indietro di decenni». Il professor Benedetto Vertecchi, come qualunque autorità della pedagogia sperimentale dotata di una prospettiva storica non sclerotizzata sul presente – insegna all’Università Roma Tre – è sempre «contento» quando gli studenti protestano. «Ma se manca la politica, non si va da nessuna parte».Il suo è un giudizio sul governo Monti?
Semplice. La Gelmini non aveva la più pallida idea di cosa fosse la scuola, e il ministro Profumo, che una certa idea dovrebbe averla visto che si spaccia per un «tecnico» e ha fatto pure il professore, dimostra di non sapere cosa significa sviluppare un sistema scolastico che è sull’orlo del fallimento. Al massimo si limita a bombardarci di luoghi comuni.
Quali?
Spacciano la tecnologia come fosse la palingenesi della scuola, per esempio. Mentre altri paesi si stanno interrogando sull’invasività di internet nella vita dei ragazzi, ad uso e consumo delle grandi aziende, noi enfatizziamo un uso delle tecnologie che non ha niente a che vedere con la cultura. I paesi con i sistemi scolastici più avanzati stanno imponendo l’idea che il grosso del processo educativo deve passare attraverso l’esperienza nella scuola, togliendo forza all’utilizzo di quei feticci tecnologici che in realtà portano alla distruzione di un altro tipo di tecnologia nelle aule. Una volta nelle scuole c’erano strumentazioni chimiche e raccolte natualistiche, oggi invece solo monitor.
Non sarà questa l’unica critica al governo dei tecnici.
No, ma questo è l’inganno cui siamo sottoposti: la chiamano modernità, mentre stanno cercando di lasciare il segno con ben altri provvedimenti.
Come il tentativo di allungare l’orario di lavoro dei docenti?
La questione degli orari è ridicola, il punto è che la scuola dovrebbe essere aperta tutto il giorno, ma non si può confondere l’orario di funzionamento della scuola con l’orario delle lezioni dei professori, io a scuola ci metteri gli orti per far restare i ragazzi fino a sera… La proposta di far lavorare i prof sei ore in più è da incompetenti in assenza di un nuovo patto per riorganizzare il funzionamento delle scuole in questa direzione, ma servono fondi e non tagli.
Profumo si è felicitato perché quest’anno gli iscritti alle scuole professionali hanno superato quelli dei licei. Cosa ne pensa?
Mah… Lui è contento anche davanti a centinaia di migliaia di precari che si iscrivono a un concorso che riserverà loro solo una manciata di posti di lavoro, ogni volta che parla mi vengono i dolori allo stomaco. In Italia abbiamo una dispersione scolastica molto alta, non c’è ancora una interpretazione rigida dell’obbligo scolastico (14 o 16 anni?) e gli iscritti all’università sono in calo rispetto al resto d’Europa. La verità è che siamo in una situazione pre fallimentare.
Però gli studenti tornano a farsi sentire.
E io sono contento. Però so anche che ce ne sono altri che sono tutelati dalle loro famiglie, quelli che vanno nelle scuole migliori, o che possono andare a studiare all’estero. Qui stiamo facendo un’operazione di frantumazione sociale, torniamo indietro di decenni facendo prevalere una logica aziendale.
Il problema, forse, è che le mobilitazioni fino ad ora si sono dimostrate incapaci di modificare a proprio vantaggio i rapporti di forza, e non solo quelle degli studenti.
La responsabilità più grande è quella delle forze politiche democratiche, avrebbero il sacrosanto dovere di incanalare forme di proteste prepolitiche trasformandole in politica attiva, trasformando così il disagio in proposta di cambiamento effettivo. Invece, al massimo, si corre dietro a una logica di rattoppi che di per sé non potrà mai ricostruire un sistema educativo degno di questo nome. Nel ’68 si sono fatti passi avanti ma direi più sul terreno individuale che collettivo, dopo un periodo in cui la distanza tra le classi sociali sembrava diminuita adesso siamo al punto che il divario tra privilegiati e no sta diventando nuovamente abissale.
In effetti, mai come nel mondo della scuola, nonostante il tanto agitarsi, si ha la sensazione che in realtà non si muova foglia.
Questo è il fatto preoccupante. Mi viene in mente Raffaello Lambruschini, il pedagogista del Risorgimento, lui diceva che i ragazzi li avrebbe presi con sé a studiare dai 3 fino ai 18 anni, perché l’origine familiare era deleteria… Quello che ancora oggi non si vuole capire è che la scuola va totalmente ridisegnata per diventare un modello di riferimento educativo in completa autonomia dai mercati. In Francia ci stanno provando, parlano di rifondazione scolastica. Da noi, niente. In Finlandia, altro esempio, le scuole non chiudono mai. Venti anni fa c’era il più alto tasso di suicidio giovanile, adesso quel paese è diventato un modello di riferimento. Questa è la strada da seguire
Il Manifesto 26.11.12