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“Femminicidio: ribelliamoci ora”, di Roberta Agostini

Sono più di cento le donne uccise fino ad oggi nel nostro paese. Dal sud al nord senza distinzione di nessun tipo, reddito, livello di istruzione, etnia, appartenenza religiosa. Un solo elemento unifica queste morti: sono tutte o quasi state uccise da chi conoscevano, il partner, un familiare, un cosiddetto amico.
Uccise perché donne, ma in realtà i dati non li conosciamo veramente perché non abbiamo un sistema informativo che ci consenta di monitorare il fenomeno nei suoi diversi aspetti. L’ultima ricerca approfondita l’ha fatta l’Istat nel 2007. L’anno dopo un gruppo di giornaliste e scrittrici ha pubblicato un libro «Amorosi assassini» analizzando per un anno le pagine dei quotidiani e raccogliendo in ordine cronologico, mese per mese, circa trecento casi di violenza e tracciando una terribile e dolorosa fotografia della vita e della morte di quelle donne.
Ma quante rimangono in silenzio? Le donne pagano con la vita per aver detto un no, quel «no» che fu pronunciato da Franca Viola tanti anni fa, che ha cambiato i rapporti tra uomini e donne nel Paese, ma che ancora non si è affermato, così come le parole autonomia ed eguaglianza.
Intorno a questo 25 novembre ci siamo ritrovate in tante occasioni, associazioni, ong, donne impegnate nella politica e nelle istituzioni per discutere di come rilanciare la battaglia contro la violenza. Un primo obiettivo concreto, importantissimo è stato raggiunto anche grazie al nostro impegno parlamentare e alla raccolta di firme che abbiamo promosso in molte città: il governo il 27 settembre scorso ha firmato la convenzione di Istanbul e dobbiamo fare in modo che la legge di ratifica venga approvata entro la fine di questa legislatura, dotando il nostro Paese di uno strumento essenziale di contrasto alla violenza.
In più occasioni dalla presentazione della convenzione «No more», promossa da numerose ed importanti associazioni, alle iniziative di «Se non ora quando», fino alla presentazione della proposta di legge del Pd al senato ci siamo tutte dichiarate d’accordo sul fatto che la violenza non è un fatto privato e non è neppure un’emergenza, ma un dato strutturale in una società che pone donne ed uomini in una relazione di disparità e di dominio.
Per combatterla servono politiche concrete in un’ottica multidisciplinare ed integrata: serve uno sforzo coordinato tra enti locali e livelli nazionale e sovranazionale. Serve una rete forte e sinergica tra i diversi attori del contrasto: centri antiviolenza, magistratura, forze dell’ordine, presidi sociali e sanitari e serve la loro formazione aggiornata e costante. Servono risorse per le politiche di accoglienza delle vittime (in Italia ci sono 500 posti letto e ne servirebbero 5000) e per le politiche di prevenzione. Serve una cultura nuova e diversa di educazione alla parità e al rispetto, una battaglia della quale dovrebbero essere protagonisti la scuola, gli insegnanti, i ragazzi ed i mass-media, tutti. Di fronte ad un fenomeno tanto complesso, le politiche giudiziarie e di sicurezza possono essere una risposta solo molto parziale.
Serve una reazione civile, una nuova consapevolezza dell’autonomia e della libertà femminile, dalle quali nascono nuove relazioni tra uomini e donne che poggiano sulla reciprocità, sul rispetto e non sul dominio. Un riconoscimento reciproco tra uomini e donne fondato sul senso dei propri limiti.
Domani sceglieremo il futuro candidato alla presidenza del consiglio, ma saremo uniti, uomini e donne, per ribadire il nostro impegno costante contro la violenza.
l’Unità 24.11.12
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“Accendere la luce sulla violenza. Domani le donne si mobilitano”, di Cristiana Cella
Per troppi anni le donne italiane vittime di violenze, intimidazioni e umiliazioni, sono state private della loro libertà e dei loro diritti, nascoste sotto un burka fatto di paura, ignoranza, omertà, vergogna, silenzio. E il silenzio è anch’esso violenza. Per anni, violenze psicologiche e fisiche, fino agli omicidi, sono state rinchiuse nell’ambito ambiguo del privato, nella colpevole tolleranza di una cultura distorta e diffusa, nella palude del sommerso. Non esistono neppure dati certi. Nell’unica ricerca del 2007, dell’Istat, si parla di 6 milioni di donne vittime di stupro, minacce e molestie. Quasi sempre ignorate. Si è giustificata la violenza con la gelosia, la passione, il dolore di essere abbandonati. Le parole sono importanti, hanno conseguenze e l’amore non ha nulla a che fare con la violenza. Le cose, adesso, cominciano finalmente a cambiare, grazie alla tenacia di donne coraggiose, che hanno continuato a denunciare, proteggere e combattere, nelle loro vicende personali, nelle associazioni, nei media e nei Centri Antiviolenza. La parola femminicidio è entrata con forza nel vocabolario, come «specifico reato e crimine contro l’umanità», come scrive Barbara Spinelli.
Nel 2012 l’Italia è scesa dal 74° all’80° posto – dopo il Ghana e il Bangladesh – nella classifica del Gender Gap Report sulla condizione della donna nel mondo, stilata dal World Economic Forum. Nel 2011 e nel 2012 le nazioni Unite e il Comitato Cedaw hanno redarguito il nostro Paese, preoccupati non solo per la diffusione della violenza contro donne e bambine e per l’elevato numero di femminicidi ma anche per « il persistere di tendenze socio-culturali che minimizzano o giustificano la violenza domestica».
Nel testo della Convenzione «No more» (www.nomoreviolenza.it), promossa da diverse associazioni di donne si chiede al Governo di verificare l’efficacia del Piano Nazionale contro la violenza varato nel 2011, perché la protezione della vita e della libertà delle donne diventi subito priorità dell’agenda politica. La prima risposta è stata quella del Presidente Napolitano che ha mandato ieri una lettera di ringraziamento al Cooordinamento delle Associazioni promotrici. Cinquanta parlamentari hanno, intanto, aderito all’interpellanza lanciata da Rosa Callipari del Pd.
La data di domani non sarà più solo una ricorrenza formale e scomoda. Ma una giornata di mobilitazione nazionale per divulgare, riflettere e trovare soluzioni concrete. Urgenti, perché il fenomeno non fa che aumentare. In media ci sono più di 100 femminicidi all’anno, quest’anno, siamo già a 115, una donna su tre subisce violenza fisica o sessuale nel corso della sua vita. Secondo le anticipazioni dei dati 2012 di Telefono Rosa questo tipo di abusi, all’interno dei rapporti amorosi, ha raggiunto l’85% di tutte le violenze, il 3% in più del 2011. Per il 25 novembre, Telefono Rosa ha organizzato al Centrale Teatro Preneste, a Roma, alle ore 10, uno spettacolo (15 22, scritto da Pina Debbi, regia Tiziana Sensi; titolo che prende spunto dal numero nazionale antiviolenza che dal 19 dicembre sarà gestito da Telefono Rosa) per far conoscere e riflettere sul fenomeno. Moltissime le iniziative di associazioni di donne per accendere i riflettori sulla ‘normalità’ di questa inaccettabile tragedia che si consuma ogni giorno.
Far luce e trovare soluzioni sono le parole d’ordine della giornata di domani. Simbolicamente, dalle ore 17 in poi, si illuminerà anche il Colosseo. Far luce anche su quelle forme di violenza meno conosciute, come stalking, intimidazioni e minacce, di cui sono vittime le donne per il loro lavoro.
Il 27 si terrà a Montecitorio, un convegno sulle gravi minacce di cui sono state vittime nel 2012 molte giornaliste. Nasce in questi giorni anche una nuova associazione, «Hands off WomenHow», con l’obiettivo di creare una rete internazionale di associazioni e persone per contrastare la violenza sulle donne. In questi giorni si rinnova anche il sito zeroviolenzadonne.it.
Cambiare è possibile ma richiede il coinvolgimento di tutta la società, soprattutto degli uomini.
L’Unità 24.11.12