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“Legge di stabilità corretta. Ora è più equa ed efficace”, di Pier Paolo Baretta

La ragione di questo repentino cambio di rotta è dipesa, a mio avviso, dalla esigenza del governo di rassicurare le autorità europee ed i mercati del nostro stato di salute. Il ragionamento deve essere stato più o meno questo: se raggiungiamo il pareggio di bilancio e in più diamo un segnale di riduzione della pressione fiscale possiamo evitare di chiedere prestiti europei. Ma, la ragionevolezza di questa impostazione è franata nella scelta di merito. La decisione affrettata di ridurre l’Irpef, che dava un debole vantaggio generalizzato a tutti i contribuenti (ma proprio a tutti, anche a chi non ne ha bisogno) era annullata, soprattutto per i ceti medi e medio bassi, dalla introduzione dei tetti e delle franchigie sulle detrazioni e dalla conferma dell’aumento dell’Iva. Un errore grave dal punto di vista degli effetti redistributivi. Per riparare a questo errore era necessario un intervento chirurgico in profondità sul corpo della legge predisposta dal governo. Per garantirci che questo necessario intervento parlamentare potesse essere avallato dal governo stesso, senza che apparisse una totale smentita, era necessario offrire delle rassicurazioni. La più importante è stata quella di dichiarare da subito che ci saremo mossi all’interno dei saldi di bilancio. L’altra è stata quella di non smentire il governo sulla scelta di riduzione delle tasse. Per quanto improvvisata e sbagliata nel merito, l’intenzione è giusta. Sicché abbiamo contestato la soluzione adottata, non il principio.
Infine, nonostante le differenze di fondo che esistono tra noi del Pd ed il Pdl – che aveva esordito esordito con la richiesta impraticabile di abolizione dell’Imu – avevamo ben presente che una intesa di maggioranza poteva costringere il governo ad accettare cambiamenti profondi.
Una volta «sfondato» su questi tre capisaldi della nostra azione (stabilità dei saldi; riduzione della pressione fiscale; accordo di maggioranza) al governo non è rimasto che accettare il percorso da noi proposto e il progressivo ridisegno dei contenuti, facendo da garante che le coperture finanziarie fossero corrette. Si arriva, così, facilmente a capire la natura dell’intervento redistributivo da noi proposto, Tutti i principali Istituti (Banca d’Italia, Corte dei conti, Istat, per non parlare dei principali economisti ed attori sociali, convergono sul fatto che, in un periodo di recessione, la riduzione delle tasse più utile è quella sul costo del lavoro. Ecco, dunque, esplicitata la nostra proposta: utilizziamo le risorse destinate alla riduzione delle aliquote Irpef per alleviare il peso fiscale sul lavoro, la famiglia e l’impresa. Ma, bisognava tenere presente che se rinunciavamo al beneficio, pur modesto, che derivava dalla riduzione Irpef, non potevamo lasciare, così come le aveva proposte il governo, la franchigia (addirittura retroattiva!), il tetto e l’aumento dell’Iva, pena una… stangata fiscale di proporzioni inedite. Ma, togliere di mezzo tetto e franchigia costa. Eppure, dopo attente analisi, abbiamo convenuto che non c’erano soluzioni intermedie senza fare dei danni sociali. Una soluzione di compromesso, invece, si è resa possibile per l’Iva: evitare l’aumento dell’aliquota più bassa, quella del 10% che comprende i consumi più popolari.
L’esito di queste mosse ha pulito da molte storture la proposta iniziale del governo ed ha liberato un «tesoretto» da destinare alla nuova riduzione delle tasse. Si trattava, a questo punto, di scegliere la soluzione più conveniente. Le statistiche ci dicono la famiglia è il punto di snodo del disagio, il più grande ammortizzatore sociale. L’aumento, già dal 2013, delle detrazioni per i figli, compresi quelli sotto i 3 anni e disabili è un segnale netto a favore di una inversione di tendenza, che vale, a regime, 1300 milioni di euro. Si aggiunga, a completare il quadro, il rifinanziamento del fondo per le politiche sociali (300 milioni) e quello per la non autosufficienza (200 milioni) che era stato azzerato dal governo Berlusconi Tremonti.
Si tratta di una vera e propria manovra sociale, dunque, che ci dice che è possibile, pur nelle ristrettezze dell’attuale congiuntura, dare un significato concreto alla parola equità, tanto proclamata, quanto poco applicata. Ma, si è potuto anche allargare l’orizzonte e, a partire dal 2014, intervenire, per ridurre il costo del lavoro per l’impresa (attribuendovi 1 miliardo) e irrobustire il fondo per la produttività (con ulteriori 800 milioni). La strada della ripresa economica passa per un aumento della produttività generale dei fattori e per il rilancio degli investimenti. Questi due interventi a favore dell’impresa si muovono evidentemente su questa prospettiva.
In definitiva, quella approvata dal Parlamento è una nuova legge di stabilità, ben diversa da quella iniziale, più equa ed efficace; ma che non intacca gli equilibri finanziari. Forse, in questa esperienza, ci spiega il tanto dibattuto tema del rapporto tra «tecnici» e politici. Un governo tecnico è certamente attrezzato per mantenere in equilibrio i conti pubblici, ma solo un governo politico è in condizione di decidere, responsabilmente, dove allocare le risorse, a quali priorità dedicare la propria azione. La legge di stabilità ci dice che una fase politica è terminata ed è una conclusione di una complicata legislatura. Un buon viatico per il lavoro futuro che ci attende a breve.
l’Unità 23.11.12

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