“La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tencia”: il primo comma dell’articolo 9 della nostra Costituzione, saggio e lungimirante come tutti gli altri, ha molto da insegnarci. Lo ha ricordato anche il presidente Napolitano nel suo intervento agli Stati Generali della Cultura mettendo in luce la ancora scarsa consapevolezza di quanto sia straordinario il nostro patrimonio.
Straordinario non solo per la ricchezza delle opere d’arte che non ha eguali al mondo e che caratterizza la natura stessa dell’Italia ma anche per i cervelli che non ci mancano. Nonostante questi aspetti inequivocabili, assistiamo con crescente scoraggiamento all’assenza di una strategia per la promozione e la conservazione del patrimonio culturale, per non parlare della totale carenza di un progetto organico a favore della ricerca scientifica.
Se è vero che chi governa in questo momento deve cercare di fare quadrare il bilancio dello Stato facendo i conti con l’enorme debito pubblico che ci strangola, è altrettanto vero che non si può guidare un Paese fuori dalla crisi puntando esclusivamente sugli aspetti finanziari. Oltre a questo importantissimo e gravoso compito, ci si aspetta l’indicazione di scelte strategiche per il futuro delle persone che vivono e lavorano in questo Paese. A fronte di una politica che oggi è essenzialmente concentrata sui tagli, per lo più lineari e quindi che ricadono su tutti in egual misura, è auspicabile e urgente compiere delle scelte: decidere di investire nella cultura, nella ricerca scientifica, nell’innovazione è senza dubbio la strada giusta, da imboccare con convinzione. La cosa bizzarra è che tutti si dicono d’accordo con queste affermazioni e nessuno sostiene che si debba investire in nuovi cacciabombardieri eppure, nonostante l’unanimità nel condividere questa visione, i finanziamenti per la cultura, per non parlare di quelli destinati alla ricerca, continuano ad essere scarsissimi.
Ogni anno è la stessa storia e anche la legge di stabilità per il 2013 non fa eccezione: il fondo per la ricerca in ambito sanitario è infatti stato ridotto di circa 30 milioni di euro per l’anno prossimo con la previsione di ulteriori tagli nel 2014 e successivamente una riduzione di 26,5 milioni di euro in meno dal 2015 in poi.
Con una crisi economica che non accenna a migliorare, non c’era da aspettarsi misure eccezionali del tenore dello «stimulus plan» voluto da Barack Obama (che ha stanziato centinaia di miliardi di dollari da destinare a progetti innovativi in ambito energetico, infrastrutture, educazione), ma la decisione italiana di tagliare ancora una volta i già ridottissimi fondi a disposizione è la dimostrazione inequivocabile di un totale disinteresse verso la ricerca.
Se a tutto questo si aggiunge l’assenza di criteri meritocratici davvero cadono le braccia. Basterebbe infatti emanare il decreto attuativo dell’articolo 20 della riforma Gelmini, che scrissi e venne votato da tutta l’Aula del Senato due anni fa, per introdurre merito e trasparenza nel processo per l’assegnazione dei fondi del Miur. Ma in assenza di quella norma applicativa i bei principi che sono fissati nella legge, anche grazie al contributo del Pd, restano lettera morta. Il mondo della ricerca attende delle risposte. E va riconosciuto che Pier Luigi Bersani, con la decisione di aprire la sua campagna elettorale per le primarie al Cern di Ginevra ha voluto inviare un messaggio chiaro: la ricerca è il settore principale su cui investire. Abbiamo bisogno davvero di crederci e di abbandonare quella resistenza culturale nei confronti della scienza che ha caratterizzato le scelte politiche degli ultimi decenni per iniziare finalmente a premiare il merito, a incentivare i nostri cervelli migliori e a investire in progetti di innovazione che contribuiscano a fare crescere il Paese.
L’Unità 22.11.12
Pubblicato il 22 Novembre 2012
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