Lo strano sequestro del ragionier Giuseppe Spinelli sembra il titolo di un romanzo di Gadda. E invece è solo un altro capitolo della trama infinita e oscura del berlusconismo, dove niente è mai ciò che sembra. Dove tutto appare incerto tra la verità e la manipolazione. Dove lo Stato di diritto è sospeso e vige l’Azione parallela di un ex premier miliardario che paga carissimi i suoi vizi, ricattato e circondato da un manipolo di famigli fedeli e trafficanti di dossier, avvocati senza scrupoli e poliziotti privati, professionisti dell’estorsione e procacciatori di escort. La buia vicenda di «Spinaus» (uno dei suoi servitori più discreti e preziosi che da anni gestisce a libro paga 42 «Olgettine» con un fisso mensile di 2.500 euro ciascuna più extra da 8.900, 10 mila o anche 20 mila euro) riassume l’intera parabola della macchina del potere di Silvio Berlusconi. Una macchina costruita per viaggiare sempre border-line. Tra il lecito e l’illecito. Tra la funzione politica e l’interesse personale.
IN QUESTO anomalo rapimento, gli “esteti” cantori del Cavaliere vedono solo luci, buone soprattutto a depistare l’attenzione: «Strepitoso, sublime, fantastico », si sdilinquisce Giuliano Ferrara, trovando «meraviglioso» che i rapitori abbiano recitato il rosario sul divano insieme ai coniugi rapiti, o che il solerte ragionier Giuseppe abbia riconsegnato il passamontagna ad uno dei suoi aguzzini che, andandosene, lo stava quasi per dimenticare. I legulei azzeccagarbugli del Cavaliere, per contro, non vedono ombre: le «ricostruzioni dei giornali oscillano tra il risibile e l’assurdo», mentre i fatti «sono del tutto chiari e lineari », dice Niccolò Ghedini.
Non è così. Il Dottor Stranamore dell’ex premier, insieme al suo ragioniere, giurano che «nessuna somma è stata pagata, e nessuna trattativa è stata fatta». Questo lo accerteranno i pm. Ma intanto niente è ancora chiaro, in questa storia che parla di un riscatto ma che può far pensare piuttosto ad un ricatto. E se persino i quotidiani di famiglia come Il Giornale e Il Foglio si spingono a parlare di «dettagli incongruenti», di «tasselli mancanti», vuol dire che i conti non tornano. C’è qualche verità nascosta, che i magistrati dovranno provare a far emergere. C’è un elenco di stranezze e di contraddizioni — nell’incrocio tra i fatti, i verbali e le interviste del giorno dopo — che merita di essere ricostruito. Ma che lascia intravedere, sullo sfondo, la collaudata ragnatela del Cavaliere, che oggi come negli ultimi vent’anni abusa del suo potere pubblico per difendere e nascondere il suo universo privato. Imbarca lenoni e mascalzoni sulla sua macchina del fango per passare le serate e schiacciare gli avversari, e finisce per esporsi al ricatto sistematico di veline e manutengoli.
IL VERO BOTTINO OFFERTO DALLA BANDA
Lo snodo cruciale dell’intera trama non è nei dettagli fuorvianti o da romanzaccio d’appendice della notte del sequestro, il 15 di ottobre. Certo, tra una minaccia e un rosario, intorno alle due, i banditi spacciano la loro «merce». Il terzo uomo fa vedere al ragioniere il «foglio A4 un po’ ingiallito», con su scritto « “Lodo Mondadori”, De Benedetti, l’indicazione dei due avvocati», e racconta della cena in cui «Fini avrebbe parlato ai magistrati pregandolo di aiutarlo a mettere in difficoltà Berlusconi, e che per questo gli sarebbe stato grato per tutta la vita».
Più tardi, in una prima telefonata delle 7 e 30 del mattino del 16 ottobre che Spinelli fa al Cavaliere sotto la «pressione» dei suoi sequestratori, ma senza fare alcun cenno al sequestro in atto, il ragioniere afferma: «Gli ho detto che mi era stato fatto vedere un pezzo di un filmato che io garantivo come autentico, dove si dava atto di un incontro tra Fini e i magistrati della causa civile sul Lodo Mondadori ». La banda offre il video, più una pen drive, e come noto chiede in cambio i famosi 35 milioni di euro. E qui, sia nel racconto di Spinelli,
sia nel comunicato di Ghedini, si aprono le prime crepe del racconto. Il ragioniere dice: «Quando l’ho raccontato a Ghedini e a Berlusconi, tutti e due si sono messi a ridere… ». La cena con i magistrati, con annessa richiesta d’aiuto, «non era nello stile di Fini».
Anche Ghedini, che avvisato dal Cavaliere chiama subito Spinelli a casa poco dopo le 8 e 30, a sua volta senza sapere nulla del sequestro in atto, ritiene poco credibile l’offerta. Nel comunicato di ieri, sostiene di aver «valutato il contenuto della presunta documentazione », e di aver ritenuto «del tutto inverosimile il ruolo attribuito al presidente Fini». Dunque, sia Berlusconi che Ghedini, in quel momento ignari del sequestro in casa Spinelli, sembrano convinti che al ragioniere sia stata offerta una bufala. Ma ecco la contraddizione: nonostante questo, scatta un’allerta, che ricorda un’altra notte tempestosa, quella del 27 maggio 2010, quando la macchina da guerra berlusconiana si adoperò per fare uscire Ruby dalla questura di Milano. Berlusconi dice al telefono a Spinelli «che a questo punto non sarebbe partito per Roma e mi avrebbe aspettato ad Arcore con il filmato». E Ghedini (lo scrive nel comunicato) chiede a Spinelli che è «necessario vedersi di persona».
Perché questa urgenza improvvisa, per un video e una pen drive su un fatto che poco prima li aveva «fatti ridere »? Perché il Cavaliere si rintana ad Arcore in attesa e rinuncia al pranzo romano con il premier Monti e al viaggio a
Bucarest per il vertice del Ppe? E perché Ghedini ha tanta fretta di incontrare faccia a faccia il ragioniere, per «carte» che (come dichiara nell’intervista rilasciata ieri a Liana Milella) né lui né il Cavaliere hanno «mai sospettato che potessero essere vere»? È un’incongruenza oggettiva, che nessuno sa spiegare. Ma che lascia pensare a qualcos’altro. Forse che il «bottino» mostrato a Spinelli e offerto da Leone e dai suoi scagnozzi era di tutt’altra natura ed entità, rispetto a un improbabile foglio di carta A4 sul Lodo Mondadori e a un «non credibile» video su Fini? E se sì, di cosa si è trattato? C’è forse qualche legame, tra lo strano rapimento del ragioniere di oggi, la banda dei baresi che l’ha orchestrato e gli ambienti pugliesi nei quali venivano reclutate da Gianpi Tarantini le ragazze per le «serate eleganti» del bunga bunga a Villa Certosa e a Palazzo Grazioli, tra il 2008 e il 2009?
IL BUCO NERO DELLE 31 ORE
Ma il vero rebus di questo giallo del ragioniere è racchiuso nello spazio successivo alla notte del sequestro, che va dalle 9 del mattino del 16 ottobre (quando Spinelli e la moglie vengono «liberati» dalla banda) e le 16,20 del 17 ottobre (quando un fax di Ghedini informa e denuncia alla Procura di Milano l’avvenuto sequestro). In queste 31 ore c’è il vero «buco nero» della storia, che né il ragioniere a verbale, né l’avvocato nel comunicato di ieri riescono a spiegare. Ma quello che succede in questo arco temporale da pieno conto dell’allarme rosso che dev’essere scattato nell’entourage berlusconiano. Siamo alla mattina di martedì 16 ottobre. Dopo le due telefonate delle 8 e 30, con Berlusconi e con Ghedini, intorno alle 9 Spinelli richiama quest’ultimo, e gli da appuntamento ad Arcore. Al telefono non lo dice, ma nel frattempo è stato liberato. I sequestratori, curiosamente, se ne sono andati. Quasi all’improvviso, senza aver ottenuto nulla.
E qui comincia un vortice di comportamenti incomprensibili e di spiegazioni insensate. Spinelli e Ghedini si incontrano ad Arcore «alle 12». Ma il ragioniere, scrive il Dottor Stranamore dell’ex premier nel suo comunicato, «non fece cenno al sequestro avvenuto, limitandosi a dire che le persone con cui aveva parlato erano state molto insistenti». Del sequestro, precisa ancora Ghedini, Spinelli parlerà finalmente a Berlusconi «soltanto nella tarda mattinata di mercoledì 17 ottobre, cioè il giorno dopo». E qui accade l’impensabile, come sintetizza lo stesso ragioniere nel verbale in mano ai pm: «Dopo che ho raccontato i fatti al presidente Berlusconi, lui mi ha detto che dovevo necessariamente per ragioni di sicurezza dormire altrove, cosa che si è verificata… Hanno mandato una macchina che ci facesse da scorta per il trasferimento da casa mia alla località segreta».
Questo è il lato più opaco del prisma berlusconiano. Perché Ghedini ha detto solo ieri che Spinelli non ha raccontato subito del sequestro? È credibile che il cassiere abbia taciuto per 24 ore del rapimento? E infine, se così fosse, come mai Berlusconi gli avrebbe consigliato di passare la notte in un luogo protetto? Può essere solo quello che Ghedini chiama «il timore provocato dai sequestratori», a giustificare questo silenzio? Ma soprattutto: cosa è successo nella «località segreta» in cui è stato trasferito, e che ora l’avvocato del Cavaliere traduce con una generosa «ospitalità in una sua abitazione »? Chi altro c’era o c’è stato in quell’abitazione? Che ne è stato del video e della pen drive?
Chi li ha visionati o decrittati? E che altri «documenti» aveva con sé il ragioniere, dopo lo strambo «rilascio» ad opera dei baresi?
I SOLITI SOSPETTI E LA MACCHINA DEI RICATTI
Le domande inevase sono tante. E tuttora non ci sono risposte plausibili. Ma la semplice ricostruzione dei fatti autorizza i soliti sospetti. A tirare tutti i fili, e a indagare tutti i dubbi, quello che emerge è un «metodo di governo» della cosa pubblica e della vita privata, al quale il Cavaliere ci ha e si è abituato in questi turbinosi diciassette anni. Lo «strano sequestro del ragionier Spinelli» ricorda precedenti altrettanto inquietanti, che hanno sempre visto l’Unto del Signore braccato dalla muta di cani dei quali lui stesso si è sempre circondato, e ogni volta costretto a inseguire e a comprare, a qualunque costo e a qualunque prezzo, le «prove» della sua debolezza eticopolitica di uomo, di imprenditore, di presidente del Consiglio.
Dalla rognosa vicenda Dell’Utri- Mangano alla penosa liaison con Valter Lavitola. Dallo scandalo della telefonata di Fassino sull’affare Unipol-Bnl (comprata e pubblicata sul giornale di famiglia) ai video di Marrazzo (non consegnati alla procura ma usati come arma impropria contro l’allora governatore del Lazio). È stata una costante di questa stagione, oscena e limacciosa. Che ha visto un uomo solo al comando, collettore di tangenti e di ricatti. Carnefice, e alla fine vittima del suo stesso micidiale «dispositivo» di potere.
La Repubblica 21.11.12
Pubblicato il 21 Novembre 2012