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“Renzi e l’università: come prima peggio di prima”, Francesco Sylos Labini

La riforma Gelmini si è poggiata su una rappresentazione caricaturale dell’università italiana. La strada è stata spianata da una folta schiera di economisti: Roberto Perotti ci ha avvertito che “al di là della retorica, e con le solite dovute eccezioni che è sempre possibile citare, l’università italiana non ha un ruolo significativo nel panorama della ricerca mondiale”, Michele Boldrin ci ha informato del “mediamente basso livello didattico e scientifico dell’università italiana”, Luigi Zingales ci ha ricordato che “nella classifica internazionale creata dall’università di Shanghai, … nel 2008 la prima italiana (Milano) si trova soltanto al 138esimo posto” ed ancora (ma non infine)Alberto Bisin e Alessandro de Nicola hanno risottolineato che “L’università continua a produrre anche se con alcuni distinguo, poca ricerca (Roberto Perotti docet)”.
L’incipit delle idee di Matteo Renzi sull’università ricalca queste visioni:“L’Italia, che in molti settori dell’industria e del commercio è ai vertici mondiali, non è ugualmente rappresentata ai vertici delle classifiche delle istituzioni universitarie e di ricerca.”
Vero o falso? Nel periodo 1996-2010, l’Italia è ottava al mondo come numero di pubblicazioni scientifiche e settima come numero di citazioni ricevute.Inoltre “il buon livello degli atenei italiani in termini di citazioni è confermato anche dalla comparazione internazionale dei loro “impatti normalizzati” effettuata da SCImago … tutti gli atenei italiani tranne uno mostrano un impatto normalizzato superiore alla media mondiale”. E infatti, come ha messo in evidenza Marino Regini nel suo libro “Malata e denigrata: l’università italiana a confronto con l’Europa”, le classifiche degli atenei mostrano che vi sia un buon livello medio con una buona reputazione scientifica. I punti deboli, guarda caso, sono dovuti alle poche risorse: un basso rapporto docenti/studenti ed una scarsa internazionalizzazione di docenti/studenti. D’altra parte i dati Ocse, ci dicono che nell’alta tecnologia, sono innanzituttole imprese a spendere troppo poco in ricerca e sviluppo e a impiegare un numero insufficiente di ricercatori.
Da una visione disinformata dell’università non possono che discendere ricette sbagliate e viziate da quella stessa ideologia che deforma la realtà. La ricetta di Renzi usa la stessa retorica del merito di gelminiana memoria; una formuletta semplice e buona per tutte le stagioni: competizione, merito ed eccellenza. Bisogna, infatti, “mettere a punto un sistema di valutazione delle università e sostenere quelle che producono le ricerche migliori. Anche in questo campo si devono introdurre meccanismi competitivi. … È un risultato che si può ottenere usando indicatori quantitativi sulla qualità della ricerca prodotta sul modello dell’Anvur e il parere di esperti internazionali autorevoli e fuori dai giochi. L’obiettivo è avere una comunità scientifica meno provinciale, che esporta idee e attrae talenti”.
Chiunque abbia minimamente seguito cosa sta combinando l’agenzia nazionale di valutazione dell’università e della ricerca (Anvur) non può che sorridere di fronte agli indicatori quantitativi sulla qualità della ricerca che sono disgraziatamente stati introdotti. Proprio qualche giorno fa il più importante settimanale internazionale d’informazione universitaria, il Times Higher Education, ha pubblicato una lunga analisi che sbeffeggia l’Anvur: prendendo spunto dalla vicenda delle “riviste pazze” (le riviste che l’Anvur ha catalogato come scientifiche, anche se non rispettavano i requisiti di scientificità), l’articolo ripercorre a fondo le discutibili scelte strategiche che hanno condotto, con la ricerca senza speranza di criteri indiscutibili, ad un vero disastro. Sarà inoltre interessante sapere quanti straniere si sono cimentati nel presentare, immancabilmente in italiano, la domanda perl’abilitazione scientifica nazionale…
Il pezzo forte del programma di Renzi riguarda però le tasse universitarie e i prestiti d’onore. Ricordiamoci che l’Italia: (1) ha solo il 21% di laureati nella fascia 25-34 anni, occupando il 34-esimo posto su 37 nazioni, (2) è solo 31-esima su 36 nazioni per quanto riguarda la spesa per educazione terziaria rapportata al PIL, (3) durante la crisi, mentre in 24 nazioni su 31 la spesa in formazione cresceva, solo l’Estonia ha ridotto le spese più dell’Italia; (4) la spesa cumulativa per studente è inferiore alla media OCSE e ci vede sedicesimi su 25 nazioni considerate; (5) che le tasse universitarie sono tra le più alte in Europa: l’Italia è quarta dopo Regno Unito, Paesi Bassi e Portogallo e (6) il diritto allo studio si sta riducendo ad una presa in giro in un paese in cui il 20-30% degli aventi diritto non ottiene la borsa di studio. Inoltre secondo la Commissione Europea nel piano strategico denominato Europa 2020 i paesi UE sono chiamati a ridurre il tasso di abbandono scolastico a meno del 10% nella popolazione di età compresa tra i 18 e i 24 anni e a conseguire una percentuale di laureati pari almeno al 40% nella fascia di età tra i 30-34 anni. Vista la situazione italiana sarebbe dunque necessario agevolare il diritto allo studio così che si raddoppi in meno di dieci anni il numero di laureati.
Come si fa? Renzi lo spiega così: “Agli atenei che vi sono interessati deve essere consentito di aumentare le tasse universitarie in funzione di progetti di eccellenza didattica, trovando al tempo stesso compensazioni per le famiglie con redditi medi o bassi. Agli studenti devono essere offerti prestiti per coprire integralmente i costi, prevedendo che la restituzione rateizzata – parziale o integrale – inizi solo quando essi avranno raggiunto un determinato livello di reddito… Consentire a tutti gli studenti universitari di finanziarsi gli studi e le tasse.”
Dunque, aumentare le tasse universitarie e concedere, per pagarsi gli studi, prestiti con “l’obbligo per le Università di stabilire accordi con almeno tre banche (di cui almeno una locale e almeno una nazionale) per i finanziamenti agli studi universitari, garantiti da un fondo pubblico di garanzia”: un’ideona che diventerà un incentivo memorabile non c’è che dire.
D’altronde sono vari anni che un folto gruppo di economisti, più meno gli stessi che sono piuttosto critici della ricerca italiana come ricordato sopra, agitando slogan del tipo “dare ai poveri un’università gratis ma di pessima qualità è una truffa”, continua ad insistere sulla necessità di liberalizzare le tasse universitarie. L’anno scorso è stata presentata una’interrogazione ai ministri dell’Economia e dell’Istruzione (primo firmatario Pietro Ichino) che proponeva di sperimentare in Italia il modello Browne, contestato in Inghilterra all’unisono tanto dalla comunità accademica quanto dagli studenti, che alzava a 9.000 sterline (10.000 euro) la retta universitaria annua per studente, proponendo agli studenti meno abbienti di pagarne i costi avvalendosi di mutui bancari con interessi al 2,2/3%.
Questa proposta non consiste affatto nel far pagare l’università di più ai ricchi e di farla pagare di meno ai poveri. Quello che succederebbe è di escludere non solo i ceti meno abbienti, ma anche quelli medi, dall’istruzione universitaria, bloccando così uno dei maggiori veicoli di mobilità sociale, introducendo inaccettabili disparità territoriali e condizionando anche la scelta del corso di studi. Se l’istruzione è un investimento all’accorto studente-investitore converrà optare per gli studi potenzialmente più remunerativi.
Insomma Renzi proponendo la continuità dell’Anvur continua sulla stessa vacua direttrice competizione-eccellenza della Gelmini senza curarsi della valanga di polemiche generate dall’Anvur e che sono state ben sintetizzate dal giudice della Corte Costituzionale Sebino Cassese: “l’Anvur ha ucciso la valutazione con la sua disattenzione dei limiti della valutazione e del contesto nel quale essa andava ad inserirla. Non sono stato completo nel dir ciò. Bisogna anche aggiungere che l’Anvur ha ucciso se stessa, consegnando il compito di dire l’ultima parola sulla valutazione ai giudici amministrativi.”
Dall’altra parte fa un passo in più, spinto dai suoi spin doctors per cui ora e sempre “lo Stato è parassita il mercato crea ricchezza”: senza considerare il fatto che negli USA i prestiti per conseguire l’istruzione superiore stanno diventando la principale voce dell’indebitamento privato, che in Inghilterra vi è stato un crollo delle iscrizioni all’università dopo la riforma Browne, propone di aumentare le tasse universitarie introducendo un sistematico indebitamento degli studenti, a cui dovranno far ricorso soprattutto gli studenti delle classi meno abbienti: ma tanto la crisi economica è colpa dello Stato spendaccione e corrotto e non di una finanza incontrollata. Più che il nuovo che rottama il programma di Renzi sull’università è la saga delle idee obsolete da rottamare.
da Micromega
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