Alla vigilia del primo turno delle primarie del centrosinistra per la scelta del candidato premier del centro sinistra alle prossime elezioni politiche, abbiamo intervistato il segretario del Pd Pier Luigi Bersani. Abbiamo parlato di tagli alla sanità, di federalismo, di industria del farmaco e di farmacie, sui cui Bersani intervenne fortemente già nel 2006, quando da ministro dello Sviluppo Economico diede il via alle prime liberalizzazioni e alla nascita delle parafarmacie in Italia. Un processo che ha subìto un’ulteriore spinta anche da parte del Governo Monti. Ma per Bersani non è ancora abbastanza.
Ma se per le farmacie e la distribuzione del farmaco Bersani pensa a nuovi interventi di liberalizzazione, quando si parla di Servizio sanitario nazionale la sua posizione resta salda nella difesa dell’assetto nato con la legge 833 del 1978. “Teniamoci stretta la sanità pubblica”, afferma dicendo “stop” ai tagli drastici di questi anni perché “siamo arrivati a una soglia oltre la quale non è possibile andare”. Ma dicendosi convinto che ci sia ancora molto lavoro da fare sul versante della riorganizzazione, della lotta agli sprechi e alle inefficienze. Riducendo così anche il gap tra Regione e Regione.
Segretario, la sanità pubblica italiana è considerata tuttora tra le migliori del mondo ed è anche quella che costa meno tra i Paesi europei con noi confrontabili. Eppure, prima con il governo Berlusconi ed oggi con Monti, continua ad essere oggetto di manovre economiche che hanno ridotto di 31 miliardi (dati Corte dei Conti) il finanziamento da qui al 2015. Una tendenza che il Pd ha intenzione di invertire modificando l’attuale ddl stabilità e, in ogni caso, qualora andasse al Governo nel 2013?
La situazione è difficile, inutile negarlo. Ma con i tagli drastici di questi anni siamo arrivati a una soglia oltre la quale non è possibile andare. Il rischio concreto è di ridurre al collasso l’intero sistema che già oggi si regge grazie all’impegno e alla dedizione di tanti medici, infermieri e tecnici che troppo spesso lavorano in condizioni di grave disagio, tra mille difficoltà. C’è molto lavoro da fare sul versante della riorganizzazione, della lotta agli sprechi e alle inefficienze. C’è da riequilibrare il rapporto tra ospedali e medici sul territorio, ci sono reparti ridondanti all’interno delle stesse strutture ospedaliere e c’è un ricorso alla diagnostica eccessivo che va rimodulato, ma a fronte di tutto questo il fondo del Servizio Sanitario Nazionale non va più toccato, non si può procedere ancora sulla strada dei tagli, la via è quella di una seria riorganizzazione.
Tra i tagli in arrivo figurano 2 miliardi di euro di nuovi ticket sanitari che dal 1° gennaio 2014 andrebbero ad aggiungersi a quelli già esistenti. Pensa di poter prendere un impegno con gli italiani per cancellare questa norma, sempre nel caso di vittoria alle politiche dell’anno prossimo?
Siamo contrari all’introduzione di nuovi ticket e siamo impegnati in Parlamento per cancellare una stangata che è bene ricordarlo, è stata voluta dal governo Berlusconi. Il ministro Balduzzi in questi giorni assicura che farà il possibile per evitare la norma. I ticket vanno nella direzione opposta all’equità, gravano su tutti ma in realtà pesano maggiormente sui bilanci delle famiglie che soffrono di più per la crisi. Anche per questo io credo che un eventuale ricorso al ticket, se non potrà essere evitato, dovrà essere per lo meno graduale e adattato in rapporto al reddito familiare.
In molti think tank liberali, ma anche in alcuni circoli vicini al centro sinistra, si fa comunque strada l’idea che “la sanità per tutti è un lusso che non possiamo più permetterci”. E si pensa a sistemi sanitari più orientati al privato per alleggerire il carico della spesa pubblica. Lei come la pensa?
Nella mia visione la sanità pubblica non è un lusso, è un bene prezioso, essenziale per un Paese che si dice davvero democratico. Inoltre non mi pare che dove i servizi sanitari sono gestiti dai privati, come negli Stati Uniti, la spesa sia inferiore, è vero piuttosto il contrario. I costi della sanità sono in aumento in tutto il mondo occidentale, non dipende dall’Italia ma dalla popolazione che invecchia, dalla tecnologia che aumenta e che fa crescere la domanda. Allora io dico, teniamoci stretta la sanità pubblica e introduciamo un sistema di valutazione serio. Poi, per aggredire i nodi che incidono sulla spesa lavoriamo sull’appropriatezza, rafforziamo il ruolo e le competenze dei medici di famiglia, interveniamo sul dannoso fenomeno della medicina difensiva che gonfia sensibilmente la spesa. Ma per assicurare la sostenibilità del sistema sul lungo periodo il percorso è obbligato e passa per la prevenzione e per la massima attenzione a stili di vita sani che riducano il rischio di malattie croniche come il diabete, i disturbi cardiovascolari, il sovrappeso.
L’esperienza del federalismo scaturita dalla riforma del Titolo V del 2001, e che vede la sanità tra i settori chiave passati sotto la responsabilità delle autonomie, sembra segnare il passo. Ha perso il suo appeal degli anni d’oro, tra scandali e spese fuori controllo. E soprattutto non si è riusciti a superare il divario Nord Sud che, al contrario, è aumentato. Pensa che vada ripensato il modello di federalismo all’italiana? E se sì, come?
La revisione del Titolo V è un tema reale, segnalato da tempo anche dalle Regioni. Il federalismo ha portato progresso e autonomia nella sanità ma anche una grande disomogeneità tra i vari territori. Un divario così marcato mette in discussione il diritto alla salute e il principio costituzionale di uguaglianza dei cittadini rispetto alle cure ma implica anche una grande difficoltà per fornire indirizzi coerenti a livello nazionale. E’ urgente introdurre un sistema di verifica e di valutazione che contribuisca a ridurre le differenze. Il caso di alcune regioni sottoposte a piano di rientro è esemplare: da un lato si riduce la spesa sanitaria, che in alcune situazioni è davvero fuori controllo, dall’altro si tagliano i servizi e così ora i cittadini per curarsi prendono l’aereo o il treno e vanno al nord. Così non ha senso e non si può andare avanti…
La sanità incide sul Pil per il 7,1% ma restituisce al Paese, in termini di ricchezza, oltre il 12% del Pil. Quindi produce di più di quanto costa. Eppure fino ad oggi, pur essendo maturata la convinzione che il comparto sanitario possa essere realmente un volano di sviluppo, mancano interventi concreti in tal senso. Ad esempio nessuno ha pensato di inserire l’ammodernamento strutturale e tecnologico dei servizi sanitari tra il piano delle grandi opere infrastrutturali. In altre parole ospedali e ambulatori più moderni e magari qualche strada in meno. Lei sarebbe d’accordo a farlo?
Continuo a ripetere in ogni occasione che bisogna far ripartire i cantieri se si vuole dare un po’ di respiro alle aziende, un po’ di lavoro alle persone e se si vuole mettere in sesto il Paese che si sta sgretolando sotto i nostri occhi. Figuriamoci se non sono d’accordo sugli interventi sugli ospedali, tanto più che la Protezione Civile dice che centinaia strutture sono a rischio sismico e necessitano di interventi per la messa in sicurezza. Il settore sanitario, che comprende anche la farmaceutica, va inserito a pieno titolo nel sistema industriale italiano. Esistono delle resistenze e dei condizionamenti che puntano a mantenere lo status quo rispetto ad intensificare gli sforzi per l’innovazione ma certamente, se ne avrò la possibilità, considererò il piano di rinnovamento tecnologico e strutturale degli ospedali una priorità.
Se vincerà le elezioni ci dobbiamo aspettare altre liberalizzazioni per le farmacie o bastano le norme fin qui attuate?
L’attuale Governo aveva annunciato un piano di riforma delle farmacie poi, di fronte alle molte resistenze, ha fatto rapidamente marcia indietro. In ogni caso, le norme per i farmaci non possono prescindere da un ragionamento complessivo che comprenda anche la produzione e la distribuzione. Ma è evidente che un processo di maggiore liberalizzazione è auspicabile. La vera sfida, con le difficoltà connesse, è quella di conciliare l’esigenza di contenere la spesa farmaceutica mantenendo i servizi che la filiera del farmaco assicura e il diritto dei cittadini ad accedere ai farmaci, anche quelli innovativi, per esercitare pienamente il diritto alla salute.
da Quotidiano della sanità 20.11.12
Pubblicato il 20 Novembre 2012