«Intorno a noi, vuoto politico. Ci voleva tanto a capire che la tecnica non basta a governare un Paese? Il governo tecnico poteva essere una medicina, ma la parola avrebbe dovuto riprendersela al più presto la politica. Ci voleva tanto a immaginare il logoramento che si sarebbe determinato: astensionismo, violenza, rifugio in forme di protesta elementari, prepolitiche? Siamo ancora in tempo per riprendere in mano politicamente la situazione, o non siamo più in tempo? Questa è la domanda». C’è preoccupazione nella riflessione di Gustavo Zagrebelsky. Nel “Manifesto di Libertà e Giustizia”, da lui appena elaborato, viene indicata una possibilità, singolarmente consonante con quanto scrive Salvatore Settis nel suo ultimo libro che porta il sottotitolo “ritornare alla politica, riprendersi la Costituzione”.
Come affrontare l’emergenza, professore, ora che le piazze italiane somigliano a quelle di Atene e Madrid?
«Innanzitutto, invito a distinguere. Come sempre nei momenti di crisi, una parte della società sta a guardare, cercando di difendere posizioni e privilegi, per poi, eventualmente, schierarsi col vincitore. All’opposto, par di vedere atteggiamenti — alimentati da parte della stampa — schiettamente nichilistici: distruggiamo tutto, poi si vedrà. Infine ci sono coloro che comprendono e vivono le difficoltà del momento e non aspettano altro che potersi identificare in qualcosa di nuovo, per muovere in una direzione costruttiva. Tra questi, ci sono, oggi, molti passivi, solo perché non si mostra loro come e perché possano rendersi attivi».
Per la verità il Movimento 5 Stelle Grillo sembra, eccome, svolgere una funzione mobilitante.
«Sì. Ma bisogna onestamente dire che non sappiamo come e verso che cosa questa mobilitazione s’incanalerà. Non sappiamo se c’è un rapporto causa-effetto nella circostanza che, in Italia, dove esiste il M5S, non abbiamo avuto (finora?) l’esplosione di movimenti d’ultra destra, razzisti, nazionalisti. Se il rapporto c’è, dovremmo essere grati. Ma non conosciamo quale sarà l’esito: potrà costruire
qualcosa o sarà votato alla distruzione? Su questo punto, sarebbe bene che i suoi sostenitori si ponessero domande fondamentali».
Si riferisce all’assenza di programma?
«No. Il programma c’è e non si può dire che sia più vuoto di quello di tanti partiti. Ma io penso ad altro, alla concezione della democrazia ».
Che vuol dire?
«La democrazia del M5S vuole essere, attraverso l’uso della rete, una forma di democrazia diretta. Ma si dovrebbe sapere che la democrazia diretta come regola è solo la via per il plebiscito. L’idea della sovranità del singolo, il quale versa la sua voce nel calderone informatico, è un’ingenuità, un inganno. Su questo punto, il movimento di Grillo dovrebbe essere incalzato. Invece di scagliare vuote parole come “antipolitico”, si dovrebbe spiegare che cosa è una forza politica basata sulla rete: democrazia diretta, sì; ma diretta da chi? La rete informatica può facilmente essere una rete nelle mani di uno o di pochissimi. Il leaderismo del periodo di Berlusconi si nutriva almeno di pulsioni populiste. Qui, il controllo dall’alto, a onta dei bagni di folla puramente spettacolari, si prospetta come un algido collegamento – nemmeno definibile rapporto – telematico».
Vuol dire che diventerebbe una democrazia eterodiretta?
«La logica parlamentare consiste nel dialogo e nel compromesso. Quando una spina di — si dice — centocinquanta deputati diretti dal web sarà piantata in Parlamento, che ne sarà di questa logica? La nostra democrazia rappresentativa già fatica, anche a causa dei tanti “vincoli di mandato” che legano i deputati
a lobbies e corporazioni. Che cosa succederà in presenza d’un gruppo consistente che, per statuto, deve operare irrigidito dalla posizione che è in rete: o sarà ridotto all’impotenza, o ridurrà all’impotenza l’istituzione parlamentare».
Quale alternativa offrite col “Manifesto di Libertà e Giustizia”?
«Può sembrare un ritorno all’antico. È la Costituzione. Non è una parola vuota, ma svuotata. Sono decenni che la si vuole cambiare
e, con ciò, s’è dato da intendere che è superata. Invece non è affatto superata. La Costituzione non contiene la soluzione dei nostri problemi, ma la direzione da seguire per affrontarli. E questa traccia è contenuta nel più elevato, nel più pensato, nel più denso di consapevolezza storica tra i documenti politici che il popolo italiano abbia prodotto».
Può fare qualche esempio?
«Basta scorrerne gli articoli, a partire dall’articolo 1, dove si parla del lavoro — non della rendita, non della speculazione, nemmeno della proprietà (che pure è riconosciuta e tutelata) — come fondamento della Repubblica. Non mi faccia fare un elenco. Ma voglio solo ricordare l’importanza che la Costituzione attribuisce alla cultura (non alla “tre i”) e alla scuola (pubblica), come premesse, o promesse, di cittadinanza».
Nel confronto tv per le primarie, nessun candidato del centrosinistra ha inserito nel suo Pantheon personaggi della fase costituente.
Che dire?
«Sciocca la domanda (non la sua, ma quella del conduttore), e sciocchissime le risposte. Invece di qualcuno che abbia a che fare con la loro formazione politica, con la propria identità, hanno evocato dal nulla nomi di degnissime persone, Papa Giovanni, Mandela, Martini… Io, avrei potuto, allo stesso titolo, dire Giovanna d’Arco. Si è speculato sull’alta dignità di uomini assenti che avrebbero potuto dirti: ma come ti permetti d’utilizzarmi per farti bello, anzi per farmi fare da specchietto per allodole? Vuote e piuttosto ridicole parole».
Nel vostro Manifesto, c’è, appunto, un atto d’accusa contro le «parole vuote» della politica.
«Sì. Il Pantheon suddetto appartiene alle parole vuote. Ma poi riforme, innovazione, giovani, condivisione, merito, e tante altre. Qualcuno è contro i giovani? Qualcuno e per il de-merito? Bisognerebbe, per non inzupparci di parole inutili, seguire questo criterio: ciò che è ovvio, non deve essere detto».
Vi obietteranno che rischia di esserlo anche la fase costituente.
«No, No! Non “fase costituente”, ma “fase costituzionale”!».
Ci spieghi.
«Vuol dire riportare la Costituzione al centro. Vorremmo un partito che dicesse: il mio programma è la Costituzione, il ripristino della Costituzione, nella vita politica, nella coscienza degli italiani: uguaglianza, libertà, diritti civili senza veti confessionali o ideologici, partiti organizzati democraticamente. Qualcuno dei nostri politici sa quale entusiasmo si suscita quando si parla di queste cose con la passione che meritano? E quale senso di ripulsa, invece, quando si parla dei partiti? ».
In questi tempi, in effetti, pare che tutto ciò che i partiti toccano si trasformi in rifiuto.
«Non bisogna generalizzare. Anzi, occorre aiutare a distinguere. Per questo, se un partito “toccasse” la Costituzione in modo corretto, per farsene il manifesto, ne uscirebbe nobilitato. Aggiungo: se lo facesse in modo credibile, otterrebbe una valanga di voti. Nel referendum del 2006, quasi 16 milioni di cittadini hanno votato per la difesa di questa Costituzione, contro le improvvisazioni costituzionali, magari coltivate per anni, ma sempre improvvisazioni».
La Repubblica 16.11.12
Pubblicato il 16 Novembre 2012