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Affile, «il governo non chiuda gli occhi», di Michele Meta e Roberto Morassut

Oggi in tutta Europa si stanno riproponendo i movimenti ispirati alle varianti più radicali dell’ideologia fascista e nazista. E anche in Italia prendono corpo movimenti negazionisti, che soffiano sul fuoco della crisi economica e che giocano la carta di un nazionalismo etnico e di sangue contro la globalizzazione. Si pone per tutte le forze democratiche e per le istituzioni il tema di un’azione culturale profonda e del pieno rispetto delle leggi. Purtroppo, in molti casi, in Italia occorre prendere atto di una insufficienza dell’attenzione di molte istituzioni che non solo tollerano, ma alimentano certi fenomeni. A pochi chilometri da Roma, per esempio, il sindaco di Affile, Comune con 1500 abitanti, ha deciso di utilizzare fondi pubblici regionali per erigere un Mausoleo alla memoria di Rodolfo Graziani, Ministro della Difesa della Repubblica di Salò e responsabile di crimini di guerra in Etiopia durante il colonialismo fascista.
«Patria» e «Onore» sono scolpite dall’amministrazione comunale di Affile sul monumento a Graziani, ai lati della bandiera italiana. Parole fuori luogo per un criminale che avrebbe dovuto essere processato a Norimberga perché responsabile della deportazione dalla Cirenaica di centomila uomini, donne e bambini, di 1400 religiosi massacrati sempre in Africa perché anticoloniali, della deportazione da Roma di 2.500 carabinieri nell’ottobre del 1943, dieci giorni prima del rastrellamento del Ghetto ebraico del 16 Ottobre, per lasciare le mani libere alle SS. Il sindaco di Affile, decidendo di dedicare un mausoleo al «macellaio» Graziani, nega e stravolge la memoria. È offensivo per la storia della nostra Repubblica italiana, nata dall’antifascismo, pensare di intitolare un monumento a Graziani. La dedica ufficiale di un monumento da parte di un sindaco, ovvero di un pubblico ufficiale, impegna lo Stato democratico.
Non ci può essere continuità tra l’azione criminale condotta da Rodolfo Graziani e la vita democratica della Repubblica . La mobilitazione dell’Anpi, di decine di personalità, di storici e studiosi, di alcuni quotidiani italiani che ieri hanno promosso una petizione per rimuovere il sacrario di Affile, ha avuto un’eco eccezionale. Abbiamo chiesto al governo di sapere cosa intende fare per dissociare la responsabilità delle istituzioni dal monumento a Graziani, per demolire il manufatto e per restituire all’Italia quel profilo di affidabilità nei valori della libertà e della democrazia. In aula alla Camera ci è stato risposto che per il governo si tratta di una questione «locale», provocando in noi tanta delusione rispetto al fatto che la funzione di un governo – peraltro di un Paese democratico che ha vissuto sulla propria pelle gli orrori del nazifascismo pagandone prezzi atroci – non può limitarsi in questi casi ad una presa d’atto ma tra i suoi compiti è quello di operare per il pieno rispetto della legge e della Costituzione. Confidiamo pertanto che la vicenda di Affile non finisca in un carteggio burocratico tra uffici amministratici ma sia l’occasione per trasmettere un messaggio forte a tutti i cittadini e spinga anche ad una corretta ricostruzione storiografica di certi momenti della nostra storia nazionale combattendo con la forza della legge e dei valori della democrazia tante confuse, pericolose teorie negazioniste.
Pretendiamo da un governo che giura sulla Costituzione davanti al Capo dello Stato atti coerenti perché non si tratta di un fatto locale ma di una vicenda che disonora la Costituzione della Repubblica italiana.
* Deputati Pd
L’Unità 11.11.12
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Attila Mestherhàzi: «Ungheria, la Ue fermi la deriva fascista». Leader del Mszp, il Partito socialista ungherese.Per la sua opposizione al regime di Orbàn è finito anche in carcere, di Umberto De Giovannangeli
L’Unione Europea non può chiudere gli occhi e restare silente di fronte all’ennesimo scempio di legalità messo in atto dal primo ministro Orbàn. Siamo alla “schedatura preventiva”, un ulteriore passo verso il compimento di una “dittatura istituzionalizzata”, e bene ha fatto l’Unità a denunciarlo». A parlare è Attila Mestherhàzi, 38 anni, leader del Partito socialista ungherese (Mszp). Per la sua opposizione al «governo-regime» di Viktor Orbàn, Mestherhàzi ha conosciuto il carcere. «Ogni misura presa da Orbàn denuncia il leader dei socialisti ungheresi è ispirata da una logica autarchica che non guarda al futuro, ma trova il suo humus in un passato oscuro, funesto, segnato da una politica liberticida in ogni campo: dai diritti civili a quelli sociali».
Gli elettori ungheresi dovranno iscriversi a una lista degli elettori prima del prossimo voto nel 2014. Lo prevede una modifica della Costituzione, votata dalla maggioranza di destra del premier Orbàn. «Si tratta di un altro tassello per il compimento di quella dittatura istituzionalizzata che è nei disegni di Orbàn. Un disegno che il primo ministro sta perseguendo scientemente infischiandosene degli appelli alla moderazione che giungono dall’Europa».
Qual è la ricaduta concreta di questa modifica costituzionale? L’obiettivo dei legislatori, secondo il capogruppo della maggioranza Antal Rogan, è di «escludere i disinteressati».
«Siamo ad una schedatura preventiva. Secondo sondaggi e analisti, più di 1 milione su 8 milioni di elettori saranno così esclusi dal voto, soprattutto nelle campagne. Questa è la “democrazia” di Viktor Orbàn. Siamo al fascismo. L’Europa non può far finta di niente, in Ungheria gli standard minimi di democrazia sono stati abbattuti. L’iscrizione obbligatoria è l’ultimo tasto di una contro riforma completa del sistema elettorale in Ungheria imposta dalla maggioranza di Orbàn. Prima hanno ridotto il numero dei deputati a 200 dai 386 precedenti. Poi hanno riscritto le circoscrizioni elettorali a favore della destra e accordato il diritto di voto agli ungheresi oltrefrontiera (circa 500.000 persone), il che potrebbe far rinascere vecchie ostilità con Serbia, Slovacchia e soprattutto Romania. Hanno pure soppresso il secondo turno (servito finora per formare coalizioni, ndr). Nella Costituzione imposta dal partito Fidesz (il partito di Orbàn, ndr) e dei suoi alleati di estrema destra non è garantito alcun diritto alle minoranze etniche. La politica di Orbàn non contempla il dialogo. Non c’è alcun tipo di scambio, di confronto non solo con le opposizioni parlamentari ma anche con le organizzazioni della società civile. Nulla. Solo l’imposizione».
Come intendete portare avanti la vostra protesta?
«Vogliamo portare questa vicenda in tutti i fori internazionali competenti e coinvolgere in questa battaglia di libertà tutte le forze democratiche europee. Un giornale che certamente non può essere definito socialista, Nepszabadsag (liberale, ndr), ha paragonato le prossime elezioni in Ungheria a quelle in Belorussia ed Ucraina, qualificate truccate dagli osservatori del Consiglio d’Europa. Insisto su questo punto: l’Ungheria è un Paese membro della Nato, è parte dell’Unione Europea, di cui è stata presidente di turno. E l’Europa insignita del Nobel per la Pace, l’Europa che si fonda su valori e principi di libertà e democrazia non può assistere passivamente alla “fascistizzazione” dell’Ungheria».
Cosa rappresenta l’Europa per la destra al potere in Ungheria?
«Una minaccia da combattere. L’Europa come nemica e non come opportunità di crescita. Una entità ostile da sfidare. Dietro questa ostilità manifesta, reiterata, c’è una ideologia che riprende la retorica fascista. Dio e Patria, l’orgoglio della nazione magiara, lo Stato definito nella sua essenza nazionale, etnica, non più come Repubblica, meno poteri alla Consulta, più poteri dell’esecutivo su magistratura e media. È un inquietante ritorno al passato. Mi lasci aggiungere che l’Europa dovrebbe preoccuparsi di questa deriva sciovinista e reazionaria dell’Ungheria anche perché questo “modello” può divenire un punto di riferimento per i partiti populisti e antieuropei che si stanno sempre più radicando nell’Est europeo ed oltre ad esso».
L’Unità 11.11.12