Ha solo 15 anni Malala Yousafzai ed è ancora ricoverata, in via di guarigione, in un ospedale di Birmingham in Gran Bretagna. Il 9 ottobre degli uomini sono saliti sul pulmino che doveva riportarla a casa da scuola, nel Nord del Pakistan. Cercavano proprio lei, la ragazza che teneva il diario online. Quella che parlava con i giornalisti, raccontava la sua vita alle prese con la minaccia talebana, difendeva il diritto delle ragazze a studiare. Da quando le hanno sparato alla testa, ferendo anche due compagne, è passato un mese, ma nel mondo sono tanti coloro che non vogliono dimenticare. Decine di migliaia di persone hanno firmato una petizione che chiede di assegnare a lei il prossimo Nobel per la Pace. E l’ex premier britannico Gordon Brown, ora inviato speciale per l’educazione delle Nazioni Unite, oggi è a Islamabad per consegnare oltre un milione di firme al presidente Asif Ali Zardari. Il 10 novembre è il primo «Malala Day» e servirà a rilanciare gli sforzi internazionali per garantire un’istruzione a tutti e a tutte. Perché in Pakistan e nel mondo ci sono molte ragazze come Malala. Magari non hanno lo stesso coraggio, ma anche loro chiedono di poter studiare.
C’è un momento magico in cui un fatto traumatico apre uno spiraglio al cambiamento e le emozioni possono trasformarsi in azioni. Non bisogna lasciarlo scappare. Subito dopo l’attentato, la «Anna Frank pachistana» è stata celebrata dal suo popolo come la speranza della nazione. Ma c’è un’altra Malala che spinge per rubarle il posto nelle dicerie locali: l’amica degli americani, la ragazza che l’Occidente vuole strumentalizzare. Nelle zone tribali al confine con l’Afghanistan a dettar legge sono sempre i talebani. Dal 2003 a oggi hanno distrutto centinaia di scuole, hanno intimato via radio alle ragazze di starsene a casa, hanno costretto le più coraggiose a rischiare la vita per andare a lezione, con i libri nascosti sotto lo scialle. Nei fatti poco o nulla è cambiato, e invece tutto deve cambiare.
Nel mondo ci sono 61 milioni di bambini che non vanno alla scuola primaria, 32 milioni dei quali sono bambine. La forbice tra i sessi si allarga quando si avvicina la pubertà. In molti Paesi, a cominciare dal Pakistan rurale, l’adolescenza è il periodo in cui i maschi scoprono l’indipendenza e le femmine la perdono. Per gli uni il mondo si apre, per le altre si chiude. Si potrebbe dire, anzi, che l’adolescenza neppure esiste per molte ragazze: il giorno prima sei una bambina, il giorno dopo una sposa. Per questo, quando la scuola c’è, deve insegnare l’obbedienza. Se è lontana va abbandonata, perché minaccia la verginità. Se è un lusso, viene riservato ai figli maschi. È così che nel mondo ci sono altri 34 milioni di ragazze che non studiano e in 25.000 ogni giorno si sposano. Fanno 10 milioni di «spose bambine» in un anno, 100 milioni nel prossimo decennio se la tendenza non si dovesse invertire. Secondo l’Onu sarà impossibile garantire l’accesso universale all’istruzione primaria entro il 2015, come recitava il Goal numero 2 del Millennio. Questa sfida va rilanciata e proseguita con una nuova: garantire alle ragazze parità di accesso all’istruzione secondaria. La Banca mondiale ha calcolato che un anno di scuola per mille ragazze in Pakistan costerebbe 30.000 dollari in 15 anni e frutterebbe il triplo, perché farebbe calare il numero delle morti materne e infantili. Lo studio, per dirla con Amartya Sen, è il diritto a godere del piacere del ragionamento e della ricchezza del mondo. Ed è anche il migliore degli investimenti possibili.
Il Corriere della Sera 10.11.12
Pubblicato il 10 Novembre 2012