attualità, politica italiana

"Il dinosauro tra le macerie", di Massimo Giannini

L’«Ufficio di presidenza » del Pdl è la rappresentazione plastica dell’agonia di un partito mai nato. Lo spettacolo andato in scena ieri a Palazzo Grazioli, un tragico Berlusconi che come Crono divora i suoi figli e un patetico Alfano che azzarda un impossibile parricidio, certifica la penosissima fine dell’anomala e incompiuta «destra italiana». Un gruppo dirigente tremebondo e allo sbando, per anni incapace di un pensiero autonomo, tenuto in ostaggio da un vecchio caudillo al tramonto.
Quella di Berlusconi è la tragedia di un uomo confuso. Le sue parole galleggiano nel vento, in una spirale vorticosa di nonsensi e di contraddizioni. Le sue conferenze stampa sono un misto tra il Teatro dell’Assurdo di Jonesco e la Deriva Situazionista di Debord. Nel videomessaggio di Villa San Martino annuncia il ritiro definitivo dalla scena (nuovo «gesto d’amore per l’Italia»), sostiene le primarie e rilancia Alfano. Nell’intervista al Tg5 dopo la condanna a 4 anni nel processo Mediaset proclama la sua ridiscesa in campo («contro la dittatura dei magistrati »), affonda le primarie e ignora Alfano. Nell’editto di Villa Gernetto nega una sua corsa alla premiership (ma non il suo ingresso in Parlamento), ripesca le primarie, riabilita Alfano e ipotizza una sfiducia a Monti.
Ora, nell’one-man-show di Palazzo Grazioli, glissa sulla sua candidatura, («serve un Berlusconi del ’94»), boccia drasticamente le primarie «inutili e tutt’altro che salvifiche», sconfessa pubblicamente il povero Alfano. E divaga, elude, cerca capri espiatori. Per coprire i conclamati fallimenti del suo governo, si avventura in una spiegazione illogica e grottesca sul «disgusto della gente per la politica», che sarebbe nato «per colpa del governo dei tecnici». Salvo rimangiarsi di nuovo tutto, solo un’ora dopo, nella cervellotica conferenza stampa in cui accetta le primarie, si modera su Monti e rifà pace con Alfano (ma non certo con la coerenza).
Cosa possa nascere, da questa forsennata entropia tattica e psicologica, è impossibile capirlo. E come possa rinascere, da questa dissennata miseria politica e strategica, un centrodestra «normale » compiutamente conservatore e finalmente europeo, è impossibile immaginarlo. La morte del Pdl? È già nei fatti, e non solo sul piano simbolico. Una nuova «creatura» partorita dalla mente del Cavaliere, che non per caso minaccia «vedrete, tirerò fuori un dinosauro dal cilindro»?
A parte il lapsus evidente (un dinosauro, per quanto enorme, è il simbolo della preistoria, non del nuovo che avanza) questo sarebbe l’atto finale di una messinscena che non aiuta né il Paese né il centrodestra, ma serve all’Unto del Signore per continuare a difendersi dai processi, dimostrando a se medesimo e alla sua corte dei miracoli che dopo di lui c’è solo lui stesso. La verità è che Berlusconi, a cinque mesi dalle elezioni del 2013, non sa dove andare. Eppure ci va. Creando un continuo scompiglio nella sua metà campo. E risucchiando nel suo abisso privato l’intero partito che lui stesso ha forgiato, a freddo, sul Predellino di Piazza San Babila. Come il morto che afferra il vivo.
Quella di Alfano, di fronte a tanta decomposizione e dissipazione, è la commedia di un leader a sua volta mai nato. Per la prima volta nella sua vita, ora Angelino prova a combattere a viso aperto la «battaglia del quid». Per non fare la solita fine del tonno, il delfino accenna a una ribellione nei confronti del Cavaliere, che prima lo designa, poi lo delegittima. La sua reazione stizzita, nella forma e nella sostanza, è un promettente segnale di «esistenza in vita».
Dire in faccia al più colossale e triviale raccontatore di barzellette della Prima e della Seconda Repubblica «non possiamo fare la fine dei barzellettieri » (o dei barzellettati, fa lo stesso) è come varcare un Rubicone finora mai varcato da nessuno, in quel partito personale e padronale. Gridare «non stiamo a inseguire i gelatai» è un azzardo che ricorda quasi le invettive di Rino Formica contro i «nani e ballerine» del Psi dell’ultimo Craxi. Ripetere «non voglio essere designato al nulla» è quasi il gesto di «lesa maestà» di un aspirante al trono che non vuole aspettare l’investitura ipotetica dal suo sovrano, ma vuole conquistarsela sul campo combattendo qualche guerra, se serve.
Benché timida, e ancora tutta da misurare, questa è la prima prova di leadership che Alfano cerca di esercitare, non più «secondo» la volontà del suo Capo. Ed è un bene, almeno sul via libera alle primarie, che la prova sia riuscita, e che almeno per ora Berlusconi si sia acconciato ad un sofferto passo indietro. Ma è troppo presto, per dire che siamo a una svolta: lo dimostra la scena muta alla quale l’ex premier ha ridotto il segretario, proprio nella conferenza stampa successiva all’ufficio di presidenza.
Ed è al tempo stesso troppo tardi, per immaginare che Alfano sia riuscito a riesca in quel miracolo che gli infaticabili corifei berlusconiani sognano
per lui, e cioè «prendere sulle spalle un Reame fantasioso, guidato dal carisma dispotico e pop del Cav., e trasformarlo in una Repubblica disciplinata ». Questa è davvero una missione impossibile. Prima di tutto, perché il «Reame fantasioso» è stato in realtà un quasi Ventennio disastroso. E poi perché non si può ereditare il «carisma dispotico del Cav.» con il suo consenso. Se esiste davvero un centrodestra che vuole costruire una «Repubblica disciplinata» andando «oltre» Berlusconi, deve trovare una volta per tutte il coraggio di farlo mettendosi «contro» Berlusconi. Non c’è altra via, se si vuole ricostruire qualcosa tra quelle rovine.
La Repubblica 09.11.12
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“Il cannibale che divora le sue figurine”, di FILIPPO CECCARELLI
Dice, tace, ridice, smentisce, sparisce (in Africa), si sfoga, si pente, ritorna a parlare con i giornalisti a tarda sera, ma tanto ormai è lo stesso. «Adesso dobbiamo salvare la storia di tutti noi» pare abbia fatto presente il povero Alfano, ma rispetto alla Storia, che pure scorre senza chiedere il permesso ad alcuno, occorre riconoscere che c’è qualcosa di grandioso nel modo in cui neanche quattro anni fa Silvio Berlusconi ha creato il Pdl e adesso lo va distruggendo. Sempre. Tutto. Da solo. L’ALTRO giorno sul Giornale, sotto l’occhiello «Le mosse del Cavaliere », si é potuto leggere il seguente titolo: «Silvio fa contento Alfano: domani sarà al vertice del Pdl». Capito? Al fianco al Cavaliere, in effetti, ogni giorno più cereo, è comparso infine lo pseudo- figlioccio «che mi ricambia», una figurina che pure ieri ha osato l’inosabile evocando le barzel-lette, tema assai sensibile a Palazzo Grazioli, anche se poi non s’è capito se nella sua temeraria perorazione Alfano abbia paventato il rischio di fare la figura dei «barzellettari» o dei «barzellettati », là dove nel primo caso sarebbe un oltraggio a Sua Maestà e nel secondo un mezzo affronto, e non solo alla lingua italiana.
Chissà se all’ex Guardasigilli, fra i tanti miracolati di una remota stagione, è tornato in testa che agli esordi del Berlusconi quater il Foglio assicurò che sarebbe stato «il governo del Buonumore». Ecco, nel malanimo e fra i rancori del
cupio dissolvi si consuma la «rivoluzione carismatica», come intese a suo tempo designarla il senatore Quagliariello, che tanto si è dedicato a de Gaulle.
Acclamato nel marzo del 2009 presidentissimo a vita e salutato dalle note congressuali di «Meno male che Silvio c’è», adesso Berlusconi vuole chiudere gli uffici di via dell’Umiltà e soprattutto si rifiuta di scucire i quattrini per delle primarie che ritiene del tutto inutili, anzi dannose. Già alcuni mesi orsono gli avevano attribuito frasi tipo: «Il Pdl non c’è più, esiste solo nella testa dei nostri dirigenti». Riguardo a questi ultimi, è sempre il Giornale di
casa ad aver indicato, sia pure senza virgolette, lo stato d’animo del fondatore: fatico a sopportarli, quando vengono a casa mia mi viene voglia di andarmene.
Così, stanco di adattarsi alle continue richieste, esausto di quelle facce, oltre che delle ingrate miserie che ogni volta regolarmente gli gettano addosso coordinatori, capigruppo, ex ministri e maggiorenti, Berlusconi ha preso a scavalcarli rivolgendo le proprie residue speranze ad amazzoni, fidati buontemponi, sospetti millantatori, più o meno ignoti e talvolta ignari imprenditori, ad esempio quei «gelatai» rispetto a cui Alfano ha riaffermato il primato della «politica», nientemeno.
In dodici minuti — e allora fu un vanto — venne sciolta Forza Italia per dare vita a quel «Popolo » della libertà che Berlusconi volle battezzare con un finto referendum. In mancanza di un impossibile se stesso ringiovanito, a 76 anni per la nuova Forza Italia il Cavaliere pensa ora ad arruolare Briatore, di cui deve aver dimenticato certe cosette niente affatto simpatiche che diceva di lui al telefono; e addirittura s’incanta con l’idea di Montezemolo, che tutte le volte gli ha sempre detto no e che poche settimane prima della caduta del 12 novembre 2011, a un passo dal dileggio, fermò l’automobile come per entrare a Palazzo Grazioli; e quando vide che attorno a sé cresceva l’agitazione dei giornalisti di colpo fece dietro front e risalì in macchina ridacchiando.
Su un tovagliolo di un’enoteca di Montecatini, dove è andato a farsi curare con il laser, l’uomo che ha cambiato l’arte del potere in Italia ha scritto del «suo» nuovo soggetto ancora desolatamente senza nome: «Nuovo e pulito» per andare «oltre il 50 per cento», che forse non ci credeva nemmeno il proprietario ultraberlusconiano del locale, che pure ha promesso di mettere quell’impegnativo reperto di stoffa dietro una teca.
Ma il pensiero più triste rubricato nei progetti del tardo berlusconismo al tramonto gli è sfuggito di bocca come un sospiro: «Se fossero ancora vivi, ci metterei dentro Vianello e la Mondaini ». E c’è ormai un aria mortifera da quelle parti, un rincorrersi di ombre a loro modo tenebrose, un accavallarsi di immagini sempre più perturbanti come quella di lui che estrarrà dal cilindro un dinosauro, e nessuno giustamente ride più, e tutto precipita in rovina, come ampiamente
preannunciato.
La Repubblica 09.11.12